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di Giorgio Bongiovanni - 25 gennaio 2010
Che significato potrebbe avere oggi un attentato contro uno dei magistrati impegnati nelle delicate indagini sulle stragi e sulla trattativa che, piaccia o non piaccia, coinvolgono il Presidente del Consiglio o quanto meno il suo braccio destro, Marcello Dell’Utri?


Come dovremmo leggerlo? In quale contesto dovremmo inserirlo?
La storia, più o meno recente, ci ha insegnato che eventi drammatici di questo genere hanno più di una finalità e che sono stati determinanti per le stabilizzazioni, le destabilizzazioni e la creazione di nuovi equilibri. Vanno quindi collocati nell’andamento generale del sistema Paese e anche del ben più vasto sistema Mondo.
Se da una parte è vero che il tempo concede il giusto distacco per le valutazioni e altrettanto certo che l’esperienza dovrebbe servire a prevenire e, per quanto possibile, evitare che certi traumi si ripercuotano nuovamente sulla coscienza collettiva, seppur in gran parte dormiente.
Quindi oggi eliminare Antonio Ingroia, sulla cui incolumità ridacchiavano allegramente gli avvoltoi che occupano il Senato, o Sergio Lari, o Domenico Gozzo, o Nino Di Matteo perché no persino il testimone chiave Massimo Ciancimino, quali scenari delineerebbe?
L’Italia è in questo momento provata da una forte crisi economica, continui scioperi e proteste dimostrano che la crisi non è affatto finita e che la ripresa, se è vero che ci sarà, è ancora lontana. La disoccupazione crescente inasprisce il clima generale e il malessere diffuso è impregnato di incertezze e paura del futuro.
Lo scontro politico non è fra maggioranza e opposizione, quasi del tutto inesistente e in balia dei plurimi ricatti trasversali, ma tra un potere arrogante e arroccato su se stesso e una società civile indignata che fatica a trovare una convincente rappresentanza in parlamento, una parte di magistratura assiepata a difesa della Costituzione e qualche isolata voce del giornalismo e degli intellettuali. Il conflitto, poi, non riguarda le necessità del Paese o le riforme, ma la lotta per garantire i privilegi di casta, soprattutto del Presidente del Consiglio, e il tentativo di cittadini consapevoli che vedono sfilarsi di mano i propri diritti di dignità ed uguaglianza.
Gli episodi gravissimi di intolleranza e razzismo in terra di ‘ndrangheta legati allo sfruttamento barbaro e primordiale di poveri disgraziati, ridotti in miseria dalla grande chimera dello sviluppo senza limiti della minoranza opulenta del Pianeta, chiarifica lo stato di impoverimento umano e culturale verso cui sta precipitando anche il più semplice sentimento di compassione e solidarietà. Il primo mondo, ricco ed egoista, chiude le porte all’enorme massa di poveri e poverissimi che ci svergognano tutti, come razza, agli occhi della storia. Pagano prima e più di tutti le conseguenze del lento e inesorabile crollare del grande impero degli Stati Uniti che affogato nei debiti si dimena tra l’immagine di un presidente a misura dei sogni dei popoli e la realtà dello spietato mercanteggiare degli interessi di lobby, famiglie e potentati che sulla cartina del mondo tirano i dadi. Fantomatica guerra al terrore, dispiegamento di forze armate nel centro nevralgico della lotta per le risorse e per la supremazia e il terreno che scivola sotto i piedi di fronte all’incedere inquietante di Russia e Cina che, molto più abbienti, non intendono stare a guardare.
All’America in ginocchio la politica di Berlusconi non piace. Soprattutto per quella sua amicizia così stretta con Putin, il nuovo vero potente che avanza. E nemmeno l’Europa, Inghilterra in testa, si diverte più alle gag del ducetto megalomane che fa delle regole democratiche carta straccia. Pur tuttavia il nostro paese è sempre un avamposto strategico soprattutto nell’evenienza di scenari di guerra e avere un referente poco fedele e/o poco credibile in patria e fuori non è certo un vantaggio.
I famigerati poteri forti potrebbero già ravvisare l’esigenza di un cambio della guardia, la necessità di una “terza repubblica” e cosa di meglio di un lavoretto sporco affidato all’alleata di antica memoria, Cosa Nostra? La mafia oggi sbaragliata sul cui nuovo equilibrio incombe la cugina americana, cosa avrebbe in fondo da perdere? Tradita e abbandonata nella sua componente conosciuta ed esposta potrebbe rendere servigio, come consuetudine, e trattare il suo nuovo volto, per ora sconosciuto e insospettabile, con una nuova classe politica.
Assassinare chi su di lui indaga o testimonia equivarrebbe a decretare per Berlusconi e i suoi la fine, così come l’omicidio Lima e la morte di Falcone costarono ad Andreotti la Presidenza della Repubblica. Matteo Messina Denaro sembra ancora essere in grado di contrattare ma se non lo fosse la radicata borghesia mafiosa che gestisce le immense ricchezze accumulate negli anni lo è, eccome, pronta ad affidare lo scettro a qualche picciotto scaltro guidato nell’ombra dagli irriducibili ritornati in libertà, a pena scontata.
Riina e Provenzano? Forse non darebbero il loro consenso, ma indubbiamente, vecchi e ammalati, nell’isolamento delle loro celle, si godrebbero il tramonto.
 
Noi, pur detestando la politica del presidente del consiglio Berlusconi, respingiamo con forza l’idea che possa essere destituito dalla sua carica a suon di bombe; vorremmo che venisse sconfitto democraticamente, con legittime elezioni. Prego quindi, voi che mi leggete, se vorrete criticare anche aspramente queste mie modeste analisi, di farlo nel merito con logica uguale e contraria a quella con cui le ho esposte. 

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