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L’ex colonnello De Donno, amico dei mafiosi, di Marcello Dell’Utri

Potrebbero menti raffinatissime ai vertici dello Stato italiano pilotare l'attività della Commissione parlamentare antimafia? Potrebbero quelle stesse menti raffinatissime condizionare familiari di vittime innocenti della mafia? Sì, può accadere in questo Paese.
Ed è quello che si evince osservando quel che sta accadendo, come dimostrato da Report, programma condotto da Sigfrido Ranucci, nell'inchiesta condotta da Paolo Mondani, “Mori va alla guerra”.

Dopo le anticipazioni dei giorni scorsi, pubblicate su Il Fatto Quotidiano, abbiamo sentito tutti le intercettazioni in cui l'ex generale del Ros, imputato e poi assolto nel processo trattativa Stato-mafia così come in altri processi, ed oggi indagato a Firenze per le stragi del 1993 con l’aggravante della finalità mafiosa e terroristica, in quanto “pur avendone l’obbligo giuridico, non impediva, mediante doverose segnalazioni e/o denunce all’autorità giudiziaria, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative e/o preventive, gli eventi stragisti di cui aveva avuto plurime anticipazioni”, eventi poi verificatisi a Firenze, Roma e Milano tra maggio e luglio 1993.

È evidente che l’ex numero uno del Sisde si sarebbe mosso per influenzare i lavori della Commissione antimafia non solo tentando di infilare personaggi a lui vicini come consulenti dell’organismo parlamentare presieduto da Chiara Colosimo, ma anche per rimuovere figure a lui sgradite come il senatore cinquestelle, ex Procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato.
Se questi sono i fatti, è chiaro che le audizioni che si sono tenute nei mesi scorsi dello stesso Mori, nonché del colonnello Giuseppe De Donno, non sono altro che una farsa.

Perché la signora Colosimo non interviene sul punto? Perché non svela i nomi dei due parlamentari dell’antimafia incontrati da Mori citati nell’inchiesta? È evidente che, se i fatti rivelati da Report fossero accertati, questa Commissione antimafia si troverebbe di fronte a un conflitto di interessi senza precedenti.
Forse dovremmo credere che queste operazioni siano state svolte a sua insaputa?
Forse dovremmo far finta di non sapere che in passato proprio Mario Mori si era recato personalmente con l’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli del giudice Borsellino, ed una delegazione del Partito Radicale, per “esprimere solidarietà dopo le critiche sulla sua elezione” ed auspicare “un cambio di gestione politica della Commissione antimafia che tenga anche conto di alcuni membri che sono in palese conflitto di interessi rispetto ai loro compiti precedenti”.


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Fabio Trizzino © Paolo Bassani


Detto fatto, oggi (ieri) Report ci ha svelato altri passaggi di tutta questa scandalosa vicenda volta a pilotare uno degli organi istituzionali più importanti del nostro Parlamento.
Ma ci sono anche altri fatti che vanno evidenziati.
Le audizioni dei “testimoni” Mario Mori e Giuseppe De Donno sono intrise di elementi “falsi e depistanti”, da cui la Presidente della Commissione antimafia (che dovrebbe essere super partes) dovrebbe prendere immediatamente le distanze.

Basti pensare al dato falso per cui i due carabinieri hanno sostenuto che Alberto Lo Cicero, il pentito della pista nera, “era già stato giudicato del tutto inattendibile da Falcone”.
Oggi, grazie a una relazione del Movimento Cinque Stelle, è emerso documentalmente che Lo Cicero iniziò a collaborare il 24 luglio 1992, due mesi dopo la strage di Capaci: per ovvi motivi temporali, dunque, Falcone non si occupò mai delle sue dichiarazioni.

