Dalle nuove bordate contro la magistratura all'atto di forza contro Scarpinato
No, non bastavano le "schiforme" della Giustizia o le norme vergognose "anti Gandhi", a colpi di Ddl. Questo Governo, fascista ed amico dei mafiosi, svela sempre più il suo volto autoritario. L'ultimo caso è quello dei 12 migranti, provenienti da Bangladesh e Egitto, rinchiusi a Gjader (in Albania), dove erano arrivati per essere sottoposti all’esame accelerato delle domande d’asilo in quanto provenienti da Paesi di origine che il governo considera sicuri e poi rimandati in Italia per decisione del tribunale di Roma sulla base di una sentenza europea.
In pochi giorni abbiamo assistito ad una vera e propria campagna denigratoria contro l'intero corpo della magistratura.
La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni applica un "taglia e cuci" di una mail inviata dal sostituto procuratore della Cassazione Marco Patarnello, pubblicata nella newsletter dell'Anm all’indomani dello stop del tribunale di Roma alla permanenza dei migranti nei centri albanesi, per poi dire: “È un pericolo, dobbiamo porre un rimedio”.
Il capogruppo di Forza Italia in Senato, Maurizio Gasparri che, invocando l'intervento del Capo dello Stato e del Csm, parla di "toghe rosse" che "stanno violando leggi e principi costituzionali". Lo stesso fa il dirigente di FdI, Giovanni Donzelli: "Le toghe rosse non fermeranno le nostre riforme".
Poi ci sono stati il ministro della Giustizia Carlo Nordio (“Se la magistratura esonda dobbiamo intervenire”) ed il suo sottosegretario Andrea Delmastro che, a la Stampa, ha definito i giudici degli “ayatollah”. Il vicepremier Matteo Salvini, sotto processo a Palermo per il caso Open Arms, parla di "persecuzione giudiziaria", inveisce contro i pm ed intimidisce i giudici che dovranno giudicarlo.
Quindi il Presidente del Senato Ignazio La Russa, noto "picchiatore" fascista, lancia strali e attacca proponendo una riforma della Costituzione per regolare i rapporti magistrati-politica.
Eccoli i tanti "bulli di Stato" che con spocchia e prepotenza siedono negli scranni del nostro Parlamento.
Un'arroganza tipica di chi crede di poter fare ciò che vuole che si diffonde in ogni sede istituzionale.
Accade anche in Commissione parlamentare antimafia, presieduta da Chiara Colosimo, dove sta andando in scena quello che avevamo definito "il teatro dell'assurdo".
Per poter proseguire senza intoppi nella sua inchiesta sulla strage di via d'Amelio, approfondendo l'unica pista processuale dell'interesse di Paolo Borsellino per l'inchiesta “Mafia-appalti”, viene avviata una vergognosa campagna contro l'ex procuratore generale di Palermo, oggi senatore del Movimento Cinque Stelle, Roberto Scarpinato.
La vicenda è quella della presunta "combine" con Gioacchino Natoli, prima che quest'ultimo fosse audito in Commissione antimafia.
Il quotidiano La Verità, che per primo aveva rivelato l'esistenza di intercettazioni telefoniche che riguardavano i due ex magistrati, oggi insiste, in maniera sibillina, facendo intendere di essere a conoscenza del contenuto di quelle conversazioni.
Un fatto assolutamente anomalo se si tiene conto che le stesse, trasmesse alla Commissione antimafia dalla Procura di Caltanissetta, dovrebbero essere coperte dal segreto.
Almeno così aveva garantito la stessa Colosimo dopo aver deciso, in ufficio di Presidenza, di metterle a disposizione dei membri della Commissione.
Non a Scarpinato, però.
Non solo. Prima è stata respinta la richiesta di restituire alla procura di Caltanissetta gli atti trasmessi e chiedere alla procura “di volere provvedere ad una nuova trasmissione alla Commissione delle predette intercettazioni solo dopo il deposito degli atti ai sensi dell’art. 415-bis c.p.p. o comunque dopo l’esaurimento da parte del giudice delle indagini preliminari della selezione delle intercettazioni rilevanti per le indagini”, la Colosimo vuole andare avanti proponendo una legge sul conflitto d'interessi.
