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In libreria esce il libro di Michele Riccio e Anna Vinci

E' un pezzo di storia quello che si legge nelle pagine del libro scritto da Michele Riccio ed Anna Vinci "La strategia parallela - Il progetto occulto di assalto alla Repubblica", edito da Zolfo, dal 22 novembre disponibile nelle librerie italiane. Da una parte il generale dei carabinieri che nel corso della sua carriera ha dato un importantissimo contributo nella lotta al terrorismo accanto al Generale Carlo Alberto dalla Chiesa e poi nella lotta alla mafia e la ricerca dei mandanti esterni delle stragi degli anni Novanta con l'inchiesta "Grande Oriente", gestendo il rapporto con Luigi Ilardo, collaboratore di giustizia mancato solo sulla carta ucciso il 10 maggio 1996, che nel 1995 aveva portato gli investigatori sulla "soglia di casa" di Bernardo Provenzano a Mezzojuso. Dall'altra Anna Vinci, scrittrice, biografa di una “Partigiana della Democrazia” come Tina Anselmi (“La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi”, Chiarelettere, e “Storia di una passione politica”, Sperling); autrice dei libri sulla vita del collaboratore di giustizia palermitano Gaspare Mutolo (“La Mafia non lascia tempo” - ristampato con Chiarelettere); e quello sulla storia di Luana Ilardo, figlia di Luigi Ilardo ("Luigi Ilardo - Omicidio di Stato” edito da Chiarelettere).
Due esperienze che si fondono nel racconto di un libro verità che svela gli intrecci tra mafia, massoneria e servizi segreti italiani.
Ho avuto l'opportunità di conoscere entrambi in questi anni e con loro ci siamo confrontati più volte sulle esperienze vissute.
Non è facile ripercorrere i momenti che hanno segnato profondamente la propria vita.
Il generale Riccio lo ha fatto più volte, testimoniando in importantissimi processi, e continua ancora oggi a farlo con queste pagine.
Raccontandosi ad Anna Vinci, così come in passato hanno fatto la Tina Anselmi, Gaspare Mutolo e Luana Ilardo, permette al lettore di entrare ancor di più nel profondo di quello che è stato il suo percorso, entrando anche nell'intimo del sacrificio che ha dovuto affrontare lungo il percorso professionale, ma anche familiare.
Così nel libro la penna sapiente di Anna Vinci ci mostra il volto di un uomo che ancora oggi va oltre sé stesso, anche a rischio di affrontare una nuova battaglia.


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Luigi Ilardo


Cammino insieme

Correva l'anno 2000 quando con il collega ed amico, Lorenzo Baldo, abbiamo conosciuto Riccio per la prima volta a Roma, davanti alla Cassazione.
Eravamo cronisti con il desiderio, forse utopico, di raggiungere la verità sui mandanti esterni delle stragi. Era questo, del resto, lo spirito con cui nasce il nostro giornale, ANTIMAFIADuemila.
Rimanemmo profondamente colpiti dal racconto del generale su fatti che, da lì a poco, sarebbero poi divenuti noti al grande pubblico. La mancata cattura di Bernardo Provenzano, la trattativa Stato-mafia, i risvolti nascosti dietro ai delitti eccellenti del nostro Paese e il dramma di un servitore dello Stato che, per le sue denunce, è stato ingiustamente isolato ed accusato da quelle stesse Istituzioni che ha sempre onorato e cercato di proteggere.
C'è tutto questo nella pubblicazione del generale Michele Riccio e di Anna Vinci. Dopo quella lunga chiacchierata il Colonnello si convinse che era il momento di andare dal pm Nino Di Matteo, dando il via, di fatto, a quel percorso investigativo che poi ha portato a vari processi.
Tornando al libro, che non fa sconti a nessuno, riteniamo che sia più che mai necessario in questo tempo in cui in Parlamento sono in discussione leggi che incidono sulla giustizia, sulla libertà di informazione e sulla lotta alla mafia.
In questi anni si è passati dal revisionismo, alla rimozione dei fatti fino a giungere a qualcosa di forse peggiore: la restaurazione.
Come scrive Riccio nella sua introduzione "le dittature di qualunque tipo sono un male e noi dobbiamo difendere la nostra libertà, combattendo contro ogni prevaricazione, ogni alleanza politica, mafiosa e massonica, che diventa ogni giorno sempre più stretta per attivare il circuito potere-profitto".
Accompagnato dalla penna sapiente di Anna Vinci in oltre quattrocento pagine vengono messi in fila i ricordi che permettono di comprendere non solo il passato, ma anche il presente, se non addirittura il futuro che si presenta a tinte sempre più fosche. Attraversando la storia del Paese ci confrontiamo con la storia di un uomo e con le scelte che ognuno di noi può fare se davvero si vuole vedere un cambiamento in questo mondo oscuro.


