Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di Giorgio Bongiovanni 

Intervista esclusiva di Georges Almendras al giornalista di ABC Color, Iván Leguizamón


Ciao Pablo,

sei un maestro di vita, sei un maestro di giornalismo, sei un fratello della causa. Ovunque tu sia, ti voglio bene, sempre ti ho voluto bene, sempre ti vorrò bene.
Tuo, Giorgio.


medina yt 4min



 

Undici anni fa l'omicidio di Pablo Medina in Paraguay: ''Ucciso per le sue inchieste''

di Jean Georges Almendras, corrispondente speciale in Paraguay

Intervista a Iván Leguizamón, giornalista di ABC Color. “Il caso Marset, il caso Pecci e il narcotraffico, sono parte di un medesimo contesto. Non finiscano nell’oblio”.

“Pablo era un mio amico, un mio collega. Era un grande giornalista; infatti, gli articoli che lo portarono alla morte li realizzavamo insieme: lui scriveva da là e io li trascrivevo qui; li costruivamo insieme. Pablo ha vissuto quella che è letteralmente la cronaca di una morte annunciata. Sapeva che lo avrebbero ucciso. Non sapeva quando, ma era consapevole del pericolo. La morte di Pablo fu un colpo durissimo per tutti noi, perché era qualcosa che sapevamo potesse accadere, ma non immaginavamo quando sarebbe successo. Pablo aveva una personalità un po’ paranoica: denunciava continuamente di essere pedinato, e in effetti lo era davvero. Quello che temeva alla fine si è avverato. Il ricordo che ci resta è che è stato ucciso per aver fatto il suo lavoro. Paradossalmente, solo dopo la sua morte tutto ciò che denunciava si è dimostrato vero". 

Così il giornalista investigativo del quotidiano ABC Color, Iván Leguizamón. Lo abbiamo incontrato nella redazione del giornale di Asuncion, perché proprio il 16 ottobre ricorre l’undicesimo anniversario dell’assassinio a colpi d’arma da fuoco del giornalista – che fu anche collaboratore della nostra rivista – Pablo Medina e della sua assistente diciannovenne, Antonia Almada, uccisi da due sicari che li tesero un’imboscata in un veicolo, sparando con armi di grosso calibro –una pistola e un fucile- a mezzogiorno del 16 ottobre 2014, su una strada sterrata nei pressi di Villa Igatimí, nel dipartimento di Canindeyú, nella zona della triplice frontiera. Si tratta di un’area dalla forte presenza del crimine organizzato, dedito alla coltivazione e al traffico di marijuana. In quel contesto, Medina lavorava da sedici anni per ABC Color. Due suoi fratelli, anch’essi giornalisti, Salvador e Salomón, furono a loro volta vittime della narcopolitica dominante nella regione, che imponeva la propria autorità con il piombo e il terrore. Dalla caduta del regime dittatoriale di Alfredo Stroessner a oggi, più di venti operatori dei media sono stati assassinati nella zona di Curuguaty e in città come Pedro Juan Caballero e Ciudad del Este. 

La morte di Medina e di Almada ebbe un fortissimo impatto sulla comunità giornalistica paraguaiana e nelle redazioni di Antimafia Duemila in Italia e in Sud America, poiché Pablo era collaboratore di entrambe. Gli sopravvissero la moglie Olga Vianconi e i figli Virgilio e Marianela, allora minorenni, residenti a Curuguaty. I genitori di Pablo, deceduti pochi anni dopo, furono costretti a vivere un dramma familiare, vedendo come i loro tre figli, i fratelli Medina giornalisti, diventarono bersaglio della mafia a causa delle loro denunce dei narcos e della politica regionale. E alla fine pagarono con la vita. 

Il mandante del delitto, Vilmar “Neneco” Acosta – sindaco di Ypejhú per il Partito Colorado – fu arrestato e condannato a trentanove anni di carcere, che sta scontando nella prigione di Tacumbú ad Asunción. I sicari, suoi parenti, furono arrestati in Brasile. Si sospetta, anche se non vi è certezza assoluta, che oltre ad Acosta vi fossero altri mandanti (si presume appartenenti a poteri mafiosi paraguaiani) coinvolti nell’attacco mortale. 