Poi, secondo quanto scritto da alcune agenzie, la Presidente della Commissione antimafia ha deciso di proseguire con l'iter per modificare la legge e stabilire l'obbligo di astensione dei membri della Commissione Antimafia nei casi di conflitto di interessi.
Il tutto con una premessa. La proposta del centrodestra sarà ritirata solo nel caso in cui dall'opposizione arrivasse un testo migliorativo della legge da lei proposta, che vada esattamente nella direzione auspicata durante la riunione dell'ufficio di presidenza.
Dalla serie "Si fa come dico io, punto e basta".
Il motivo per cui vogliono far fuori dalla Commissione antimafia Scarpinato lo ha spiegato lo stesso ex Pg di Palermo nell'intervista con Massimo Giletti nella trasmissione Lo Stato delle Cose: "Mi vogliono fare fuori dalla Commissione Antimafia per questo: io sono tra i pochi magistrati che non ha mai accettato che le Stragi di Capaci e via D'Amelio nonché gli attentati di Roma, Firenze e Milano del 1993 siano stati fatti solo dalla mafia. Io e alcuni colleghi abbiamo fatto delle indagini che dimostrano che dietro quelle stragi ci sono uomini potenti della politica, della massoneria, della destra eversiva".
E' ovvio che questo Governo non possa accettare presenze scomode.
Forse il conflitto di interessi potrebbe riguardare la stessa Colosimo che frequentava Luigi Ciavardini, responsabile, oltre che della strage di Bologna, anche dell'omicidio del magistrato Mario Amato.
E' questo solo uno dei fatti noti che riguardano membri delle nostre istituzioni.
E' noto che tra le figure di riferimento dell'attuale Premier vi sia un "protagonista del neofascismo" come Pino Rauti, fondatore del Centro Studi Ordine Nuovo e padre di Isabella Rauti, sottosegretario al ministero della difesa.
E' anche noto che in una visione di revisionismo in Parlamento è stato organizzato un convegno dedicato al generale Gianadelio Maletti, capo del reparto controspionaggio del Sid negli anni ‘70, condannato con sentenza definitiva a 18 mesi per favoreggiamento dei responsabili della strage di Piazza Fontana (altra strage neofascista).
Al governo c'è Forza Italia, il partito fondato da Silvio Berlusconi, che pagava la mafia, e da Marcello Dell'Utri, condannato definitivo a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Berlusconi è morto. Ed oggi a parlare di politica c'è la figlia, Marina. Intervenuta all’inaugurazione della nuova libreria Mondadori in Galleria Alberto Sordi a Roma, non esprime solo un “giudizio positivo”, sul governo Meloni, ma attacca “certi giudici” che, dice, “non sono nemici di mio padre o di Giorgia Meloni, ma di tutto il Paese”.
Caso vuole che all'inaugurazione sia presente anche l'ex braccio destro di papà Silvio, Dell'Utri, che dice la sua: “Se condivido le parole di Marina Berlusconi? Certi giudici, non è che sono tutti, sono pochi. Se sono tornate le ’toghe rosse’? Perché erano andate via?”. E sull'operato di Giorgia Meloni non ha dubbi: “È bravissima”.
Tutto normale in un Paese senza memoria.
Ma nelle sentenze sull'ex senatore ci sono parole che pesano come pietre.
Dell'Utri è stato il garante “decisivo” dell'accordo tra Berlusconi e Cosa nostra con un ruolo di “rilievo per entrambe le parti: l’associazione mafiosa, che traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”.
Oggi la politica vorrebbe rimuovere questi fatti. Così si accetta che lo stesso Dell'Utri, in una recentissima intervista, sia tornato a parlare di Vittorio Mangano, ribadendo il concetto che a suo modo di vedere era stato un eroe per non aver mai parlato di lui e del caro amico Silvio, presentandolo come un fattore. La verità, però, è ben diversa. E questo i "bulli di Stato" lo sanno bene.
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