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csm-bigdi Giorgio Bongiovanni - 27 gennaio 2012
Di fronte all’ennesima oscenità compiuta dal Csm attraverso la presa di posizione della Prima Commissione nei confronti di Antonio Ingroia non posso che constatare una vera e propria perseveranza diabolica nel commettere “errori” da parte di questo Organo istituzionale. Con il termine “errori” mi riferisco a gravissimi atti posti in essere nel passato quanto nel presente nei confronti di quei magistrati dediti unicamente ad onorare la Costituzione della Repubblica, al di fuori di qualsivoglia commistione con il potere politico.

La storia del Csm è costellata di luci, ombre e devastanti sbagli compiuti a volte in buona fede, ma soprattutto in mala fede. E’ sempre viva nei miei ricordi la lenta morte di Giovanni Falcone iniziata nel 1988 per colpa delle decisioni infauste di un Csm volutamente ostile alla sua nomina di Consigliere all’Ufficio Istruzione. Così come ricordo bene il grido che lo stesso Paolo Borsellino lanciò alla Biblioteca Comunale dopo la strage di Capaci. “Ho letto giorni fa – disse quella sera di giugno – un’affermazione di Antonino Caponnetto secondo cui Giovanni Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988. Io condivido questa affermazione di Caponnetto. (...) Oggi che tutti ci rendiamo conto di quale è stata la statura di quest'uomo, ripercorrendo queste vicende della sua vita professionale, ci accorgiamo come in effetti il paese, lo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il 1° gennaio del 1988, se non forse l'anno prima, in quella data che ha or ora ricordato Leoluca Orlando: cioè quell'articolo di Leonardo Sciascia sul “Corriere della Sera” che bollava me come un professionista dell'antimafia, l'amico Orlando come professionista della politica, dell'antimafia nella politica. Ma nel gennaio del 1988, quando Falcone, solo per continuare il suo lavoro, il Consiglio superiore della magistratura con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli. (...) Si aprì la corsa alla successione all'ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio superiore della magistratura ci fece questo regalo: preferì Antonino Meli”. Con quel rifiuto (nonostante il parere favorevole di un “partigiano” della giustizia come Giancarlo Caselli e di alcuni altri consiglieri che rimasero in minoranza) il Csm ostacolò e umiliò la carriera di Giovanni Falcone, così come fece ogni qualvolta bocciò la sua candidatura ad incarichi superiori. Per non parlare di un Csm che non si preoccupa minimamente di modificare l’assurda regola che limita ad 8 anni la durata massima di appartenenza alla Dda di un magistrato. Un pm che nel corso degli anni ha acquisito competenza e professionalità su temi di mafia tanto delicati a un certo punto si ritrova a dover uscire dalla Dda con l’unica possibilità di poter portare a termine il proprio lavoro attraverso il sistema dell’applicazione temporanea. Tutto ciò mentre viene sommerso di procedimenti generici. E non è certo una questione di “rotazione”. Piuttosto l’immagine a tinte fosche che caratterizza l’operato del Csm resta quella delle lotte interne delle correnti della magistratura e soprattutto dell’ingerenza politica perpetrata attraverso i cosiddetti consiglieri “laici”. Quindi il sospetto che determinati componenti del Csm siano condizionati dalla politica e dai poteri forti è tutt’altro che peregrino. Come è noto l’articolo 104 della Costituzione sancisce che la magistratura “costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, nello specifico si legge che il Csm è presieduto dal Presidente della Repubblica e che ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie (i membri “togati”), e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio (i membri “laici” cioè politici). Purtroppo quanto sancito dalla nostra Carta in tema di composizione “laica” del Csm si è convertito in un vero e proprio boomerang per il sistema giustizia. Ed è per questo motivo che auspico fortemente una riforma che estrometta dal Csm i componenti “laici” e che ponga in essere una sorta di vigilanza sui componenti “togati” per espellere quei magistrati che frequentano logge massoniche o che intrattengono rapporti con apparati di potere. Vaticano compreso. L’archiviazione decisa dalla Prima Commissione nei confronti di Antonio Ingroia (con la proposta di trasmissione degli atti alla Quarta Commissione) è di una gravità inaudita e soprattutto rassomiglia ad una decisione subordinata a direttive dal sapore politico. Andrebbe quindi aperta una commissione di inchiesta per verificare la sussistenza di eventuali intromissioni esterne. Il Csm definisce “inopportuna” la partecipazione del pm palermitano ad un congresso politico, io mi domando invece quanto sia “inopportuna” la presenza di quei membri “laici” e financo di quelli “togati” che come Ingroia hanno giurato sulla Costituzione e che nonostante ciò servono logiche di potere. Un magistrato, che è anche un cittadino con il potere di voto, ha il diritto di partecipare a un congresso politico per esprimere una propria valutazione sui temi della giustizia. Ogni polemica a riguardo è meramente strumentale. Altrimenti venga stabilito per legge che un magistrato non può votare e che si deve limitare a svolgere la propria professione senza alcuna partecipazione alla vita pubblica del nostro Paese. L’appello che rivolgo al Presidente della Repubblica è quello di impedire con tutti i suoi poteri che simili decisioni possano essere assunte in seno all’Organo da lui presieduto. Prima che il Csm si riduca ad un mero esecutore di volontà extra-giudiziarie. Di cui la storia ricorderà le gravi responsabilità.

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