A undici anni da quell’attentato contro Pablo e Antonia – ai quali va il nostro omaggio, insieme a tutti i giornalisti assassinati in Paraguay – la presenza della narcomafia nel paese continua a mietere vittime. L’ultima, per esempio, è il tenente colonnello Guillermo Moral, ucciso a colpi d’arma da fuoco da sicari del narcotraffico nei giorni scorsi davanti alla Facoltà di Diritto di Asunción, dove era anche studente. Secondo le indagini, l’esecuzione sarebbe stata ordinata dall’interno del carcere in cui è detenuto il narcotrafficante noto come “Tío Rico”, legato al narcotrafficante uruguaiano Sebastián Marset, attualmente latitante. 

A undici anni dall’assassinio di Pablo Medina e di Antonia Almada – la cui sorella Rut si salvò miracolosamente, poiché il 16 ottobre si trovava sul sedile posteriore del veicolo e non fu notata dai sicari – nell’intervista realizzata con Iván Leguizamón (autore per ABC Color del documentario “Expediente Abierto”, che ricostruisce l’attentato Medina-Almada con importanti testimonianze), il giornalista ha parlato non solo del caso, ma ha anche fatto un’analisi approfondita sulla presenza della narcomafia in Paraguay. Ha parlato anche del procuratore Marcelo Pecci, assassinato in Colombia, e del caso Marset, accennando inoltre al recente attentato fallito contro la procuratrice generale uruguaiana Mónica Ferrero, avvenuto lo scorso 28 settembre a Montevideo. 
 


leguizamon almendras

Jean Georges Almendras e Iván Leguizamón  
 

“Il narcotraffico e la politica sempre più solidi in Paraguay”

“Per noi, qui in Paraguay, Pablo Medina ha rappresentato una sorta di “punto fermo”; ma purtroppo, invece di diminuire, i delitti si sono moltiplicati. Il caso Medina non ha avuto un effetto deterrente sulla narcopolitica: sebbene siano state pronunciate condanne e gli autori materiali siano in carcere – uno ha già scontato la penaquesto non ha portato alcun cambiamento.

Al contrario, da allora il Paraguay è diventato il principale trampolino del crimine organizzato verso il Sud America, superando l’Uruguay che in passato era l’ultimo porto di partenza. Oggi il Paraguay è la tappa principale e l’Uruguay una scala secondaria. La maggior parte della cocaina che arriva in Europa parte dal Paraguay. Esistono anche altri paesi produttori, come Colombia, Venezuela o Ecuador, ma per posizione geografica è più facile inviare da qui. Questa trasformazione del Paraguay è dovuta in gran parte all’alleanza tra narcotraffico e politica, che sono sempre più uniti in Paraguay, e questa alleanza sta pericolosamente conquistando tutto.”

E ciò ha rafforzato, per esempio, il narcotrafficante uruguaiano latitante Sebastián Marset?

“Marset è uno di loro. Non possiamo ignorare la portata di Marset e del suo gruppo. Il suo gruppo è stato identificato e in parte smantellato in Paraguay. L’indagine sul narcotraffico e il crimine organizzato più importante della storia del paese è proprio quella del caso “A Ultranza”. Non c’è precedente di simile entità. Tuttavia, esistono diversi gruppi paralleli. Uno di essi, guidato da Diego Benítez, dirigente sportivo, usava come copertura il club di calcio più prestigioso del Paraguay, l’Olimpia.

L’ascesa economica di Diego Benítez coincide, economicamente parlando, con il periodo in cui iniziò come dirigente nel Guaraní, una delle squadre più importanti, poi dell’Olimpia, proprio nello stesso periodo quando furono spediti carichi di cocaina.

Non è un solo gruppo: Marset è forse il più noto, ma in Paraguay abbiamo scoperto che diversi operavano contemporaneamente e cooperavano tra loro. I messaggi chat estratti da Europol dimostrano che tutti lavoravano in vere e proprie cooperative, cioè si aiutavano tra loro basicamente e questo conferma che il Paraguay era divenuto scenario di organizzazioni impensabili nel nostro paese.”


Con l’influenza, ad esempio, della ’Ndrangheta italiana?

“L’unica volta che si è rilevata qui una presenza concreta della ’Ndrangheta è stata quando furono arrestati due membri attivi nel dipartimento di San Pedro, giunti apparentemente per negoziare. Tuttavia, quella parte del caso non è mai stata chiarita, perché furono subito consegnati. Non ci sono prove concrete di un legame diretto tra la mafia italiana e il Paraguay. Ci sono invece alleanze con il PCC in Brasile, e di conseguenza si può ipotizzare che la collaborazione tra la ’Ndrangheta e il PCC abbia ramificazioni in Paraguay, ma non esiste un nesso comprovato.”

