19 Luglio: oggi gli italiani ricordano Paolo Borsellino, ma domani in molti continueranno ad ucciderlo
Sì, perché a trent’anni dall’omicidio del magistrato Paolo Borsellino nulla è ancora certo sui mandanti politici della strage di Via d’Amelio. Tutto è incerto tranne il depistaggio di Stato messo in atto per distorcere una verità ancora nascosta.
Davanti a tali premesse la domanda che va fatta alle Istituzioni è: quante volte ancora dobbiamo uccidere il dott. Borsellino?
È una domanda che impera nella mente di chi osserva l’ultima opera del pittore d’impegno civile Gaetano Porcasi, artista che ha deciso di usare i suoi colori come veicolo per quelle storie antimafia che ancora imbarazzano parti delle istituzioni. Nell’opera, accanto ai volti di Gesù e Giuda, vi sono i celebri “trenta denari” utilizzati dal traditore maximo in cambio della vita del Cristo.
Chissà quali furono i denari chiesti da pezzi del corpo di Polizia di Stato a Vincenzo Scarantino, ex ladruncolo fatto passare braccio di una strage complessa, di certo non nelle corde di un delinquente di basso rango. Nella strage di Via d’Amelio sono esplosi 90 kg di Semtex, sostanza che è quasi la firma posta dai Servizi in tutte le stragi di Stato che hanno avuto luogo nel nostro paese. Oggi sappiamo per certo che Scarantino fu indotto a mentire, costretto nella sua ignoranza e disperazione e dover riconoscere i luoghi dell’attentato, situati in posti totalmente sconosciuti a lui. Un’operazione di depistaggio architettata e per cui sono alla sbarra tre poliziotti accusati di calunnia aggravata in concorso: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei.
Un processo che è solo l’ennesimo tradimento nei confronti di Paolo. Come se a decidere e studiare il profilo di un falso pentito possano essere stati unicamente tre poliziotti, senza alcuna interlocuzione istituzionale.
Sappiamo benissimo che in quegli anni ai vertici del Sisde, a Palermo, vi era Bruno Contrada, uomo costantemente al centro delle pagine più oscure della storia italiana. Proprio quel Contrada, quindici giorni dopo l’arresto di Scarantino, in una nota alla Procura di Caltanissetta, descriveva quel ladruncolo come “un boss mafioso”. Proprio quel Contrada che nel 2007 sarà condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, era al vertice dei servizi segreti italiani ed è stato a Capo della Polizia di Stato.
Porcasi disegna e ogni elemento del quadro ti sprona a una domanda: quel divieto di sosta insanguinato?
È il 24 maggio del 1992, Cosa Nostra il giorno prima ha fatto saltare in aria il dott. Giovanni Falcone, gli italiani sono ancora scossi da un evento epocale che ha suscitato la reazione di un popolo storicamente poco incline alle dimostrazioni pubbliche. La tragicità e la potenza della strage crearono quel sentimento comune che chiamava ognuno ad agire. In un Paese normale il giorno successivo alla strage sarebbe stato utilizzato per rafforzare la protezione al braccio destro del dott. Falcone, un magistrato ancora in vita e che aveva in mano fascicoli di assoluta rilevanza.
Per diverse settimane nessuna misura di protezione nei confronti del dott. Borsellino viene intensificata: nessuna bonifica a casa, nessun posto fisso sotto l’abitazione, nessun divieto di sosta davanti all’abitazione della madre in via D’Amelio. Il 19 luglio del 1992 quel divieto di sosta non c’è. Forse qualcuno penserà “un divieto non lo avrebbe salvato dalla morte”, forse è vero, ma lo Stato ha il dovere di proteggere con ogni mezzo a disposizione un suo servitore che si oppone al crimine organizzato. Lo Stato ha il dovere di essere più forte di quell’organizzazione, di difendere con le unghie e con i denti chi sta rischiando la vita per la vittoria dei valori di uno Stato democratico.
A margine di tali vergogne, i due magistrati continuano a ricevere celebrazioni e non giustizia.
Cari Paolo e Giovanni, ancora oggi i mandanti politici dei vostri attentati non ci sono. Non c’è chi ha fissato il prezzo di quei denari, chi ha architettato quella Trattativa che ha riconosciuto l’organizzazione che stavate combattendo. Per silenziare queste domande abbiamo messo la vostra faccia ovunque, pure su quei due euro tanto simili a quei trenta denari. Lo Stato ha deciso di evitare la verità e di dar priorità alla tragicità delle stragi piuttosto che ad un confronto pubblico sulle tante domande senza risposta, come se l’ideale di verità che avete perseguito fosse saltato in aria insieme alle lamiere.
Dott. Borsellino, l’indignazione che provavi nel vedere che eri circondato da tanti traditori continua a renderci più diffidenti di quello Stato che hai difeso. Sembra che il potere vince sempre, che più sei grande e più ti difende.
L’unica consolazione risuona in quel vecchio paradigma per cui “Lo Stato siamo noi”.
Ed è vero, lo siamo, ma non sempre.
Tratto da: informareonline.com