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Le cose accadono sempre più in fretta. Il pianeta, e il pianeta Italia, cambiano alla velocità del suono. La voce di un polemista di lungo corso del giornalismo italiano coglie e interpreta gli eventi che hanno segnato l’ultimo decennio attenendosi a un unico principio: il racconto più onesto possibile della realtà. Bush e Blair, il protocollo di Kyoto, l’11 settembre e la guerra in Iraq, gli ecoproblemi: ma se lo scenario mondiale induce a formulare ipotesi allarmanti, certo non si può trarre conforto neppure dallo spettacolo offerto dal nostro paese. Anzi, l’Italia raccontata in queste pagine sembra prigioniera di un movimento statico, per non dire che rimane ferma o, addirittura, che va all’indietro: nell’etica, nel senso civico, nella cultura, nella ricerca scientifica, nella modernizzazione, nel valorizzare il ruolo dei giovani e delle donne, nel costruire la propria classe dirigente. E il fallimento dello sport fa da specchio a ben altri fallimenti. In un resoconto che parte dallo scontro di dieci anni fa tra Berlusconi e Prodi – nel segno di un maggioritario imperfetto – per arrivare, oggi, alla sfida
di Prodi contro Berlusconi con un maggioritario proporzionalizzato in extremis, non si tratta solo di chiedersi quale sarà il nostro destino dopo il voto della primavera 2006, ma soprattutto di rivedere ciò che sta dietro a termini come «destra» e «sinistra», in politica come nella società civile. Si tratta di ripensare i valori, i programmi, le priorità, i significati. Per capire come si può riscattare un paese sempre meno pensante, e meno allegro. Sempre più borghesuccio e reazionario. In questo diario minimo del nostro precipizio, Oliviero Beha combatte ancora una volta la sua battaglia contro la cattiva informazione, strumentale e asservita, e rivendica il ruolo cruciale del giornalismo vero, che non si piega alla necessità di schierarsi e neppure si lascia trattenere dall’autocensura politicizzata. Anche a costo di accettare l’esclusione, la ghettizzazione, a opera della stampa e della tv di regime. Anche a costo di far fare a chi lo pratica la figura dello
spaventapasseri.