Caso Pecci, non c’è alcuna prova certa in nessun livello sui mandanti

“Nel caso Pecci, chi oggi afferma che una persona specifica lo abbia fatto uccidere si sbaglia. Non esiste alcuna prova certa a nessun livello.”


È sempre la parte più difficile…

“Credo che sia il più grande enigma negli ultimi tempi in Sud America. Inizialmente si collegava al caso “A Ultranza” e a Marset. Parliamo di Marset ad esempio. Fu il presidente colombiano Gustavo Petro il primo ad accusarlo pubblicamente. Tuttavia, bisogna analizzare il contesto: in Colombia, il figlio del presidente è imputato, e chi era il Procuratore che aveva incriminato suo figlio? È lo stesso che aveva condotto il caso Pecci. E quando Petro è entrato in carica,  ha messo da parte il procuratore che ha ottenuto le condanne, Mario Andres Burgos Patiño. In altre parole, il Presidente della Colombia risponde a interessi politici e personali. Quindi "usa" e invoca il caso Pecci per scopi politici, per attaccare il procuratore che ha processato suo figlio. Prendere per vero ciò che dice il presidente colombiano è molto..."




Il documentario "Pablo Medina: Morte di un Giusto" realizzato nel 2015 da ANTIMAFIADuemila TV
 

Tra virgolette, diciamo?

“Esatto. Pecci non era coinvolto nel caso A Ultranza; è un mito che si è ingigantito senza fondamento. Pecci era procuratore contro il crimine organizzato, mentre A Ultranza era seguito da procuratori del narcotraffico. Solo ora le due unità sono state fuse. Pecci era un delegato del crimine organizzato, non della sezione narcotraffico.”


E riguardo alla moglie di Marset, detenuta in attesa di giudizio, quanto è coinvolta in attività di narcotraffico?

“L’imputazione contro di lei potrebbe essere piuttosto debole. È accusata di aver creato un’impresa attraverso la quale sarebbero transitati fondi di provenienza illecita. Si sostiene che avesse dichiarato un reddito di 7.000-7.500 dollari al mese e che quei soldi provenissero dal traffico di cocaina. È un’accusa labile: sarà compito della procura dimostrarla. Esistono però indizi più solidi contro altri presunti riciclatori di denaro.”


Dove potrebbe essere nascosto Marset? In Venezuela, Uruguay, Paraguay, Bolivia? Cosa ne pensi?

“Dovremmo credere ciecamente alla parola degli Stati Uniti, che dicono Venezuela perché i telefoni da cui comunica hanno prefisso venezuelano? È assurdo pensare che si esponga così. In Paraguay c’è timore che possa ricomparire, perché è una persona imprevedibile. Quando arrestarono la moglie, prevedemmo pubblicamente che, conoscendo il suo comportamento abituale, avrebbe parlato entro pochi giorni. Tre giorni dopo, infatti, diffuse la sua lettera pubblica. È difficile pensare che, se fosse nei dintorni, si esporrebbe tanto.”


Che impressione ti ha fatto l’attentato contro Mónica Ferrero a Montevideo?

“Ci ha spaventato, perché se fosse stato Marset, significherebbe che è ancora attivo. La politica e la giustizia uruguaiane forse non le conosciamo in profondità, ma secondo i nostri colleghi, il principale sospettato di averla minacciata è proprio lui. Se ha osato nel suo stesso paese, significa che anche noi in Paraguay siamo tutti vulnerabili.

Questa è la lettura che possiamo fare noi. Così come per voi in Uruguay, anche per noi in Paraguay, ogni episodio che avviene là e che ha legami con il nostro paese ci richiama immediatamente l’attenzione. E se lui ha osato farlo lì, significa che può farlo anche qui. Tuttavia, è proprio su questo punto che la questione si indebolisce: qui in Paraguay, purtroppo, la vicenda ha perso credibilità a causa di una giornalista uruguaiana che disse di essere venuta a intervistare Marset — dico “venuta” perché in realtà non sappiamo dove sia andata —. Questa giornalista uruguaiana sostenne di aver intervistato Marset in Paraguay, raccontando che era scesa all’aeroporto, che l’avevano prelevata e portata in una fattoria dove lo aveva incontrato. Le autorità nazionali, con grande lucidità, chiarirono che la donna era semplicemente scesa dall’aereo, aveva atteso che venisse pulito e poi, con lo stesso volo, era ripartita verso la frontiera. In altre parole, mentì apertamente cercando di diffondere una versione che non corrispondeva alla realtà. A partire da quella menzogna è molto difficile credere a ciò che voleva far credere, cioè che Marset si trovasse in Paraguay. Per questo dobbiamo verificare tutto accuratamente.


