È andato in onda ieri lo speciale del Tg1 'L'Ultimo respiro' dell'inviata speciale Maria Grazia Mazzola in onda ieri alle 23.30 su Rai1.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati i due protagonisti della narrazione del Film-speciale di 90 minuti: la vita con le loro famiglie, il giallo dell'attentato all'Addaura, lo scontro interno alla magistratura, la Strage di Capaci, di Via d'Amelio e infine i depistaggi. Era stata proprio l'inviata speciale Maria Grazia Mazzola ad arrivare trent'anni fa sul luogo della strage a Capaci solo qualche ora dopo l'esplosione, la sera stessa del 23 maggio 1992. In quell'occasione aveva registrato anche l'unica intervista esistente ai tre agenti sopravvissuti della scorta di Falcone ricoverati in ospedale: Gaspare Cervello, Angelo Corbo e Paolo Capuzza.
Tra le testimonianze riportate nello speciale vi sono anche di Giuseppe Costanza, autista di Falcone, Angelo Corbo, Antonino Vullo, familiari delle vittime, Maria Falcone e Vincenzo Di Fresco, col capitano Emanuele Schifani, Salvatore Borsellino, coi magistrati Sergio Lari e Alfredo Morvillo, col pool antimafia e l'amico del cuore di Paolo Borsellino, il magistrato Diego Cavaliero.
Il fallito attentato all'Addaura
La bomba all’Addaura era stata piazzata quando erano presenti anche i colleghi elvetici Carla Del Ponte e Claudio Lehmann, giunti a Palermo per una rogatoria sul riciclaggio dell’inchiesta “Pizza connection".
Ma la presenza della delegazione elvetica, “la sapevano soltanto gli addetti ai lavori” racconta il magistrato Alfredo Morvillo. Come, allora, Cosa Nostra ne era venuta a conoscenza?
"A suo giudizio esisteva una talpa qua?" Chiede l'intervistatore a Falcone, "No. Non necessariamente". "Fra la polizia?". "Non necessariamente".
Parole che lasciano spazio a molte domande, ma anche a possibili risposte.
Certamente il contesto in cui si è verificato l'episodio è assai particolare.
Giovanni Paparcuri nello speciale del Tg1 ha raccontato infatti che l'attentato è avvenuto una settimana dopo che aveva ricevuto un messaggio particolare al terminale: 'Differenti operatori nello stesso livello di parentesi'.
"Dopo quel fallito attentato, puntualmente, mi spunta quello stesso messaggio. Qualcuno - ha continuato - stava cercando di sapere cosa venne a fare Carla Del Ponte".
Leggendo il verbale del 4 dicembre 1990 questo scenario appare sempre più concreto: quel fallito attentato, secondo Falcone, era un "avvertimento", aggiungendo che “proprio i colleghi svizzeri in quel periodo si stavano occupando di indagini soprattutto finanziarie riguardanti notissimi esponenti della mafia siciliana" e sottolineando che in quel procedimento, al tempo condotto dai colleghi svizzeri vi erano figure di peso come "Vito Roberto Palazzolo, Leonardo Greco, Salvatore Amendolito e Oliviero Tognoli". Soggetti in qualche maniera borderline il cui ruolo "non era del tutto chiaro".
Ovviamente l'allora giudice istruttore del capoluogo siciliano aveva chiaro come "il mio perdurante collegamento con i colleghi svizzeri in tema di indagini concernenti il riciclaggio rafforza ancora di più il sospetto che si sia inteso in qualche modo lanciare un avvertimento per rendere ‘meno pronta’ (le virgolette sono nel verbale, ndr) l’assistenza giudiziaria da parte della Svizzera".
E sempre Falcone, in quell'occasione, dimostrava di avere un'idea di quelli che potevano essere, sul piano pratico, gli esecutori (“Marino Mannoia mi ha detto di essere certo che non poteva essere estranea la famiglia Madonia, sarebbe interessante comparare l’identikit con la fotografia dei componenti della famiglia Madonia, e in particolare con Salvatore Madonia").
Quindi, in altri punti del verbale si legge anche che "per completezza" Falcone aveva aggiunto due valutazioni: la prima riguardo all'ipotesi improbabile di coinvolgimenti nell’attentato diversi da quelli comunque riferibili a Cosa Nostra (“se avesse avuto una matrice diversa, in un modo o nell’altro l’organizzazione mafiosa avrebbe fatto sapere di essere estranea"); la seconda sull'esclusione di un possibile ruolo degli agenti Emanuele Piazza (al tempo scomparso) e Nino Agostino (ucciso assieme alla moglie il 5 agosto 1989), su cui al tempo la Procura di Palermo stava indagando (“Dalle indagini non è emerso nulla di particolare che possa far ritenere che i due fossero in qualche modo collegati con il mio attentato").
Bastano queste convinzioni per dimostrare che non esistono mandanti esterni? Assolutamente no.
Specie se si considera che il giorno dopo Falcone aveva parlato in un'intervista a Saverio Lodato, allora giornalista dell'Unità ed oggi nostro editorialista, di “menti raffinatissime” che si nascondevano dietro quell'attentato: "Falcone mi disse che giunse alla conclusione secondo cui dietro Cosa nostra si muoveva la presenza di ‘menti raffinatissime’ che guidavano la mafia dall’esterno. Lui capì che non era soltanto farina del sacco della mafia” aveva detto il giornalista nel dicembre 2021 sentito come testimone nel processo sul duplice omicidio del poliziotto Nino Agostino e della moglie incinta Ida Castelluccio. “Davanti a tale dichiarazione insistetti affinché Falcone mi desse un nome e un cognome in riferimento alle ‘menti raffinatissime’ - ha detto ancora Lodato - E poi mi fece il nome del dottore Bruno Contrada (ex numero tre del Sisde, ndr) come uno di quelli che remava contro”.
Di fatto il giudice Falcone, con il proprio operato, già allora stava rompendo il rapporto tra la mafia e quella politica collusa e connivente che si era sviluppata negli anni. Falcone aveva compreso l'esistenza del “gioco grande” e delle “menti raffinatissime” che si muovevano anche nei gangli dell'economia, delle strutture segrete, dei servizi deviati e delle massonerie. E Lodato, nel recente passato intervistato da Andrea Purgatori per Atlantide ha rivelato che Falcone, al tempo, fece dei riferimenti ad un appartenente ai servizi di sicurezza. E sempre Lodato raccolse altre considerazioni di Falcone su due massimi rappresentanti della lotta alla mafia a Palermo: l'ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera e l'ex Alto Commissario Domenico Sica. “Di fronte a questi due nomi - ha raccontato Lodato lo scorso 6 maggio ad Atlantide - mi disse testualmente: 'Sono venuti a Palermo per fottermi'”.
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