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Giovanni Falcone aveva tanti nemici e non tutti erano boss o uomini di Cosa Nostra.
Giovanni era anche il bersaglio di altri magistrati. Colleghi che vedevano questo giovane giudice emergente come un pericolo per la carriera di chi vedeva nella magistratura soltanto una poltrona assicurata”, ha detto Maria Falcone, in un’intervista contenuta nella seconda puntata di Mattanza, il podcast sulle stragi del ’92 prodotto da "Il Fatto Quotidiano".
I primi soggetti, oltre alla mafia, ad attaccare Falcone si appalesano dopo il Maxiprocesso, come ha ricostruito l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato Bisogna distinguere due fasi del Maxiprocesso secondo me: la prima è quando il pool arresta gli esponenti della mafia militare, che riscuote un successo e un applauso generalizzato. Poi inizia una seconda fase, quando il pool alza il tiro su colletti bianchi. Da quel momento in poi cambia completamente l’atteggiamento dell’establishment. Inizia una campagna di stampa, mediatica, che comincia ad attaccare il pool e Falcone”. Il Sistema minacciato dalle indagini di Falcone reagisce: ostacoli e bocciature sono frequenti.
"Entra in campo un sistema di potere molto articolato - ha detto Scarpinato - che con sotterranee manovre di palazzo riesce a far nominare al posto di Giovanni Falcone un magistrato che si chiamava Meli (Antonino n.d.r) che era molto più anziano di lui facendo leva sul criterio di anzianità".
Quando subentrò Meli questi magistrati (del pool antimafia di Palermo n.d.r) hanno finito di esistere. Cominciò a smembrare quelle indagini, mi ricordo solo che si passava il tempo a fare lo stralcio di tutte quelle indagini. Una parte doveva andare a Trapani, una a Termini, guarda, si perdeva il tempo così”, ha ricordato Giovanni Paparcuri. Dopo la bocciatura del Csm, Falcone viene bloccato anche per il posto di Alto Commissario per la lotta alla mafia. In seguito i sui colleghi non lo voteranno neanche per la sua candidatura per Consiglio Superiore della Magistratura. Nel 1989 viene nominato procuratore aggiunto di Palermo ma solo perché gli altri candidati avevano ritirato la candidatura.
Nel giugno di quell’anno si era verificato anche il fallito attentato dell’Addaura: un borsone con 58 candelotti di esplosivo era stato rinvenuto tra gli scogli a pochi metri dalla villa che il giudice aveva preso in affitto per l’estate. E’ dopo quel fallito attentato che Falcone aveva parlato per la prima volta di “menti raffinatissime“. L’Addaura diventa il più grande peccato di Falcone. Qualcuno aveva messo in giro una voce: 'ma non è che quell’esplosivo se l’è messo da solo?' E infatti qualche tempo dopo, in tv, una spettatrice del programma di Corrado Augias gli aveva chiesto: “Lei dice nel suo libro che in Sicilia si muore perché si è soli, giacché fortunatamente lei è ancora tra noi, chi la protegge?” Falcone risponde amaro: “Questo significa che per essere credibili bisogna essere ammazzati in questo paese".
"Questo per capire
- ha sottolineato Scarpinato - come la guerra contro Giovanni Falcone non fu fatta soltanto da personaggi come Riina. Ma fu fatta da menti raffinatissime che stavano dentro i palazzi del potere, dentro in un sistema di potere che si sentiva minacciato dalle indagini che Giovanni Falcone aveva fatto in tutti i campi".
Nel 1991 Falcone era arrivato poi a Roma per iniziare il suo lavoro all'Ufficio degli Affari Penali al Ministero della Giustizia. Dalla Capitale, secondo le parole di Salvatore Riina, Falcone stava facendo più danni che a Palermo. La stessa città che vedrà nel 12 marzo 1992 l'omicidio dell'esponente democristiano Salvo Lima, dopo appena settanta giorni la Strage di Capaci, e infine quella di Via D'Amelio il 19 luglio 1992.
Palermo in quei giorni è come Beirut. Proprio come quando era stato assassinato il magistrato Rocco Chinnici, il padre del pool antimafia, l'uomo che 'aveva scoperto' Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

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