La Presidente della Commissione antimafia si dimetta
Nei giorni scorsi al Senato si è tenuta la conferenza stampa dei familiari vittime di mafia e terrorismo che, in maniera corale, hanno voluto denunciare le gravi azioni che vengono svolte in seno alla Commissione parlamentare antimafia.
La volontà di istituire una norma sul conflitto di interessi, con una modifica del regolamento interno, per estromettere dai lavori l'ex Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato (oggi senatore del Movimento 5 Stelle), e di riflesso anche l'ex Procuratore nazionale antimafia (Federico Cafiero de Raho), è solo l'ultimo atto di forza compiuto.
La ricerca della verità sulle stragi di mafia e terrorismo è infatti ostaggio di una visione di governo che con tutte le proprie forze vuole riscrivere la storia, cancellare fatti, parcellizzare, ridimensionare responsabilità per proteggere i propri interessi.
E in questo caso l'interesse è quello di nascondere la presenza di terroristi fascisti ed eversori di destra nei fatti che riguardano le tante stragi di Stato che dilaniato il nostro Paese, bagnandolo con il sangue di tanti martiri.
È questo il punto centrale di tutta questa sporca faccenda.
E contro chi si oppone a questa operazione viene applicato un bullismo di Stato sistematico.
Ma i fatti non si possono cancellare.
È un fatto, ad esempio, la fotografia che vede la Presidente della Commissione antimafia Chiara Colosimo, assieme al terrorista Luigi Ciavardini.
Uno scatto "con una posa poco istituzionale" (come la stessa Colosimo l'ha definita) che risalirebbe ai tempi in cui lei era Consigliera regionale del Lazio (2010-2013).
Chiara Colosimo
Al di là delle giustificazioni fin qui espresse dalla Presidente della Commissione parlamentare antimafia quello scatto è grave per tutto ciò che Ciavardini, ex componente dei Nuclei Armati Rivoluzionari, rappresenta.
Perché non parliamo di un soggetto che ha collaborato o collabora con la giustizia.
L'omicidio Amato
Lo ha ricordato bene ieri Sergio Amato, figlio del sostituto procuratore della Repubblica di Roma, Mario Amato, ammazzato il 23 giugno 1980.
Venne ucciso mentre era di spalle, con un colpo di pistola calibro 38 special. Un’azione vigliacca. A sparare era Gilberto Cavallini, anche lui membro dei Nar. Insieme a lui, alla guida della motocicletta che lo aspettava per la fuga, c’era Luigi Ciavardini, all’epoca diciassettenne, con alle spalle già un’altra azione mortale, quella del 24 maggio davanti al liceo Giulio Cesare, con la morte dell’agente Evangelista.
Tra i mandanti dei killer di Amato c’erano i due volti più noti dei Nuclei armati rivoluzionari, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro.
Due che, secondo le loro stesse dichiarazioni, festeggiarono l'assassinio consumando ostriche e brindando con champagne.
Ebbene Ciavardini, come ha ricordato Sergio Amato, è stato condannato in via definitiva per l'omicidio del padre. Ha scontato la pena, è un uomo libero, ma continua a restare in silenzio. Nell'aprile 2024 è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Bologna alla pena di 3 anni e 7 mesi per il reato di falsa testimonianza commesso nell'ambito del processo di primo grado che ha portato alla condanna all'ergastolo (confermata in appello) dell'ex Nar Gilberto Cavallini, per la strage del 2 agosto 1980.
Nelle motivazioni della sentenza, uscite lo scorso luglio, i giudici scrivono: "Appare cristallina la reticenza che Luigi Ciavardini ha compiuto" non rivelando l'identità degli amici di Gilberto Cavallini che lo avevano ospitato a Villorba di Treviso tra luglio e agosto 1980, quando non era in casa di Cavallini stesso. Inoltre, "non è credibile che Ciavardini avesse dimenticato dove e, soprattutto, chi gli fornì quelle cure così particolari" per le ferite riportate in seguito all'agguato davanti al liceo Giulio Cesare di Roma, il 28 maggio del 1980, in cui rimase ucciso il poliziotto Francesco Evangelista, in quanto si parla di "una ferita profonda e consistente, medicata più volte, con l'apposizione e la rimozione di punti e un intervento specialistico".
