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di Giorgio Bongiovanni

Per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, alle elezioni (poco importa che siano le Europee) ha votato meno di un italiano su due, ovvero il 49,69% degli aventi diritto.
Rispetto al 2019 parliamo di 3,4 milioni di persone che hanno deciso di disertare i seggi.
Nessuno si concentra oggettivamente su questi dati.
Tutti guardano alle percentuali che rafforzano la leadership di Fratelli d'Italia, della crescita del Partito democratico, del rovinoso crollo del Movimento Cinque Stelle e del sorpasso di Forza Italia sulla Lega di Salvini come seconda forza della coalizione di governo.
Ma la verità è che, esclusi Pd e lo straordinario risultato di Alleanza Verdi Sinistra (che ha portato all'elezione di Ilaria Salis e Mimmo Lucano), anche chi ha vinto ha perso.
Basti pensare che rispetto alle Politiche del 2022 alla Camera Fratelli d'Italia ha ottenuto 600mila voti in meno.
Ciò significa che in Parlamento non rappresenta affatto tutti gli italiani.
Come ricordava Alessandro Di Battista in un suo intervento a diMartedì su La7, siamo oggi in una democrazia deviata, in cui il vero vincitore è "il partito dell'astensione" che rappresenta il 51,66% degli italiani e che vede al suo interno gente che "fino a ieri ha votato e oggi dice che non vota, perché pensa che l'esercizio del voto sia inutile". "Su cento elettori italiani - spiegava Di Battista - 13,89 votano la Meloni, il Pd l'11,6, il 4,8 il Movimento Cinque Stelle, Forza Italia il 4,63 e la Lega il 4,33".
Le cause dell'astensionismo, possono essere molteplici, ma è chiaro che il concetto base è semplice: sfiducia.
Come ricordato da Silvia Truzzi su Il Fatto Quotidiano, un paio di alcuni studi dell’Università di Roma Tre e della Scuola Normale Superiore, avevano dimostrato che "l’astensione è fortemente associata a diffusione del lavoro povero e part-time e a un alto tasso di disoccupazione". Non a caso proprio al Sud i numeri dell'astensionismo sono stati più alti.


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Beppe Grillo © Imagoeconomica


Cosa ci spiegano questi dati? Semplice: "Sempre più cittadini non votano perché si sentono abbandonati, non sono parte di nulla e dunque non partecipano". E la politica, da parte sua, risponde a questa "perdita di speranza" con leggi elettorali sempre più cervellotiche, truffaldine e incapaci di salvaguardare i veri interessi del popolo.
In questo senso va letta la volontà di introdurre il premierato.
Ma torniamo al risultato delle elezioni, perché un discorso specifico lo merita la rovinosa caduta del Movimento Cinque Stelle.
I pentastellati hanno lasciato per strada in questa tornata elettorale circa due milioni di voti.
E il quadro è ancora più devastante se si guarda alle elezioni precedenti.
Alle europee del 2019, il M5S aveva ottenuto il 17,06%; in quelle del 2014 aveva addirittura il 21,16%, che – con un’affluenza molto più alta – significava quasi 6 milioni di preferenze. E in mezzo ci sono state tre elezioni politiche, dove il M5S ha preso il 25,56% nel 2013, il 32,68% nel 2018 e il 15,43% nel 2022.
Queste le percentuali che raccontano una discesa inesorabile.
Cosa è accaduto?
Che in questi anni il Movimento è stato portato allo sfascio da scelte folli compiute dai suoi leader.
Sicuramente Giuseppe Conte è il volto attuale del Movimento Cinque Stelle, ma le colpe di questa disfatta a nostro parere partono da lontano e non possono essere imputate solo alla sua persona.
Da Premier, del resto, era riuscito a tenere a bada l'Europa e si era trovato a gestire un evento senza precedenti come la Pandemia.
Suo malgrado si è trovato a salvare il salvabile rispetto alle decisioni prese dal buffone comico Giuseppe (detto Beppe) Grillo, accompagnato dalle azioni "democristiane" di Luigi Di Maio.


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© Imagoeconomica


Sono loro ad aver portato al costante disfacimento del sogno di Gianroberto Casaleggio.
Meet-up e vaffa-day, con migliaia di giovani, sono lontani ricordi.
Gli elettori del Movimento Cinque Stelle non sono andati a votare perché si sono sentiti traditi.
Con loro milioni di italiani avevano creduto nella possibilità di una politica nuova, dando sempre più fiducia al Movimento Cinque Stelle tanto da diventare, nelle elezioni del 4 marzo 2018, il primo partito politico del Paese.
Ed è da quel momento che è iniziato il declino.
Battaglie storiche come quelle sulla Tav, il Tap, la Nato, l'acquisto degli F-35 o la risoluzione del conflitto israelo-palestinese, di fatto lasciate per strada.
Ricordiamo bene le assurde posizioni assunte sul tema migranti, con il Decreto legge Sicurezza bis, che abbassava in maniera spudorata il grado di umanità del Paese.
E poi ancora i gravissimi inganni e tradimenti verso coloro che credevano nella giustizia e nella lotta alla mafia con le scelte disastrose di non nominare come ministri della Giustizia o degli Interni magistrati come Nino Di Matteo e Nicola Gratteri, che avrebbero saputo mettere in campo una vera riforma della giustizia e nel contrasto della lotta alla mafia.
Un esempio lampante di quell'inganno al popolo italiano quando la fiducia degli elettori venne conquistata proponendo candidature importanti per la squadra di governo, per poi rimangiarsi tutto quando era il momento di scegliere.
Alcuni mesi prima delle votazioni del 2018, il Movimento aveva proposto al magistrato Nino Di Matteo la guida del ministero degli Interni in caso di un eventuale successo elettorale del partito alle urne.