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Il generale dei carabinieri, Michele Riccio


Strategia della tensione

Pagina dopo pagina, dicevamo, i lettori si immergono in una trama che non è fiction, ma piena di fatti reali, nomi e cognomi di figure che hanno segnato il tempo della nostra Repubblica.
Il punto di vista iniziale è quello di un ragazzo ventenne che entra nell'Arma e che, nel corso della carriera, si è dovuto confrontare con la strategia della tensione.
Vengono messe in evidenza le inquietanti relazioni tra gli ambienti delle forze armate e quelle delle massonerie in un tempo in cui l'Italia era “terra di confine  e di scontro, di influenza politica e di intelligence fra i Paesi della Nato e il Patto di Varsavia”.
Un susseguirsi di avvenimenti, dal 1969 al 1980, segnati da stragi ed episodi correlati come (per citarne alcuni) l'assassinio del commissario di pubblica sicurezza Luigi Calabresi (7 maggio 1972); le violenze subite dall'attrice Franca Rame, compagna di Dario Fo (9 marzo 1973); l'uccisione dell’agente Antonio Marino (12 aprile 1973), o la strage alla questura di Milano (10 maggio 1973).
Ci sono poi i tentativi di colpo di Stato (Piano Solo, Golpe Borghese e Golpe Bianco), spenti sul nascere dalle stesse mani che li avevano predisposti, nonché i sequestri di persona delle Brigate Rosse, su tutti quello dell'onorevole Aldo Moro, poi ucciso nel maggio 1978.
Tutto al fine di “ostacolare, nell’ambito della guerra fredda, l’Unione Sovietica e l’ascesa del Partito comunista e mantenere l’Italia in una posizione anticomunista, centrista e filoatlantica”.


Nomi che tornano

Nel libro compaiono i nomi di tanti protagonisti della nostra storia politico-eversiva. Quelli di Junio Valerio Borghese, Gianadelio Maletti, Vito Miceli, Licio Gelli o Giulio Andreotti, scorrono veloci accanto alle grandi strutture deviate e devianti: servizi segreti paralleli, P2, logge massoniche di vario genere, Gladio e così via.
Riccio e Vinci analizzano ogni passaggio.
Particolarmente intensi, accompagnati da un ritmo serrato di ricordi, i capitoli dedicati alle indagini sulle Brigate Rosse ed il rapporto stretto con il generale dalla Chiesa.


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Licio Gelli © Imagoeconomica