Per la giudice, Ciavardini "non può aver dimenticato l'identità di quei medici", uno dei quali, si legge, "è probabile fosse Carlo Maria Maggi", leader veneto di Ordine Nuovo.
Sergio Amato
Ebbene la Colosimo non ha mai condannato, né preso le distanze, da questo soggetto. Anzi ha minimizzato il suo incontro con Ciavardini inserendolo nell'ambito di iniziative con l’associazione gestita da sua moglie (Germana De Angelis, sorella di Nanni e Marcello De Angelis, ex esponenti di Terza Posizione) ribadendo che "l’articolo 27 della Costituzione parla di funzione rieducativa della pena e di reinserimento dei detenuti".
Quale funzione rieducativa ha esercitato Ciavardini con la sua falsa testimonianza in soccorso del suo "compare" Cavallini?
"Cavallini - ha ricordato sempre Sergio Amato - riusciva a ottenere un lavoro esterno in regime di semi libertà proprio attraverso le cooperative riconducibili a Luigi Ciavardini ed alla moglie. Ecco, questo penso sia ancora più grave di quella foto stessa".
Come dar torto al figlio del giudice che, assieme a Vittorio Occorsio, fu tra i primi magistrati a tentare una “lettura globale” del terrorismo nero?
Tra silenzi e conflitto di interessi
Se ha un principio minimo di etica, la Colosimo dovrebbe dimettersi dal ruolo che ricopre in uno degli scranni più importanti che sul piano politico rappresentano il Paese nella lotta alla mafia ed il terrorismo.
Invece non solo è rimasta al suo posto, ma da Ciavardini non ha mai preso le distanze.
Forse perché condivide certe posizioni? E se così è non è evidente il conflitto di interessi che la riguarda in prima persona?
Come giustamente ha sottolineato il giornalista Saverio Lodato nel suo ultimo articolo, “la posizione di Chiara Colosimo di Fratelli d’Italia si fa sempre più indifendibile”, tanto che i quotidiani di centrodestra sul punto tacciono. La domanda è più che lecita: “Come si fa a lasciar presiedere la Commissione antimafia, che si occupa anche di stragi, a chi si porta sulle spalle l’onta di un’amicizia con Luigi Ciavardini, ex stragista?”.
E i figli di Paolo Borsellino, che con il loro avvocato Fabio Trizzino (cognato del giudice) fin qui hanno offerto una stampella alle indagini di questa Commissione parlamentare, cosa hanno da dire sulla foto Ciavardini-Colosimo? Nessun commento?
Al momento sembra di no e ciò viene usato per continuare a cavalcare piste che allontanano dalla verità sulle stragi.
Fabio Trizzino
In questi primi anni di attività la Commissione parlamentare si è concentrata quasi esclusivamente sulla strage di via d'Amelio (in particolare sulla vicenda mafia-appalti che come abbiamo scritto più volte nulla c'entra con i reali motivi che portarono alla morte Paolo Borsellino), ed oggi, per avere le mani ancor più libere, si cerca di estromettere dalla Commissione quelle figure che insistono nella ricerca dei mandanti esterni delle stragi, andando oltre le responsabilità di Cosa nostra, fino agli ambienti della politica, della massoneria, dei servizi segreti deviati, dell'imprenditoria, della finanza, fino agli eversori di destra.
Mafia e destra eversiva
Svariati processi hanno dimostrato l'esistenza di rapporti tra mafie e ambienti della destra fascista. Si può ricordare il summit di Montalto, dell'ottobre 1969, in cui i vertici della 'Ndrangheta avrebbero incontrato Pierluigi Concutelli, terrorista nero e capo dell’organizzazione eversiva Ordine Nuovo, autore materiale dell’omicidio del giudice Occorsio e di altri fatti di sangue; Junio Valerio Borghese, fondatore dell’organizzazione di destra eversiva Fronte nazionale e comandante mai pentito della Rsi, ideatore, organizzatore e capo del fallito golpe dell’Immacolata; il marchese Fefè Zerbi, indicato come uno dei principali finanziatori del fallito colpo di Stato dell'8 dicembre '70, animatore dei Moti di Reggio e principale referente in città di Avanguardia nazionale; Sandro Saccucci, ex paracadutista e membro dell’ufficio informazioni del corpo dei paracadutisti, luogotenente del Principe nero nel fallito golpe.
