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Categoria: Inchieste
Editore: Editrice Zona
Prezzo: € 11,00
Anno: 2003

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Recensione

Partendo dalle “stragi dei monumenti” (Firenze, Milano, Roma), Silvia Tessitore racconta in questo libro la terribile offensiva mafiosa del biennio di sangue 1992-1993, collocata nel difficile transito tra “prima” e “seconda” Repubblica. Legata a Firenze da motivi sentimentali, Silvia Tessitore - giornalista free lance di Caserta, che oggi vive e lavora in Toscana - decide un giorno preciso di scoprire perché, nel 1993, la mafia colpì la Torre dei Georgofili e il Museo degli Uffizi, facendo enormi danni, cinque morti e più di cinquanta feriti. Come tanti, ha di quei fatti un ricordo sbiadito: vuole saperne di più. Tra cronache ufficiali e personali, attraverso libri, giornali, trasmissioni tv e passeggiate nella Firenze di oggi, l’autrice rivive una storia di bombe e di lutti che intreccia Tangentopoli, la riforma maggioritaria del voto, la nascita di nuovi movimenti e formazioni politiche. La storia che a mano a mano si delinea - scandita da una passione civile libera da ogni pregiudizio - tocca così da vicino l’Italia di oggi da suggerire più di un motivo di riflessione.

Diario della paura inizia da via dei Georgofili, a Firenze: all’1.04 del 27 maggio 1993, la Torre del Pulci - sede dell’Accademia dei Georgofili, antico centro di studi agrari che ha compiuto nel 2003 ben 250 anni di vita - e un’intera ala del Museo degli Uffizi furono devastati da duecentocinquanta chili di una micidiale miscela esplosiva. Persero la vita cinque persone, l’intera famiglia di Angela Fiume Nencioni (36 anni), dal 1981 custode dell’Accademia: morirono con lei il marito Fabrizio (39 anni, vigile urbano) e le loro figlie, Nadia e Caterina. Nadia aveva nove anni, scriveva poesie. Caterina aveva cinquanta giorni, era stata battezzata la domenica precedente, quattro giorni prima della strage. Morì anche Dario Capolicchio, 22 anni, studente spezzino che abitava nell’edificio di fronte alla Torre. I feriti furono più di cinquanta, i danni al patrimonio artistico incalcolabili.
Solo tredici giorni prima, il 14 maggio, un altro evento aveva destato grave allarme e preoccupazione: il fallito attentato a Maurizio Costanzo, in via Fauro a Roma, al quale scamparono miracolosamente il giornalista, Maria De Filippi, il loro autista e due uomini di scorta. Nella notte tra il 27 e il 28 luglio del 1993, a distanza di pochi minuti l’una dall’altra, le bombe mafiose tornarono a colpire monumenti e musei: il Padiglione d’Arte Contemporanea a Milano (altri cinque morti), la Basilica di San Giovanni in Laterano e la chiesa di San Giorgio al Velabro a Roma. Solo un “incidente tecnico” impedì che quella lunga scia di sangue s’allungasse ai primi mesi del 1994, quando un’autobomba fu sistemata fuori lo stadio Olimpico di Roma durante una partita di calcio: il telecomando che avrebbe dovuto azionare l’ordigno non funzionò.

Ma i tristi fatti del 1993 procedono da un altro anno memorabile, il 1992. L’omicidio di Salvo Lima e le stragi di Capaci e via D’Amelio furono il prologo doloroso di una terribile offensiva terroristico-mafiosa che puntava a eliminare alcuni nemici e a ristabilire antichi privilegi, per “cosa nostra”. Quali erano gli obiettivi della mafia? A cosa mirava veramente “cosa nostra”, per scatenare una campagna stragista di quelle proporzioni? Vi furono ispiratori occulti, “mandanti a volto coperto”, come ancora oggi reclamano i familiari delle vittime? A cercare tra gli avvenimenti recenti, si trovano rimandi inquietanti a quella stagione di lutti e tritolo, e “cosa nostra” né si è arresa, né è stata ancora sconfitta.

Durante il "biennio di sangue" 1992-1993, Silvia Tessitore viveva nella sua città, a Caserta. All'interno di Diario della paura - che, in linea con lo spirito della collana, alterna al racconto principale vari spunti autobiografici - l'autrice rievoca episodi legati alla sua famiglia, ai suoi ricordi di quel difficile periodo, alla sua professione di giornalista, alle sue prime esperienze nel mondo dei libri e dell'editoria (sua attuale occupazione). Alcuni capitoli sono espressamente dedicati alla vita casertana, alla feroce offensiva di camorra seguita al terremoto del 1980 (l'autrice racconta anche di un suo incontro con Raffaele Cutolo, in un'aula del tribunale di Napoli), o alle vicende politiche e giudiziarie che - anche a Caserta - "rovesciarono" la prima Repubblica. Il libro si conclude con il ricordo di due sacerdoti-simbolo della lotta alle organizzazioni criminali - don Pino Puglisi e don Peppino Diana, assassinati l'uno dalla mafia nel 1993 a Palermo, l'altro dalla camorra nel 1994 a Casal di Principe, la cittadina del casertano divenuta 'improvvisamente' celebre dopo la pubblicazione di Gomorra di Roberto Saviano, ma - per chi vive o, come l'autrice, ha vissuto in quelle terre - da sempre luogo-simbolo (e "centro operativo") del sanguinario strapotere camorristico strettamente imparentato con "cosa nostra".