E cosa dire delle assurde giustificazioni dette sulla mancata perquisizione del covo di Riina?
A Mori poco interessa se gli stessi giudici ne hanno evidenziato condotte “certamente idonee all'insorgere di una responsabilità disciplinare”.
Pecche operative emerse anche nelle valutazioni dei giudici d'appello del processo che lo ha visto assolto "perché il fatto non costituisce reato", assieme al fedelissimo colonnello Obinu, per il mancato blitz a Mezzojuso, dove si nascondeva Bernardo Provenzano.

La Commissione parlamentare antimafia non considera queste cose, così come non tiene conto delle ombre sul passato di Mori quando si trovava in servizio al Sid (Servizio Informazioni Difesa, ex Sismi, attuale Aise, ndr) emerse da svariate inchieste.
Mori agisce e va alla guerra, come ha titolato Report. Come un faccendiere porta avanti il lavoro di chi vuole allontanare la ricerca della verità.
E la Colosimo accetta, silente, la dottrina, alimentando lo scandalo di una Commissione parlamentare antimafia che preferisce parcellizzare ed atomizzare la storia delle stragi, concentrandosi unicamente su quella di via D'Amelio, seguendo l'unico filone del possibile interesse di Paolo Borsellino per la nota inchiesta “Mafia-Appalti”.
Proprio l'inchiesta del Ros di Mori e De Donno.

Nessun imbarazzo nemmeno quando il secondo dei due ha ammesso l'amicizia con un mafioso a tutti gli effetti: l'ex senatore Marcello Dell'Utri, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
Quando alcuni senatori del PD gli hanno ricordato le conversazioni intercettate nel 2012 nelle quali De Donno gioiva con Marcello Dell’Utri per l’annullamento (con rinvio) in Cassazione della sentenza di condanna in appello per concorso esterno in associazione mafiosa, De Donno ha risposto: Marcello Dell’Utri è una persona che stimavo e stimo perché ritengo che sia fuori da quel concetto”.


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Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi © Imagoeconomica


Ma la storia di Dell'Utri, garante dell'accordo tra Silvio Berlusconi e Cosa nostra, non si cancella, così come le parole dette al tempo, imbarazzanti.
Le ha fatte ascoltare ieri Report. De Donno e Mori erano felici per la ‘mazzata’ presa dai PM di Palermo, che l'ex generale del Ros ha detto senza mezzi termini di disistimare.

L'immagine che resta è quella di un mondo al contrario in cui un condannato definitivo per mafia (9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, pena scontata) torna a ricevere la stima, oggi, di un ex colonnello dei carabinieri.
Non è una fiction.

Così come non sono fiction altri fatti che riguardano sempre la Colosimo.
Sin dal momento della sua elezione si trova al centro di forti polemiche.
Già al tempo era stato evidenziato l'atteggiamento amicale da lei avuto (come testimonia l'ormai nota foto dei due sottobraccio) con il terrorista stragista dell'eversione di destra Luigi Ciavardini (esponente del gruppo eversivo neofascista dei Nar, condannato definitivamente per l'omicidio del poliziotto Francesco Evangelista, del magistrato Mario Amato e ovviamente per la strage della stazione di Bologna).

Recentemente, intervistata dal collega Paolo Borrometi, la Colosimo si è scusata se quella fotografia può aver dato fastidio, ma ha continuato a minimizzare su quell'episodio dando una sua spiegazione.
Dall'altra parte, però, si è mossa in maniera ridicola querelando il giornalista Saverio Lodato per quanto fu detto durante una puntata di Otto e Mezzo su La7, nell'ottobre 2024.
Eppure basta andare a rivedere quella puntata per rendersi conto che Lodato non aveva fatto altro che ricordare la polemica e parlare di alcuni fatti che oggi tornano in auge.

Staremo a vedere. Anche perché Lodato ha già anticipato di essersi rivolto al suo avvocato per citare in giudizio la stessa Colosimo per calunnia.
Di fronte a così tanti scandali, la Presidente della Commissione antimafia dovrebbe rendersi conto che le scuse non bastano.
E forse neanche le dimissioni, sempre più dovute.

Rielaborazione grafica by Paolo Bassani

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Di Saverio Lodato
   

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