Un racconto che affronta anche l'argomento della presunta iscrizione, da parte del Generale, alla loggia P2.
“Eventi criminali che, al pari di altri avvenuti in quegli anni, avevano fatto sorgere al Generale il concreto sospetto che queste manifestazioni: «attribuibili all’estrema destra trovassero supporto o sostegno in ambienti politici e non lontani dalla massoneria». Confrontandoci, Bozzo e io, comprendemmo che il Generale sospettava dell’esistenza di un unico filo nero che legava tra loro stato parallelo, massoneria, servizi deviati, destra eversiva, un settore delle Br e la criminalità organizzata; vedi Cosa nostra, 'Ndrangheta e Camorra. Eravamo intorno all’anno 1976, il superiore mi confidò che il Generale stava attraversando un periodo di forte isolamento e di avversione da parte di un settore interno all’Arma di chiara matrice massonica. Per superare quell’opposizione strisciante che gli impediva di portare a termine il lavoro e stava pregiudicando la sua carriera, aveva dovuto fare domanda di adesione alla Loggia P2”.
E' noto che dalla Chiesa, sentito dai giudici istruttori milanesi che indagavano sulla P2, Turone e Colombo  ammise di essersene interessato ma a scopo investigativo.
“Ad anticipare le dichiarazioni di dalla Chiesa ai magistrati milanesi – ricordano sempre Anna Vinci e Michele Riccio - era stato per altro lo stesso Bozzo nell’aprile 1981, che poi rese pubbliche il 5 gennaio del 1984 nell’intervista resa al giornalista Giuseppe Fava che la pubblicava con il titolo: I nemici di dalla Chiesa sul periodico «I Siciliani», di cui era direttore ed editore. Giuseppe Fava venne poi assassinato da killer di Cosa nostra.
L’articolo riportava le dichiarazioni dell’aprile 1981 dell’allora tenente colonnello Bozzo ai già menzionati magistrati di Milano, che anticipavano di pochi giorni quelle rese dal generale dalla Chiesa. Bozzo denunciava l’esistenza di un forte gruppo di potere all’interno dell’Arma di ispirazione massonica con chiari riferimenti a obbedienze occulte alla Loggia P2, che nel giugno 1979 aveva tentato a Milano di contrastare e inquinare le attività d’indagine del generale dalla Chiesa e dei suoi uomini, che non avevano come avversari solo le Br.
Richiamava le disposizioni ricevute dal generale dalla Chiesa di effettuare indagini con il «fedele» capitano Riccio su questi ambienti di potere, e importante era anche il richiamo che faceva alla poco trasparente carriera seguita dal generale dei carabinieri Pietro Musumeci. Ufficiale di origine catanese che, per conto della P2 e avvalendosi della collaborazione di personaggi come Flavio Carboni e Francesco Pazienza, aveva realizzato una rete eversiva ai vertici dei servizi segreti italiani”.

Il Generale dalla Chiesa era scomodo ed andava eliminato, così come avvenuto il 3 settembre 1982 in via Carini, a Palermo. Una strage eseguita da Cosa nostra, ma su ordine di altri.
Lo aveva fatto capire chiaramente il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro al suo amico fidato Salvatore Aragona, intercettato nel 2001 dai magistrati di Palermo coordinati dal pm Nino Di Matteo (oggi sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del Csm) che indagavano sull’ex governatore della Sicilia Salvatore Cuffaro, poi condannato in via definitiva per favoreggiamento aggravato alla mafia.
“Ma chi cazzo se ne fotteva di ammazzare dalla Chiesa, andiamo, parliamo chiaro” disse il capomafia. “Ma perché noi dobbiamo sempre pagare le cose”, accennò Aragona. “E perché glielo dovevamo fare questo favore”, rispose Guttadauro.

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Carlo Alberto dalla Chiesa © Franco Zecchin
  