A quell'incontro partecipò anche Stefano Delle Chiaie, militante della prima ora del Msi e di Ordine nuovo, fondatore dei Gar (Gruppi di Azione Rivoluzionaria) e di Avanguardia Nazionale, a lungo latitante in vari Paesi dell’America Latina, dove cooperava con le dittature di quei luoghi, il cui nome è stato accostato alle grandi stragi degli anni Settanta, senza però mai rimediare una condanna.
Un soggetto, Delle Chiaie, che alcune testimonianze collocano in Sicilia proprio nei mesi delle stragi degli anni Novanta.
La presenza di soggetti esterni a Cosa nostra nelle fasi di preparazione, se non addirittura di esecuzione della strage, è un dato che emerge in maniera chiara.
Eppure, questi argomenti non sembrano interessare la Presidente della Commissione antimafia, che non dovrebbe sostenere tesi precostituite, ma indagare a 360° proprio per la ricerca della verità.
Paolo Bolognesi
Come ha affermato Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione familiari vittime della strage alla stazione di Bologna, c'è un forte legame tra tutte le stragi (da Piazza Fontana a Piazza della Loggia, e poi l'Italicus fino ad arrivare alla strage del 2 agosto 1980 e le stragi di mafia degli anni Novanta). "Non voler indagare su queste cose, se uno avesse l'idea di arrivare alla verità, sarebbe un tarparsi le ali. Ma se uno non ha l'idea di arrivare alla verità fa semplicemente quanto dovuto" ha detto Bolognesi nelle sue conclusioni.
Interesse Forza Italia
È una questione logica. Questo governo fascista, che vede tutti insieme appassionatamente Fratelli d'Italia, Forza Italia e Lega, non ha alcun interesse che si scopra la verità su questi fatti, così come non indaga sui mandanti esterni.
Il motivo è semplice. Perché si potrebbero scoprire atroci verità sulla nascita di una delle forze di maggioranza di questo governo.
Parliamo di Forza Italia, il partito fondato da Silvio Berlusconi, che pagava la mafia, e da Marcello Dell'Utri, condannato definitivo a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Nelle motivazioni della sentenza di quel processo i giudici avevano definito Dell'Utri come il garante “decisivo”, per diciotto anni (dal 1974 al 1992), dell'accordo tra Berlusconi e Cosa nostra (con un ruolo di “rilievo per entrambe le parti: l’associazione mafiosa, che traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”). E sempre la Corte scriveva nero su bianco della “continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa, in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore”.
Ma gli elementi che fanno pensare anche altro sono molteplici.
La Procura di Firenze negli anni passati aveva riaperto il fascicolo sui mandanti esterni delle stragi nel 2016 quando Giuseppe Graviano, boss di Brancaccio, fu intercettato, nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, nel carcere di Ascoli Piceno.
Silvio Berlusconi
Il boss parlando assieme al compagno d'ora d'aria, Umberto Adinolfi, faceva riferimento alle stragi del 1993, al 41bis, a dialoghi con le istituzioni e ad un certo punto vi era un riferimento all'ex premier: “Berlusca mi ha chiesto questa cortesia. Per questo è stata l’urgenza”. E poi: “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa”. E ancora: “Nel ’93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia”. E tante altre considerazioni.
Nel frattempo, Giuseppe Graviano aveva anche rilasciato delle dichiarazioni nel processo 'Ndrangheta stragista sui rapporti che la sua famiglia avrebbe avuto con lo stesso ex Premier. Illazioni e falsità, secondo i legali di Berlusconi. Questioni che comunque meritano di essere approfondite per fugare i dubbi.