medina don gent conces

Per gentile concessione di Olga Vianconi
  

Non lasciare che i casi finiscano nell’oblio

Qual è la tua riflessione finale, alla luce di tutto questo contesto e del lavoro di Medina allora e oggi? Come si combatte il narcotraffico?

“Con giustizia, non con l’impunità. Con condanne reali.”


Ma come si arriva a quelle condanne?

“Ecco il problema. In Paraguay abbiamo gravi carenze nell’applicazione della giustizia. Il caso Medina è un’eccezione: l’autore morale, il narco-politico, sta scontando trentanove anni di prigione.”


Neneco… e gli altri due sicari?

Flavio Acosta Riveros, che sparò con la pistola, è in Brasile e sta scontando trentasei anni di carcere.”


In Brasile…

“Sì. Lo zio, Wilson Acosta Márquez, fratello di Neneco, è detenuto dal 2020, ma c’è una battaglia giudiziaria: il Brasile non vuole estradarlo e Paraguay dovrebbe trasferire il processo per farlo condannare là, ma tutto è fermo. Non abbiamo neppure la certezza che sia ancora detenuto; fu catturato cinque anni fa nello stato di Mato Grosso grazie a un’operazione efficace della polizia civile brasiliana.”


Tornando al tema di come si combatte il narcotraffico?

“Non lasciandolo impunito. E questo paese è specialista nel far cadere i casi nell’oblio. Qui diciamo ‘en el oparei’, che significa ‘restare nel nulla’. E ciò favorisce la crescita e il consolidamento dei gruppi criminali radicati nella narcopolitica. Peggio ancora, i loro rappresentanti siedono in tutti gli organi giudiziari. In Paraguay abbiamo l’assurdità di avere come presidente del Giurì d’Accusa dei Magistrati – l’organo che giudica i giudici – un senatore che non è neppure avvocato, e che ora deve affrontare un processo per aver mentito sul suo titolo di studio. Non ha mai frequentato una facoltà di giurisprudenza.”


Una carica politica, dunque?

“E lui era il presidente del Giurì! Quale messaggio trasmettiamo così? Da queste manovre impunite, che durano da anni, nasce l’impossibilità di vedere soluzioni reali in Paraguay.”


E vedi l’Uruguay su quella stessa strada?

“Sinceramente, non conosco abbastanza la realtà interna dell’Uruguay per dare un giudizio approfondito. Per noi il vostro paese è moderno, civile, con un alto livello di educazione civica. Ma anche lì, ultimamente, il crimine organizzato sembra infiltrarsi in vari settori. Tuttavia, dare un’opinione più precisa sarebbe irresponsabile.”


medina almada tw telefuturo

Pablo Medina e Antonia Almada


In foto di copertina: Pablo Medina insieme al direttore Giorgio Bongiovanni
  
ARTICOLI CORRELATI

L'assassinio del mio amico e fratello Pablo Medina 10 anni or sono
Giorgio Bongiovanni

Solo resistenza: l'omicidio di Pablo Medina ed Antonia Almada dieci anni dopo

Morte di un giusto
Dossier di Antimafia Dos Mil Paraguay

Pablo Medina, in memoria di un giusto
di Giorgio Bongiovanni

La vittoria dei giusti
di Giorgio Bongiovanni

Ecco i nomi dei mandanti esterni dell'assassinio del nostro amico Pablo Medina
di Giorgio Bongiovanni e Matías Guffanti

Omicidio Medina: condannato il mandante Vilmar Acosta
di Jean Georges Almendras

Paraguay, omicidio Pablo Medina e della sua assistente: arrestato un altro membro del clan Acosta
di Jean Georges Almendras 

Georges Almendras a Rai3: ''La 'Ndrangheta avvelena le democrazie''

Dieci anni senza verità: l'assassinio di Pablo Medina e il patto tra Stato e narcos
     

TAGS:

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos