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ayala-giuseppe-web2di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo - 21 maggio 2013
Caltanissetta. “Una gaffe”. Così Giuseppe Ayala all’udienza odierna del Borsellino quater ha definito le sue stesse parole registrate in un’intervista del 2009 per il sito affariitaliani.it. “Io ho parlato personalmente con Nicola Mancino – diceva Ayala alla giornalista Floriana Rullo – che naturalmente è persona con cui ho un ottimo rapporto, siamo stati per diversi anni colleghi in Parlamento, in Senato. Mancino ha avuto un incontro con Borsellino del tutto casuale il giorno in cui Mancino andò per la prima volta al Viminale a prendere possesso della sua carica ministeriale”. La giornalista lo incalzava chiedendo la ragione per la quale lo stesso Mancino continuasse invece a negare quell’incontro. Ed è proprio la risposta dell’ex senatore che oggi è stata definita “una gaffe”. “No, no, lui ha detto che l'ha avuto questo incontro, come no – replicava all’epoca Ayala –. Lo ha detto anche a me. Le dirò addirittura di più, forse svelo una cosa privata. Mi ha fatto vedere l'agenda con l'annotazione perchè lui è di quelli che ha le agende conservate con tutte le annotazioni.

Per cui francamente io non ho elementi per leggere nessuna dietrologia dietro a quest'incontro”. Inizia così la deposizione dell’ex pm del maxiprocesso che inaugura lo stile dell’udienza-spettacolo dove il mattatore è lo stesso teste. Atteggiamento tracotante, battuta ironica da elargire a giudici e a magistrati, seduto in una posizione alquanto rilassata, Ayala non si risparmia. Sul cancello dell’aula bunker spicca lo striscione “Fraterno sostegno Agnese Borsellino”, la pretesa di giustizia della vedova del giudice, recentemente scomparsa, continua a pulsare anche qui. All’interno dell’aula è rimasto l’eco delle parole del sovrintendente della Polizia, Francesco Maggi, all’epoca in servizio in via D’Amelio nell’immediatezza della strage, interrogato ieri in questo stesso processo. “Devo dire, per un problema di coscienza – aveva spiegato Maggi ai magistrati –, a distanza di 21 anni, che quando sono arrivato sul posto della strage, c'erano almeno quattro, cinque uomini dei servizi. Avevano la spilletta del Ministero dell'Interno. Era gente di Roma e non capivo che cosa facevano. Ma sono certo, perchè li conoscevo. Ancora oggi non mi spiego come fossero sul posto e chi li avesse avvisati in così poco tempo”. “La borsa era piena, sono sicuro che era piena e non svuotata. La borsa si trovava sul lato destro dell'auto ed era posizionata tra il sedile posteriore e quello anteriore. Sono sicuro di essermi abbassato ma ero con un vigile del fuoco. Non sono certo che la presi io o me la passò il vigile del fuoco. La presi e dopo averla in mano incontrai Ayala, ma non ricordo quanti minuti dopo. La diedi, quindi, al mio funzionario, per portarla alla Mobile”. Di fatto verso le ore 18,30 la borsa del giudice Borsellino veniva ritrovata nell'ufficio del dirigente della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera. Senza l'agenda rossa. In un remix di “non ricordo” o “non posso ricordare” Giuseppe Ayala ha parlato ancora una volta del momento in cui prese in mano la borsa di Paolo Borsellino: “Non ricordo chi mi consegnò la borsa di Paolo Borsellino subito dopo la strage di via D'Amelio. Non ricordo se la prese un carabiniere della scorta, ricordo solo che la consegnai a un ufficiale dei Carabinieri”. A tutti gli effetti una dichiarazione in antitesi con quella dell’ex capo scorta di Ayala, Roberto Farinella, che nelle scorse udienze aveva raccontato: “Presi la borsa del magistrato, volevo consegnarla al giudice Ayala ma lui chiamò un uomo in abiti civili che mi indicò come ufficiale. Questi prese la borsa e si allontanò senza aprirla”. Farinella aveva anche parlato della presenza sul luogo della strage di Roberto Campesi (riconosciuto in una fotografia) assieme ad altri esponenti delle forze dell'ordine. Non solo, Farinella aveva spiegato di essere stato allontanato dalla scorta dopo avere fatto notare che la presenza di un civile in una scorta armata di un magistrato antimafia era quantomeno inopportuna. E di Campesi ha oggi parlato anche Ayala: “Roberto Campesi era nella mia scorta ma non lo misi io. Mi si presentò e mi disse di essere un esperto di sicurezza, non un agente segreto. Mi disse che era un grande amico di Antonio Montinaro, agente di scorta morto con Giovanni Falcone e di essere Presidente della Fondazione Montinaro, anche se poi ho scoperto che non esisteva. E lo misi in contatto con i miei responsabili della sicurezza. Purtroppo sono caduto in un grande trappolone”. Come è noto Roberto Campesi, detto “il caramellaio” in quanto aveva in passato un negozio di caramelle, è un personaggio molto controverso e misterioso: rimase per diverso tempo nella scorta di Ayala e nel 1997 venne arrestato con l'accusa di millantato credito e truffa nei confronti dei figli di Gianni Ienna, un imprenditore arrestato per mafia nel '94 ritenuto un prestanome dei boss Graviano. Con fare decisamente teatrale Ayala ha successivamente affermato di non voler “far parlare i morti” attraverso le citazioni di giudici assassinati, poi però, con molta nonchalance ha tirato fuori una fotocopia di uno stralcio di un libro con le dichiarazioni, a lui favorevoli, di Antonino Caponnetto. Un senso di commiserazione ha pervaso l’aula. L’udienza è stata sospesa in attesa della ripresa pomeridiana nella quale l’avvocato di parte civile, Fabio Repici (legale di Salvatore Borsellino) procederà all’esame di Giuseppe Ayala.

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