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L'intervista esclusiva al sostituto procuratore nazionale antimafia

 



Visto il grande interesse che questa prima parte di intervista sta suscitando nei nostri lettori, con oltre 25mila visualizzazioni in meno di 48 ore, abbiamo deciso di permetterne la visione nella nostra homepage ancora per alcuni giorni. La seconda parte sarà in linea sabato 14 dicembre. Restate con noi.




Antonino Di Matteo
, 63 anni, da 33 in magistratura, sposato e padre di due figli. Già sostituto procuratore della Repubblica a Caltanissetta e a Palermo, è stato membro togato del Consiglio superiore della magistratura, oggi è sostituto procuratore alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Nella sua carriera ha istruito e rappresentato l’accusa in centinaia di processi contro la Mafia “militare”, colletti bianchi, politici, pubblici amministratori e imprenditori. 
Vale la pena ricordare il Borsellino ter, quello per la strage Chinnici, per l’omicidio del Giudice Saetta e del figlio Stefano, per la scomparsa e l’omicidio del giovane poliziotto che collaborava con i servizi, Emanuele Piazza.
O ancora quello al Presidente della Regione siciliana Totò Cuffaro, al deputato regionale Mercadante, all’ex capo della Criminalpol di Palermo Ignazio D’Antone, alle “talpe” alla procura di Palermo. Per concludere con il mancato arresto di Bernardo Provenzano a Mezzojuso e quello sulla trattativa Stato-mafia. 
Proprio la ricerca della verità sui mandanti esterni delle stragi lo ha posto al centro del mirino del sistema criminale.
E' stato minacciato, condannato a morte dal Capo dei capi Totò Riina e da Matteo Messina Denaro, calunniato, ha subito costanti e ripetuti attacchi. Ha rilasciato un'intervista esclusiva che proponiamo ai nostri lettori in tre puntate.
In questa prima parte viene subito affrontato il tema delle stragi di mafia e della ricerca della verità sui mandanti esterni. "Il depistaggio che riguarda le indagini di via d'Amelio non inizia poi con Scarantino, ma ben prima - spiega Di Matteo - inizia pochi minuti dopo l'esplosione quando viene sottratta l'agenda rossa dalla borsa del giudice Borsellino. Una cosa è stata accertata: che Borsellino aveva con sé quell'agenda e che era solito annotare non solo tutto quello che faceva, ma anche le considerazioni che riteneva più importanti soprattutto in merito a quello che poteva essere il mandante o i mandanti o i moventi veri della strage di Capaci. Quindi è quella, come ha ribadito più volte Salvatore Borsellino, la scatola nera della nostra Repubblica". E poi ancora: "Quello che sta facendo la Commissione parlamentare antimafia in carica è a mio avviso molto pericoloso e dannoso per l'accertamento della verità, perché piuttosto che indagare sul contesto delle sette stragi avvenute in Italia tra il 1992 e l'inizio del 1994, quella Commissione antimafia si concentra soltanto su una strage, quella di via d'Amelio, e prevalentemente soltanto su una possibile pista, quella degli appalti. Per capire quello che è successo, come è successo e perché è successo non si può atomizzare la ricerca e l'indagine. Non si può isolare un fatto stragista dagli altri, precedenti e successivi, perché altrimenti si perde la visione di insieme che da sola costituisce un presupposto necessario per andare avanti".
Buona visione.

Continua

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