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Giovanni Falcone è morto da un mese. A Palermo una enorme catena umana abbraccia letteralmente la zona da palazzo di Giustizia a via Notarbartolo dove il magistrato abitava con sua moglie - Francesca Morvillo -. Lì davanti il suo portone dove sorge la grande magnolia la gente depone fiori, lettere, poesie; (da quel momento quel posto è per tutti "l'albero Falcone").

In altre parti di Palermo intanto cortei e dibattiti, lenzuola di protesta sui balconi, e proiezioni in piazza, saracinesche dei negozi abbassate e campane a lutto, (il "comitato dei lenzuoli" non ha ottenuto però che le campane suonassero a morto in tutta la città; i rintocchi echeggeranno solo in alcune chiese).

Paolo Borsellino ne frattempo si reca a ricordare il suo amico e collega alla veglia di preghiera presso la chiesa di Sant'Ernesto dove dirà:  

“…mentre si parlava male di lui, con vergogna di quelli che hanno malignato sulla sua buona condotta, muore e tutti si accorgono quali dimensioni ha questa perdita. Anche coloro che per averlo denigrato, ostacolato, talora odiato e perseguitato, hanno perso il diritto di parlare!”

Sa che adesso Falcone è per tutti un santo: inclusi politici, istituzioni e colleghi - ovvero i suoi detrattori e nemici silenziosi - solo pochi giorni prima due ministri e l’uscente presidente della Repubblica Cossiga hanno chiesto al giudice Borsellino di candidarsi per prendere il posto di capo della “superprocura antimafia” cioè della creatura di Falcone (è con lui direttore generale degli Affari penali del Ministero della Giustizia che viene infatti fondata la Direzione Nazionale Antimafia).

Borsellino rifiuta la proposta prima pubblicamente poi con una lettera privata. Quel posto macchiato di sangue non lo vuole, non ha nemmeno bisogno di pensarci.

Parlare di Giovanni Falcone è dal 23 maggio la sua priorità insieme a quella di fare mente locale su tutti gli elementi necessari per trovare le cause della sua morte:  

“Occorre evitare che si ritorni di nuovo indietro. Occorre dare un senso alla morte di Giovanni, della dolcissima Francesca, dei valorosi uomini della sua scorta. Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo gioiosamente, continuando la loro opera. Facendo il nostro dovere; rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici; rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che possiamo trarne (anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro); collaborando con la giustizia; testimoniando i valori in cui crediamo, in cui dobbiamo credere, anche dentro le aule di giustizia (...)”.

Mancano 21 giorni all’attentato di via D'Amelio, Paolo Borsellino lo dice agli amici e collaboratori fidati, ha poco tempo e deve fare presto.

In foto: Paolo Borsellino partecipa a una fiaccolata in ricordo di Falcone © Shobha

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