I mandanti esterni delle stragi

L'argomento dei mandanti esterni delle stragi era stato al centro dei dialoghi con Riccio ogni volta che ci siamo incontrati nel corso degli anni. Il collaboratore, infiltrato in Cosa nostra, Lugi Ilardo aveva svelato l'esistenza di questi intrecci.
Nel libro se ne parla abbondantemente.
Ricorda Riccio nel capitolo 63: “Nel riprendere i nostri colloqui in merito ai mandanti esterni degli attentati degli anni 1992-1993 dei quali ci stavamo per occupare, Luigi Ilardo mi chiese di porre particolare attenzione al fatto che questi erano la continuità di uno stesso ambiente politico-istituzionale che, avvalendosi del supporto dei servizi segreti, della destra eversiva e della massoneria, a far da collante, avevano dato vita a una strategia golpista e stragista sin dai primi anni Settanta. Certo, per il trascorrere del tempo e gli avvenimenti accaduti, molti protagonisti erano stati sostituiti da altri, sempre altrettanto idonei a svolgere il compito: tutti appartenevano al medesimo ambiente. Ambienti che nel tempo avevano notevolmente inquinato lo Stato”.
“Ilardo – conferma il generale - avrebbe dato un determinante apporto al magistrato per fare luce su quei rapporti che settori deviati delle istituzioni avevano con Cosa nostra, per realizzare affari, commissionare stragi e delitti «eccellenti». Volle indicarmi anche alcune di queste vittime: l’onorevole Pio La Torre, il presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella e l’ex sindaco di Palermo Giuseppe Insalaco. Avrebbe fatto luce anche su tre delitti che avevano fortemente scosso l’opinione pubblica: l’assassinio del piccolo Claudio Domino del 7 ottobre del 1986; quello dell’agente di polizia Antonino Agostino e della moglie Ida Castelluccio del 5 agosto del 1989, quello dell’agente di polizia Emanuele Piazza del 16 marzo del 1990. Nominò anche il noto, fallito attentato esplosivo nei confronti del giudice Giovanni Falcone del 21 giugno 1989. Questi delitti avevano visto il coinvolgimento del Sisde, così come il fallito attentato dell’Addaura. Durante la loro realizzazione il Sisde aveva inviato in quei luoghi anche un suo agente che venne descritto a Ilardo da suo cugino «Piddu» Madonia, in un incontro del 1990, come una «persona alta, magra e di brutto aspetto». Una conferma di quanto aveva già appreso da altri detenuti, affiliati di livello a Cosa nostra. Il collaboratore mi sintetizzò il tutto con l’epiteto «faccia da mostro» che poi diventerà iconico”.
E poi ancora: “Parlando di strategia stragista e dei suoi mandanti, perdonatemi se rimarcherò costantemente due aspetti che sono collegati: i mandanti di determinati delitti non furono solo i vertici di Cosa nostra, ma altri esterni all’organizzazione dai quali nacque l’esigenza di perpetrarli”. E secondo il Generale Riccio anche l’assassinio di Ilardo “trova ragione nella tutela di tale alleanza”.
Il contributo di Ilardo sarebbe stato dirompente nella lotta alla mafia e ai cosiddetti sistemi criminali.
Non avrebbe solo parlato dei mandanti esterni delle stragi, ma anche di tutti quei soggetti di collegamento tra mafia, apparati dello Stato, mondo della finanza e della massoneria.
Durante la sua collaborazione da infiltrato aveva indicato Marcello Dell'Utri come persona contigua a Cosa nostra; aveva raccontato dell'ordine impartito da Provenzano per cui nel 1994 si era stabilito di votare Forza Italia; quindi aveva fatto rifeirmento anche alla presenza di figure ibride vicine a Cosa nostra come Gianni Chisena e Luigi Savona.


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Marcello Dell'Utri © Imagoeconomica


Chisena, criminale al servizio dello Stato-mafia

Quest'ultimo, già appartenete alla Rsi, era Gran Maestro della Serenissima Gran Loggia Nazionale degli Antichi Liberi Accettati Muratori Obbedienza di Piazza del Gesù. Tramite Chisena, anch'egli massone, Savona negli anni Settanta aveva avuto il compito di porre in essere l’ingresso di Cosa nostra nella massoneria. “Lo scopo – spiegano gli autori nel libro - era quello di ottenere un aiuto dalla mafia per i progetti golpisti, in cambio della promessa di favorire la scissione della Sicilia dall’Italia, lucrosi affari e aiuti giudiziari grazie alla rete massonica che tutto collega”. Sempre Savona “nel 1991, fu oggetto di indagini anche da parte del giudice Giovanni Falcone, che accertò contatti tra Savona e Mandalari (ingegnere noto amministratore del patrimonio di Riina, ndr), nell’inchiesta sul Centro sociologico italiano di Palermo, in via Roma, organismo di copertura di logge segrete, dove figuravano personaggi quali il boss Salvatore Greco, i cugini Salvo, Michele Barresi, uno dei responsabili del finto sequestro di Sindona in Sicilia, e l’avvocato Salvatore Bellassai, responsabile della P2 nell’isola.
La figura di Chisena, che verrà poi ucciso nel carcere marchigiano di Fossombrone nel 1981, merita certamente un approfondimento, tanto che nel libro ci sono diversi capitoli a lui dedicati. Aveva importanti collegamenti con la 'Ndrangheta e ad Ilardo non aveva fatto mistero di essere collegato ai servizi segreti. Ma come si legge nel libro i misteri sulla sua figura sono molteplici e sul punto vale la pena leggere un altro passaggio del libro: “A Roma in piazza Cavour, pochi giorni dopo il rapimento del presidente Aldo Moro, Chisena aveva prima incontrato Luigi Savona e dopo due persone, agenti dei servizi che avrebbe in seguito indicato come tali a Ilardo, presente all’incontro. Agli agenti aveva consegnato alcune mazzette prelevate da una borsa colma di denaro, probabile provento di un sequestro di persona”.
E ancora. “Chisena era endemico a quegli ambienti dei servizi segreti, fino a essere coinvolto nelle situazioni più delicate e ristrette a pochi, fatto che trovò riscontro in un altro episodio riguardante l’onorevole Aldo Moro. Ilardo e Chisena erano in auto, di rientro da Roma e diretti a Catania, quando la radio interrompendo la trasmissione diede la tragica notizia del ritrovamento del corpo di Moro. Chisena si rabbuiò in volto.  «Allora l’hanno fatto». Non aggiunse altro e per il resto del viaggio restò immerso nei suoi pensieri”.


I rapporti con Mori e Subranni e i fatti di Mezzojuso

Ovviamente nel libro un ampio spazio è dedicato alla storia investigativa di Riccio alla Sezione Speciale Anticrimine di Genova, quindi alla Dia e al Ros, proprio con la gestione della cosiddetta fonte “Oriente” (nome in codice di Ilardo, ndr), attraversando le vicende del mancato blitz a Mezzojuso per l'arresto di Provenzano, fino a giungere al giorno della morte di Ilardo. Il generale Riccio ripercorre tutte le vicissitudini che lo hanno riguardato, comprese le difficoltà avute con alcuni dei propri superiori, Mario Mori e Antonio Subranni.


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Mario Mori © Imagoeconomica


Su quest'ultimo Ilardo avrebbe confidato che nelle dichiarazioni che avrebbe reso alla Autorità Giudiziaria di Palermo avrebbe riferito fatti riguardanti anche alla sua persona. Una figura che, lo ricordiamo, è ritenuto essere tra i responsabili del depistaggio delle indagini che furono condotte nell'immediatezza dell'omicidio di Peppino Impastato (così come scritto nell'archiviazione del gip di Palermo Walter Turturici).
Vale la pena ricordare ai nostri lettori che di Subranni parlò anche la moglie di Paolo Borsellino, Agnese Piraino Leto, che ai magistrati riferì ciò che le aveva raccontato il marito: “Mi disse che il gen. Subranni era 'punciuto' - (punto in un rito di affiliazione a Cosa nostra, ndr) - Mi ricordo che quando me lo disse era sbalordito, ma aggiungo che me lo disse con tono assolutamente certo. Non mi disse chi glielo aveva detto. Mi disse, comunque, che quando glielo avevano detto era stato tanto male da aver avuto conati di vomito. Per lui, infatti, l'Arma dei Carabinieri era intoccabile”. Elementi che si aggiungono a quanto ricostruito nel libro.
Riccio, con grande coraggio e spirito di verità ricorda tutti i dettagli di una storia vissuta in prima persona, come ciò che accadde l'ultimo giorno in cui vide Ilardo e il giorno successivo.
Dalle dichiarazioni del capitano Damiano, sulla “fuga di notizie” dalla Procura di Caltanissetta sulla collaborazione di Ilardo, all'indifferenza di Mori e la strafottenza del “solito” Subranni che con fare irridente si rivolse a Riccio con queste parole: “E ti hanno ammazzato il confidente”.
Una delle tante angherie che il generale ha dovuto sopportare nel corso degli anni.
Per il suo impegno nella ricerca della verità ha pagato un prezzo altissimo subendo isolamento e delegittimazioni; ritrovandosi anche ad affrontare anche persone “amiche” che appartenevano al suo stesso ambiente militare.
“La Strategia parallela” è un libro che vale la pena leggere se si vuole capire e conoscere il perché da oltre centocinquant'anni ancora non si è riusciti a sconfiggere la mafia. Non un romanzo criminale, ma la storia di una vita vissuta in cui si evincono  gli inquietanti intrecci che hanno visto pezzi delle nostre Istituzioni scendere a patti con i Sistemi criminali per reciproci interessi celati dietro ad una “ragione di Stato” intrisa del sangue di tanti innocenti. Quella stessa “ragione di Stato” che protegge tuttora i mandanti esterni delle stragi del ‘92 e del ‘93.
La speranza è che tanti cittadini onesti e tanti giovani possano leggere questo libro, restituendo così a Michele Riccio, un vero servitore dello Stato che non ha mai venduto la propria dignità, il giusto onore.

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