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Luigi Di Maio © Imagoeconomica


Una data chiave è il 7 aprile 2018, a Ivrea, nell’evento organizzato dall’associazione Gianroberto Casaleggio, l'allora sostituto procuratore nazionale antimafia, intervenendo dal palco, aveva presentato una serie di proposte di intervento sulla giustizia, come l'ampliamento dell'uso delle intercettazioni, l'uso degli agenti sotto copertura e l'impegno sulla lotta alla mafia e la ricerca dei mandanti esterni delle stragi del 1992 e del 1993.
E proprio in quell'occasione, dal capo politico di allora, Luigi Di Maio, a Casaleggio, vi furono scroscianti applausi, al termine di quel lungo discorso.
Raggiunto il traguardo di prima forza parlamentare, però, la proposta era stata nel frattempo ritirata inspiegabilmente.
Qualcosa era cambiato. O forse non c'era mai stata la vera intenzione di scegliere il magistrato che per la prima volta, è un fatto noto, era stato contattato nel settembre 2017.
Un momento chiave certamente è stato il viaggio fatto a novembre di quello stesso anno da Luigi Di Maio alla Casa Bianca. Cosa accadde?
Al rientro da quel viaggio, dove incontrò anche lobby americane, si era espresso così: "Non è un caso che abbia scelto proprio questa meta come primo viaggio da candidato premier del M5S". "Siamo occidentali e il nostro più grande alleato in Occidente sono gli Stati Uniti". La coincidenza delle date, associato al cambio di prospettiva è evidente.
Cosa “ordinarono” gli americani a Di Maio?
Successivamente nei confronti di Di Matteo venne avanzata anche l'idea che potesse essere scelto come ministro della Giustizia (l'incontro di Ivrea era lampante in tal senso) ma alla fine la scelta cadde su Alfonso Bonafede che fu autore di clamorosi fallimenti nella lotta alla mafia.
Fu proprio lui, nel peggiore dei tradimenti, a voltare clamorosamente le spalle a Di Matteo per un ruolo al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, preferendogli il magistrato meno noto, Francesco Basentini e proponendo un ruolo al Dag.


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Alfonso Bonafede © Imagoeconomica


La vicenda fu poi sviscerata davanti alla Commissione parlamentare antimafia, al tempo presieduta da Nicola Morra. Ma Bonafede non ha mai del tutto chiarito cosa intendesse o quali furono i motivi per cui, da un giorno all'altro, optò per il voltafaccia.
Noi ricordiamo i fatti. Ed è un fatto che nelle carceri i boss, quando si diffuse la voce della possibile nomina di Di Matteo, protestarono sonoramente ("Se viene questo Nino Di Matteo siamo consumati, per noi è finita").
Lungi da noi pensare che l'allora ministro abbia fatto un patto con la mafia, ma è più che plausibile che quella sua scelta fu letta in maniera positiva dal fronte mafioso.
Dunque quella mancata nomina fu un gravissimo errore, anche se fatto in buona fede, per ignoranza o sottovalutazione. Un errore che avrebbe dovuto portare alle dimissioni immediate.
Non è stato così.
Ma il patto con gli elettori storici è stato tradito quando, anziché scegliere la via dell'opposizione, Grillo e Di Maio lavorarono in prima persona per far restare il Movimento nella maggioranza, appoggiando il governo Draghi.
Giuseppe Conte, persona onesta ed equilibrata, ora è a un bivio decisivo.
La risposta per un nuovo futuro potrebbe essere proprio tra gli astenuti di queste elezioni che vedono tanti ex elettori dei pentastellati.
Si deve avere il coraggio di ripartire da zero.
Con un programma politico che tenga in alto i valori della Costituzione, sempre più sotto attacco; che intervenga sulle questioni sociali, nel rispetto della dignità delle persone;  che abbia la lotta alla mafia e la ricerca della verità sui mandanti esterni delle stragi nei primissimi punti; che sappia proporre una vera riforma della giustizia; che non si lasci più trascinare dai venti di guerra; che si opponga alla vendita delle armi; che intervenga in maniera chiara per la fine del Genocidio in Palestina e per una nuova pace tra Ucraina e Russia; che ponga fine ad un embargo che sta distruggendo anche l'economia del nostro Paese; che sappia imporsi con l'alleato Americano (visto che l'uscita dalla Nato sembra una chimera), affermandosi come indipendente nelle scelte politiche internazionali; che sia intransigente contro i giochi di potere; contro la corruzione; il clientelismo.
Solo così il Movimento Cinque Stelle potrebbe uscire dalla palude in cui si è gettato. E riconquisterebbe quella fiducia tradita che milioni di elettori gli avevano concesso con convinzione.

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