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di Giorgio Bongiovanni e Anna Petrozzi - 10 settembre 2009
Tremano i potenti collusi con la mafia
Questa volta il plotone di difesa è scattato prima ancora che venisse sferrato l’ attacco, se così si vuol chiamare la doverosa, obbligatoria e normale (nel senso di “a norma”) azione penale di fronte ad una notizia di reato.



Sono bastate un’indiscrezione, una soffiata, o la semplice logica deduzione dei fatti a far tuonare i cannoni.
Per primo lui, l’Imputato con la I maiuscola, che parla già di complotti ai suoi danni quando ancora non risulta nemmeno sia iscritto nel registro degli indagati, ne se lo sarà. Il motivo probabilmente lo sa più lui che tutti noi, compresi i pm sui quali si è già scatenata la solita, noiosa litania dei “cospiratori annidati nel nuovo grumo di potere giustizialista eversivo” raccolto attorno (e almeno questa è una novità) a “Il fatto quotidiano”, il nuovo giornale di Padellaro e Travaglio. Anche questo non è ancora uscito e già è stato tacciato di ogni nefandezza.
Che l’attacco sia la miglior difesa è convinzione diffusa. In effetti siamo nell’era delle guerre preventive, prima ti sparo e poi scopro se sei colpevole.
Ma lasciamo stare, cerchiamo di ricostruire i fatti.
Gaspare Spatuzza è il collaboratore di giustizia che ha rimesso in discussione una parte della fase esecutiva della strage di via D’Amelio. Ha detto ai magistrati, per quel poco che è trapelato dalle sue deposizioni blindatissime, che quanto accertato dalle sentenze sulla questione della 126 rubata è falso. Che fu lui a rubarla e non Scarantino e Candura che si sono fatti più di quindici anni di carcere in assoluto silenzio. Ora non ci vuole una mente complottarda per domandarsi perché mai, visto che a quanto pare è  Spatuzza ad aver ragione, due criminali di bassa lega subiscano nel sacro terrore una tale sorte e vengano coinvolti in una delle stragi di mafia più inspiegate della storia come quella di via D’Amelio.
Ricordiamoci infatti che dopo diciassette anni e indagini a tutto campo, pentiti compresi, non sappiamo ancora chi fece esplodere il detonatore che sterminò Borsellino e i suoi ragazzi e nemmeno siamo stati in grado di individuare con esattezza da dove.
Quel che sta emergendo è che non tutte le indagini di quel tempo vennero svolte in maniera inappuntabile e che se qualcuno si è auto-accusato e ha accusato ingiustamente, o è stato indotto a farlo, è perché si doveva proteggere qualcun altro.
Spatuzza, che per anni si è arrovellato nel dubbio di parlare o no a causa delle resistenze della famiglia, che infatti non lo ha seguito in questo suo nuovo percorso, è uomo di Brancaccio, uomo agli ordini dei Graviano.
Giuseppe e Filippo Graviano sono stati arrestati a Milano il 27 gennaio del 1994. Lì svernavano per sfuggire al mandato di cattura per stragi perché lì avevano i loro contatti e le loro coperture.
Che i Graviano abbiano avuto rapporti con Dell’Utri è provato nella sentenza di primo grado che condanna il senatore a nove anni e mezzo di carcere, quella che non si osa commentare (o quasi) nei media del regime berlusconiano. La alleghiamo qui sotto così potete leggere con i vostri occhi e dedurre con il vostro cervello.
Ma la coincidenza fastidiosa che spunta ora e che ha fatto scatenare la gran cassa sono le dichiarazioni di Massimo Ciancimino, figlio di don Vito.
Questi, al collega Nuzzi di Libero, ha rivelato che la trattativa, quella che nelle sue ricostruzione ha classificato come la terza (vedi articolo Bongiovanni e Cordella) tra la mafia e lo Stato sarebbe stata portata avanti da Provenzano e da Dell’Utri, in sostituzione del padre ormai troppo compromesso per poter essere il tramite per il nuovo patto di silenzio e convenienza che dagli albori della storia repubblicana esiste con Cosa Nostra. Rotti gli equilibri con la Dc, e in ginocchio per la disfatta sentenziata dalla Cassazione che ha reso definitivi gli ergastoli fatti comminare dal pool di Falcone e Borsellino, la mafia infatti ha la necessità impellente di nuovi interlocutori. E li cerca con le bombe. Bombe provvidenziali anche al completo cambio di scenario politico che nel giro di due anni, nel ’92 e nel ’93, biennio stragista, viene completamente stravolto.
Nella motivazione della sentenza di archiviazione di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, indagati come possibili mandanti esterni delle stragi il gip di Firenze aveva rilevato:

“Le indagini svolte hanno consentito l’acquisizione di risultati significativi solo in ordine all’avere Cosa nostra agito a seguito di input esterni a conferma di quanto già valutato sul piano strettamente logico; all’avere i soggetti [cioè gli odierni indagati, nda] di cui si tratta intrattenuto rapporti non meramente episodici con i soggetti criminali cui è riferibile il programma stragista realizzato, all’essere tali rapporti compatibili con il fine perseguito dal progetto.

Concludeva tuttavia:

“Sebbene l’ipotesi iniziale abbia mantenuto e semmai incrementato la sua plausibilità gli inquirenti non avevano potuto trovare, nel termine massimo di durata delle indagini preliminari, la conferma delle chiamate de relato e delle intuizioni logiche basate sulle suddette omogeneità”.

Forse oggi la grande paura di Berlusconi e Dell’Utri è che venga trovata proprio quella “conferma delle chiamate de relato e delle intuizioni logiche basate sulle suddette omogeneità” ed è per questo che il premier è già partito alla carica dei magistrati e Dell’Utri ha minacciato una davvero bizzarra iniziativa di commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi. Insomma il messaggio è che ci penseranno loro, di persona, a risolvere questa situazione.
Che coincidenza che tutto questo fermento di novità si stia concentrando proprio ora alla vigilia della decisione del giudice d’appello del processo Dell’Utri di sentire Massimo Ciancimino. Che dovrà spiegare anche la vicenda del documento ritrovato tra le carpette del padre in cui la mafia reclamava l’appoggio di una delle tv di Berlusconi per perorare le sue cause. Non sarà certo una decisione facile in questo clima tutt’altro che sereno.
Ma forse è per questo che è scattato il plotone delle mani avanti. 

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