di Silvia Cordella e Giorgio Bongiovanni - 22 maggio 2013
Ne aveva parlato nel 2008 Massimo Ciancimino all’indomani della sua decisione di parlare con i magistrati. La società in cui il padre possedeva quote occulte era stata sottoposta al vaglio della magistratura solo parzialmente per non intaccare interessi di soggetti intoccabili. Oggi, la Guardia di Finanza, dopo un’indagine del nucleo di polizia tributaria, sequestra agli eredi di Ezio Brancato - socio di Gianni Lapis (prestanome di Vito Ciancimino) nella Gas spa, l’azienda che negli anni ottanta e novanta metanizzò mezza Sicilia grazie all’appoggio di Cosa Nostra - 48 milioni di euro. Il provvedimento è stato emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo su proposta del procuratore aggiunto Vittorio Teresi e del sostituto Dario Scaletta e riguarda il sequestro di società, attività commerciali, immobili di lusso e disponibilità finanziarie. Nelle carte dei magistrati sono finiti intrecci societari, tangenti e perfino le pesanti accuse contro il pool che si occupò della prima inchiesta che portò alla confisca dei beni di Ciancimino.
Il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo raccontò di faldoni mancanti all’interno del suo processo (Ciancimino chiese l’abbreviato che si sviluppa proprio sulla base delle carte processuali), contenenti intercettazioni telefoniche che attestavano il flusso di tangenti dalla Gas agli on. Vizzini, Cuffaro e Romano, in cambio di agevolazioni legislative che avrebbero permesso la crescita dell’azienda in tutto il territorio nazionale. Documenti che sono poi in effetti stati trovati e che hanno dato spunto all’analisi patrimoniale dell’intera società. Proprio addentrandosi nelle operazioni di cessione dell’intero pacchetto azionario, i magistrati hanno ritenuto che anche Ezio Brancato era in affari con Vito Ciancimino e che la vendita della Gas agli spagnoli della Gas Natural nel 2003, avrebbe permesso agli eredi Brancato di “ripulire” i proventi acquisiti nel corso degli anni grazie ai lavori realizzati in varie zone della Sicilia. Lavori ottenuti con il placet di Provenzano il quale, oltre ad avere quote nella Gas attraverso Vito Ciancimino, avrebbe preteso l’affidamento dei lavori di subappalto a ditte mafiose. Un modus operandi di cui avevano parlato, oltre a Ciancimino jr., i collaboratori di giustizia Antonino Giuffrè e Giovanni Brusca ed in parte l’ex avvocato della famiglia Brancato, Giovanna Livreri. Gli investigatori hanno dunque ricostruito la storia delle diverse società del gruppo mettendo a confronto la ricchezza accumulata nel tempo dalla famiglia del fondatore (subentrata nella gestione dopo il suo decesso avvenuto nel 2000). Le analisi avrebbero così attestato la partecipazione di Ezio Brancato nella gestione affaristico-mafiosa di don Vito. Un risvolto investigativo che, secondo Massimo Ciancimino, non era stato esplorato a tempo debito dai magistrati guidati dall’attuale Presidente del Senato Pietro Grasso, a causa dei rapporti di parentela che legavano il suo attuale vice alla Dna, Giusto Sciacchitano, alla famiglia Brancato, essendo questi all’epoca dei fatti, consuocero proprio di Ezio Brancato. Una circostanza che dovrebbe indurre il reggente della Direzione nazionale antimafia alle dimissioni in quanto, nonostante il reato penale in Italia sia un fatto soggettivo e personale, il suo coinvolgimento in tale famiglia risulta incompatibile con l’alta carica che riveste.
In foto: Giusto Sciacchitano e Vito Ciancimino
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