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di Giorgio Bongiovanni - 22 ottobre 2009
Per Brusca il terminale della trattativa era l’ex Ministro. Che non ci sta e si difende.
Ancora una volta torna agli onori della cronaca la cosiddetta “trattativa”. Come prevedibile, data la delicatezza dell’argomento e soprattutto delle implicazioni che potrebbe avere non solo a livello giudiziario, si è infiammata la polemica.


Sia per le rivelazioni tardive di alcuni protagonisti della scena politica di quell’epoca sia per le molte valutazioni a posteriori. Tra le tante anche quella del procuratore Grasso che ha ribadito con chiarezza e  tranquillità che una trattativa, nel periodo delle stragi,  tra la mafia e pezzi delle istituzioni ebbe effettivamente luogo. Assolutamente niente di nuovo, il magistrato non ha aggiunto nulla di più di quanto non fosse già agli atti. Infatti nella gran bagarre di questi giorni si tende a scordare che l’esistenza della trattativa è stata sancita in più sedi giudiziarie e anzi la Corte firmataria della sentenza di I° grado per le bombe del ’93, presieduta dal giudice Gaetano Tomaselli, non solo dava per certo il dialogo tra Cosa Nostra e gli uomini del Ros ma giudicava con grande severità la strategia adottata dai carabinieri in quel frangente così critico:
“Sotto questi aspetti vanno detto senz’altro alcune parole non equivoche:l’iniziativa del ROS (perché di questo organismo si parla, posto che vide coinvolto un capitano, il vicecomandante e lo stesso comandante del Reparto)aveva tutte le caratteristiche per apparire come una“trattativa”; l’effetto che ebbe sui capi mafiosi fu quello di convincerli, definitivamente, che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione”.
Il primo a testimoniare in questo senso è stato Giovanni Brusca. Ai magistrati ha raccontato di un Riina entusiasta che dopo l’omicidio Falcone aveva annunciato: “Si sono fatti sotto… gli ho fatto un papello tanto”, alludendo ad una serie di richieste che tramite Vito Ciancimino aveva fatto pervenire ad interlocutori istituzionali. E alle rimostranze di preoccupazione avanzate da Brusca aveva persino aggiunto “… stai tranquillo è tutto sotto controllo, mi hanno messo dietro anche i servizi segreti…”.
Oggi queste dichiarazioni hanno preso nuovi e più inquietanti contorni. Su l’Espresso Lirio Abbate ha pubblicato un verbale ancora secretato in cui Brusca, parlando con il pm Gabriele Chelazzi (deceduto per infarto nel 2003), rivela chi era il terminale della trattativa.
“Si sono fatti sotto… ho avuto un messaggio. Viene da Mancino”.
Il nome del vice presidente del Csm, allora Ministro degli Interni, era emerso più volte nel corso degli anni, ma il diretto interessato, fino a ieri pomeriggio, ha fermamente negato di essere venuto a conoscenza delle richieste di Riina e tanto meno del “papello”.
Tuttavia Brusca non è più il solo a chiamare in causa il politico perché le sue dichiarazioni fanno il paio con quelle di Massimo Ciancimino, testimone e attore diretto di quelle fasi di dialogo. Secondo il figlio del vecchio don Vito, suo padre non avrebbe mai accettato di trattare solo con De Donno e nemmeno con Mori, che sapeva godere di pochissimo credito all’interno della magistratura. Per questo pretese, anche attraverso i suoi canali nei servizi segreti, che fossero informati referenti istituzionali e fece il nome di Mancino prima e di Violante poi. Sarà un caso, ma anche Brusca sottolinea che nemmeno Riina avrebbe acconsentito a qualsiasi tipo di colloquio se non avesse avuto rassicurazioni di altro livello.
E’ da stabilire – dice ancora Brusca in quel verbale – è se a Riina fosse stata detta o meno la verità. “Se le cose stanno così – spiega – nessun problema per Ciancimino; se invece Ciancimino ha fatto qualche millanteria, ovvero ha ‘bluffato’ con Riina e questi se ne è reso conto, l’ex sindaco allora si è messo in una situazione di grave pericolo che può estendersi anche ai suoi familiari e che può durare a tempo indeterminato”. Circostanza però che il pentito ritiene molto improbabile.
In quel periodo Brusca poi era venuto a sapere che Mancino stava adottando misure di sicurezza straordinarie attorno alla sua casa. “Perché mai si sta blindando, che motivo ha?”
“Non hai nulla da temere perché hai stabilito con noi un accordo –deduce-.O se hai da temere ti spaventi perché hai tradito, hai bluffato o hai fatto qualche altra cosa”.
Agli inizi di gennaio del 1993 Riina però gli era apparso piuttosto nervoso, temeva di essere catturato. Come in effetti fu.
Forse solo adesso alla luce di questi nuovi elementi si può capire pienamente quelle dichiarazioni spontanee rese dal capo di Cosa Nostra dopo più di dieci anni di detenzione silenziosa quando, nel corso del processo per le bombe in continente, chiedeva come mai Mancino sapeva del suo imminente arresto. E ancora più direttamente esclamava: sono stato venduto?
Il mio messaggio a Riina – ha replicato in serata l’ex ministro – è stato proprio quello del suo arresto più volte sollecitato pubblicamente alle forze dell’ordine.
A noi pare intanto di capire, invece, che la verità non sia così semplice ed in parte ancora tutta da scoprire.

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