Che non sono pochi. Basta conoscere un po' di storia.
Pensiamo alle parole del collaboratore di giustizia Totò Cancemi che aveva parlato di una riunione organizzata da Riina in cui il Capo dei capi manifestò “l'improvvisa urgenza di uccidere Borsellino”. Ai magistrati aveva spiegato che Raffaele Ganci gli riferì dell’esistenza di contatti tra Totò Riina e “persone importanti” non affiliate a Cosa nostra.
Marcello Dell'Utri
E in un'altra riunione fu ancora più preciso parlando specificatamente di Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi (oggi deceduto), fondatori di Forza Italia. A quelle dichiarazioni si sono aggiunte quelle di altri collaboratori di giustizia come Giovanni Brusca, che indicò “come regalo, come contributo, come estorsione” il denaro versato da Berlusconi a Cosa nostra. E poi ancora Gaetano Grado, che affermò che una parte degli ingenti guadagni del traffico di droga furono investiti dalla mafia, tramite l’azione di Dell’Utri, nelle società di Silvio Berlusconi.
Nell'ottobre 2018 sempre Brusca, sentito dalla Procura di Palermo, ha riferito un ulteriore dettaglio parlando di un summit avvenuto nel trapanese tra i capimafia nel 1995 in cui si parlava dell'ipotesi di rapire il figlio di Pietro Grasso, allora procuratore aggiunto della Direzione nazionale antimafia. Ed è in quell'occasione che avrebbe appreso, direttamente da Matteo Messina Denaro, che Silvio Berlusconi si incontrava con il capomafia Giuseppe Graviano. Non solo: il boss di Brancaccio avrebbe addirittura notato un orologio al polso dell’ex premier del valore di 500 milioni.
Ci sono poi le notissime dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, il pentito che ha permesso di scrivere un nuovo capitolo sulla strage di via d'Amelio, sull'incontro che avrebbe avuto con il boss Graviano all'interno del bar Doney di Roma, pochi giorni prima del fallito attentato all'Olimpico, che si sarebbe dovuto verificare il 23 gennaio.
Pietro Grasso
“Aveva un'aria gioiosa e mi disse che avevamo ottenuto tutto quel che cercavamo grazie a delle persone serie che avevano portato avanti la cosa - aveva raccontato in più occasioni -. Io capii che alludeva al progetto di cui mi aveva parlato già in precedenza, in un altro incontro a Campofelice di Roccella”. “Poi - aveva proseguito - aggiunse che quelle persone non erano come quei quattro crasti (cornuti, ndr) dei socialisti che prima ci avevano chiesto i voti e poi ci avevano fatto la guerra”. “Ve l’avevo detto che le cose sarebbero andate a finire bene”, avrebbe detto Graviano. “Poi - aveva concluso - mi fece il nome di Berlusconi. Io gli chiesi se fosse quello di canale 5 e lui rispose in maniera affermativa. Aggiunse che in mezzo c’era anche il nostro compaesano Dell’Utri e che grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani. E per Paese intendo l'Italia”.
È possibile che Dell'Utri e Graviano si siano incontrati nei giorni precedenti? Noi riteniamo di sì, perché, come evidenziato durante i dibattimenti del processo Stato-mafia e 'Ndrangheta stragista, proprio in quel periodo Marcello Dell'Utri si trovava nella Capitale presso l'Hotel Majestic, a poche centinaia di metri dal bar Doney, dove si svolgeva una convention di Forza Italia.
Ecco i fatti che questo governo fascista ed amico dei mafiosi vuole rimuovere. Ma devono sapere che c'è un'Italia che non dimentica.
E questo riguarda anche l'onorevole Chiara Colosimo che se vuole davvero esprimere un senso etico e responsabile dovrebbe avere la dignità di dimettersi.
Senza ulteriori tentennamenti. E magari chiedendo scusa ai familiari delle vittime della mafia e del terrorismo per il tempo perso.
Foto © Imagoeconomica
Realizzazione grafica di copertina by Paolo Bassani
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