Il sostituto procuratore nazionale antimafia presenta il libro "Il Colpo di Spugna" all'Ombre Festival
“L’aeroporto intitolato a Berlusconi? Voglio ricordare che nella sentenza che ha portato alla condanna di Marcello Dell’Utri, definitiva, per concorso esterno in associazione mafiosa è stato accertato che la società dell’allora imprenditore Silvio Berlusconi versò ingenti somme alla mafia siciliana in virtù di specifici accordi. Mafia che in quegli anni utilizzò i capitali a disposizione per organizzare le stragi che tutti ancora oggi ricordiamo. E che Dell’Utri fu tra i principali protagonisti della fondazione del partito di Forza Italia. Ecco, vorrei che gli italiani avessero presente anche questi elementi, che non li dimenticassero quando si parla di intitolare un aeroporto nel nome di qualcuno”. Sono state queste le parole - riportate da 'thesocialpost.it' - del sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato al Csm Nino Di Matteo al festival 'Ombre', durante il quale ha presentato il libro "Il colpo di spugna. Trattativa Stato-mafia: il processo che non si doveva fare", edito da Fuoriscena, scritto insieme al giornalista e scrittore Saverio Lodato. Dal palco di Piazza di Gesù, davanti ad un numeroso pubblico, Di Matteo ha risposto alle domande di Giorgio Renzetti, ex responsabile della redazione di Viterbo de Il Messaggero.
Il magistrato, tra le altre cose, ha ripercorso le fasi del processo Trattativa e ha sottolineato che la motivazione della sentenza di Cassazione, composta da sole 91 pagine, non potrà cancellare quanto sancito nelle quasi diecimila pagine delle sentenze di primo e secondo grado.
Ricordiamo che nell'aprile dello scorso anno la Suprema Corte aveva annullato senza rinvio le assoluzioni degli alti ufficiali del Ros dei carabinieri coinvolti nel processo, Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni modificando la formula da “il fatto non costituisce reato” a “non aver commesso il fatto”. Ugualmente i giudici giudicavano Marcello Dell'Utri non colpevole "per non aver commesso il fatto", mentre i boss mafiosi, Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, venivano salvati dalla prescrizione.
La Cassazione, però, ha osservato il magistrato, è entrata pesantemente nel "merito invece di restare in quello di legittimità", ignorando molti fatti estremamente rilevanti: come, ad esempio, la testimonianza resa dell'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il quale disse senza mezzi termini, all'udienza del 28 ottobre 2014, che 'tutti i vertici delle istituzioni sapevano' e avevano 'perfettamente chiaro il fatto che le bombe, quelle del 1993, erano il frutto di un ricatto mafioso, di un 'out-out', nei confronti dello Stato, per alleggerire per esempio il carcere duro'.
Silvio Berlusconi © Imagoeconomica
Riforme anti-giustizia
La presentazione del libro al festival Ombre è stata anche un'opportunità per analizzare e commentare l'attualità italiana. In particolare, si è discusso della cosiddetta riforma della giustizia proposta dal ministro della giustizia Carlo Nordio. “Questa riforma - ha dichiarato il sostituto procuratore nazionale antimafia - arriva a compimento oggi, ma affonda le sue radici negli anni in cui gli attacchi alla magistratura erano all’ordine del giorno. Io ritengo che questa norma sia solo parte di un progetto politico più ampio, destinato a creare uno scudo di protezione per i potenti, allargando le impunità per i corrotti e i colletti bianchi. Così avremo una giustizia a due velocità: severa per la criminalità comune, timida e inoffensiva nei confronti del potere”. Il dibattito si è successivamente concentrato sulle intercettazioni, la cui eliminazione è diventata uno degli obiettivi principali del governo e dei sostenitori del garantismo. Questi giustificano il ridimensionamento con vari pretesti, tra cui la sorveglianza indiscriminata della popolazione, i costi elevati e l'inefficacia di molte intercettazioni in sede processuale. “Niente di tutto questo. Le intercettazioni – ha detto Di Matteo – riguardano una percentuale infinitesimale della popolazione e questa affermazione fa credere che nel nostro Paese s’intercetta di più rispetto ad altri. Va ricordato però che in paesi, come quello inglese o statunitense, si può intercettare chiunque, senza limiti di tempo e senza autorizzazione. Mentre da noi l’ascolto deve avere il via libera da un giudice terzo. Ma non c’è solo questo aspetto. Lo stesso ministero diretto da Nordio, l’ho letto in questi giorni, ha comunicato che i costi delle intercettazioni non sono aumentati, anzi: negli ultimi anni le spese per gli ascolti sono diminuite da 300 a 239 milioni".
Non solo, per il magistrato palermitano i costi per le intercettazioni sono ampiamente compensati dai sequestri e dalle confische effettuate dall'Autorità Giudiziaria: “Quando ero alla Procura di Palermo – ha detto Di Matteo – ho seguito un’indagine che riguardava Michele Aiello, imprenditore delle cliniche siciliane. Ebbene, ad Aiello venne confiscato un patrimonio da circa 800 milioni di euro, cioè il costo di più di tre anni di intercettazioni”. E poi ancora: "Si dice che con le intercettazioni lo Stato sprechi i suoi soldi e si dimentica di mettere sull'altro piatto della bilancia un altro fattore: quanto denaro è stato recuperato, sequestrato e confiscato grazie proprio alle intercettazioni? Quanti omicidi e quante stragi sono state evitate? Quanti episodi di abuso nei confronti di donne, minori, di persone deboli sono stati scoperti grazie alle intercettazioni?".
Giovanni Falcone? Oggi altri fingono di commemorarlo
Oggi "per tutti è facile ricordare Giovanni Falcone e, purtroppo, lo fanno, fingono di commemorarlo anche coloro che in vita lo hanno osteggiato" ha detto il magistrato palermitano ricordando che "la storia di Giovanni Falcone è una storia fatta anche di tante sconfitte e molti di coloro che oggi lo ricordano sono stati proprio quelli che lo hanno osteggiato, delegittimato, isolato. Ho detto questa cosa anche perché sono preoccupato per la direttrice sulla quale si stanno sviluppando alcune riforme della giustizia, che non vanno nell'ottica della risoluzione del problema principale della giustizia, cioè le lentezze dei processi, ma vanno nell'ottica di ridimensionare il controllo di legalità, soprattutto sui reati commessi dai colletti bianchi. Giovanni Falcone è stato il primo a capire che anche il potere mafioso, anche il potere di Cosa nostra, si nutre necessariamente dei collegamenti con la politica, l'imprenditoria, l'economia, la finanza. Indebolire quel tipo di indagine significa indirettamente indebolire anche la lotta alla mafia" ha concluso Di Matteo.
Fonte: thesocialpost.it
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