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Racconto degli ultimi 57 giorni di Paolo Borsellino

Roma. Paolo Borsellino, il collega Vittorio Aliquò e il dirigente del Servizio Centrale Operativo Antonio Manganelli sono nascosti in un appartamento con il collaboratore Leonardo Messina (legato al clan di Piddu Madonia). Devono stilare un verbale con le sue dichiarazioni.
Il boss di San Cataldo (Ag), che si dichiara discendente da sette generazioni di mafiosi, inizia a raccontare quello che è un vero e proprio sistema costituito fra mafia, politici ed imprenditori per spartirsi gli appalti pubblici.
La prima figura chiave è Angelo Siino, soprannominato “il ministro dei lavori pubblici”.
Siino, aveva avuto da Totò Riina in persona la "delega" ad occuparsi dei grandi appalti degli enti pubblici ed a mediare con gli imprenditori siciliani e del nord ItaliaA lui era stata affidata anche la spartizione delle tangenti per i politici che avevano aiutato Cosa nostra attraverso l’uso di prestanomi ad aggiudicarsi appalti miliardari. 
A seguire, Leonardo Messina mette al centro dei suoi racconti il gruppo Ferruzzi, indicato come referente imprenditoriale di Cosa Nostra: “Riina è interessato alla Calcestruzzi Spa, che agisce in campo nazionale".
(La Calcestruzzi Spa infatti apparteneva al gruppo Ferruzzi - guidato da Raul Gardini - ed era leader nella produzione di cemento in Italia). La mafia dice in pratica il collaboratore, sta comprando tutte le cave e le betoniere della Sicilia, e si è spinta con Angelo Siino fino a scavare nelle Alpi Apuane. Rientrato a Palermo Borsellino riceve a casa il vicedirettore del Tg5 Lamberto Sposini per una intervista.
Racconta dell’amicizia risalente all’infanzia, con Giovanni Falcone, di quando per ragioni di sicurezza furono trasferiti nel carcere dell’Asinara con le loro famiglie, dove trascorsero l’estate isolati e di quanto questo costò sacrifici in particolare ai suoi figli.
Poi spiega del Pool Antimafia definito “un esperimento non previsto dalla legge e ovviamente non vietato” che ribaltò completamente il modo in cui sino a quel momento si era indagato sui procedimenti mafiosi; un esperimento che si basava sul principio del coordinamento delle indagini.
Per tutto l’incontro Paolo Borsellino è molto pensieroso, ha uno sguardo triste che lo abbandona solo quando parla del suo amico Giovanni. Fa lunghi sospiri spesso prima di rispondere alle domande, la più cruda arriva alla fine: “lei si sente un sopravvissuto”?
Borsellino per nulla turbato dice: “Io ricordo ciò che mi disse Ninni Cassarà (vicequestore ucciso il 6 agosto del 1985) allorchè ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottore Montana (capo della sezione Catturandi), alla fine del luglio 1985, mi disse convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano. La sua espressione potrei anche ripeterla ora, ma vorrei poterla ripetere in un modo più ottimistico. Io accetto e ho sempre accettato più che il rischio, le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio, e di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto ad un certo punto della mia vita di farlo, e potrei dire che sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli; la sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi, come viene ritenuto, in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me, e so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuare a farlo senza lasciarci condizionare dalla sensazione o financo vorrei dire dalla certezza che tutto questo può costarci caro”.
Mancano pochi giorni all’attentato di via D’Amelio, Paolo Borsellino ha appena rilasciato la sua ultima intervista; è un vero e proprio testamento morale che lascia attoniti e storditi. Un uomo che per fare il proprio lavoro ha messo in conto di morire, e che ci comunica che non eviterà la sua morte in alcun modo.
Non può essere concepibile la definizione di eroi per coloro che fanno il loro lavoro con rettitudine, non fosse altro perché ciò vorrebbe dire accettare di vivere in un paese in cui essere onesti può esporre al rischio della vita, tuttavia la determinazione di Paolo Borsellino è tale da andare anche oltre; si vede, anche agli occhi dei meno credenti, un martire vero e proprio e come tale ci fa sentire tutti in colpa ed in debito.
Ha poco tempo Paolo Borsellino e deve fare presto…

Foto © Carlo Carino/Imagoeconomica

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