A proposito delle stragi mafiose del biennio '92-'93, Silvia Tessitore non offre rivelazioni clamorose né teorie preconcette, in questo libro dedicato alla memoria del giudice Antonino Caponnetto, fondatore del primo pool antimafia di Palermo, scomparso a Firenze il 6 dicembre 2002: sulla scorta della sua personalissima indagine, l’autrice svolge un “semplice ragionamento", dettato dalla paura che certi avvenimenti abbiano a ripetersi, e si pone molte domande, domande alle quali nessuno, nemmeno la giustizia, ha ancora finora una risposta. I fatti sono ricostruiti con ricchezza di dati e circostanze, mentre lo stile appassionato della narrazione - sia quando assume i toni caldi e commossi del ricordo, sia quando assume invece quelli freddi e crudi della cronaca - ci offre una lettura avvincente, a tratti incalzante, di una pagina amara della storia italiana recente.

L'incipit del volume
PROLOGO DELLA PAURA
Io ho paura di tutto. Del buio, della velocità, delle malattie, della malvagità, della violenza, figuriamoci della morte. Ho paura dei complotti e dei tradimenti, della follia, della fatalità del caso, dei bugiardi e degli ipocriti. Ho paura delle calamità, del terremoto, delle alluvioni, a volte financo dei tuoni, delle trombe d’aria, degli incendi e delle invasioni bibliche di cavallette. Ho paura del dentista, della pentola a pressione, delle brutte notizie, del pensiero unico, del dolore fisico, del sangue, dei cadaveri. Ho paura delle mie stesse paure, o delle fantasie angosciose: temo che si possano realizzare, non ne parlo per scaramanzia.
Ho incubi ricorrenti. Una donna che tenta di salvare una bambina che affoga in una piscina enorme in mezzo al deserto, collegata con chissà che dove da una strada d’asfalto che si perde dritta nell’orizzonte, come quelle americane. Un mastino napoletano che mi si avventa contro, furioso, per mordermi il braccio destro, mi azzanna, ma i denti non affondano. Oppure: resto chiusa di notte in una chiesa buia, osservata da gesucristi e santi caravaggeschi su tele immense e nere, e quelle facce sono vive, prendono rilievo di carne dalla superficie dipinta, con quella loro espressione disfatta da dolori indicibili o appena piegata in un sorriso pietoso, tetro, rassegnato.

Ho paura che la storia che adesso vi racconto possa farmi del male, che a qualcuno possa non andar giù che scrivo questo libro. L’altro giorno, prima di rimettere in moto la macchina – che non usavo da un paio di settimane – ho controllato il vano motore, i fili soprattutto. Piero dice che sono già entrata nel trip narcisistico della scrittrice di narrativa, che tutto quel che ho letto e scritto in questi mesi mi sta condizionando. Io spero davvero che sia così, ma nel frattempo mi tengo la paura e uso ogni stratagemma per non pensarci. Concentrare, mi devo, sul lavoro, il tempo stringe, se mi fermo sono guai.
Intanto è scoppiata un’altra guerra, di fronte alla quale non riesco a far nulla, tranne che provare un’immensa pietà, guardare la tv, leggere i giornali, affidarmi a dio e continuare a lavorare, puntuale ai miei doveri come posso. La scena del mondo d’oggi è una scena de paura. Da quando c’è la guerra, la bandiera arcobaleno che ci ha regalato Daniela a Natale sventola dal nostro balcone come un povero straccio.

Ogni giorno, da che ho iniziato a occuparmi di questa brutta storia, non faccio altro che riandare avanti e indietro agli ultimi dieci anni, e ogni giorno mi pare che il filo della trama arrivi fino a oggi, fino a qui. Se tiro quel filo, ho le allucinazioni: come se pure questa guerra, la spaccatura europea, l’isolamento dell’Onu e l’iniziativa americana pendessero da quel filo, e ho paura. Paranoica? Non lo so, mi chiedo se l’interdipendenza dei processi in atto non comporti anche certo genere di conseguenze. Io non sono nessuno per poterlo affermare, ho strumenti di comprensione limitati a quel che so e quel che so lo posso solamente raccontare. Con questa premessa, vengo a dirvi che non ho la pretesa di inventarmi teorie o di svelarvi qualcosa che non sapete già. Vi prego anzi di considerare quanto esporrò col beneficio della mia ipocondria, che forse mi mostra sempre lo stesso lato delle cose.

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