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«Parlare di mafia in Veneto? Ma se qui la mafia non c’è!» Quante volte si è detto e ripetuto. E in Veneto si lavora sodo, si vota per difendere il gruzzolo, si prega. E il sabato sera, si balla. Eppure qui sono stati mandati al confino personaggi che hanno contribuito a scrivere alcune delle pagine più importanti della mafia. Qui sono arrivati «Totuccio» Contorno, Salvatore Badalamenti, nipote di quel «Tano» che fece ammazzare Peppino Impastato, Giuseppe Sirchia, il «mafiuso» che conobbe Leonardo Sciascia. Qui, un pezzo da novanta come Giuseppe Madonia ha potuto condurre i propri business, con la complicità di alcuni imprenditori locali e senza che nessuno, per molto tempo, muovesse un solo dito. Ma il Veneto non ha solo importato mafia: l’ha pure creata. In nessun’altra regione italiana, al di fuori di quelle meridionali, è nata un’organizzazione con le caratteristiche del 416 bis. Il Veneto l’ha avuta e l’ha chiamata Mala del Brenta, per distinguerla dalla mafia siciliana. Il suo capo, Felice Maniero, dopo aver trafficato in droga, armi e aver ammazzato molti dei suoi sodali, è pure riuscito a fuggire da un carcere di massima sicurezza senza colpo ferire. E oggi, pentitosi, fa l’imprenditore. Questo e molto altro di ciò che è accaduto «a casa nostra» dagli anni Cinquanta è raccontato con uno stile leggero, a metà tra la cronaca giornalistica e il romanzo, in un libro che mette insieme sentenze e verbali di interrogatorio con, in più, la viva voce dei testimoni i cui ricordi carichi di emozione arrivano dritti al cuore.