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Esiste una tassa democratica? Potrebbe essere l’imposta straordinaria sul patrimonio? Probabilmente no. Un sistema fiscale può considerarsi equo quando chi possiede un reddito alto paga proporzionalmente imposte più gravose rispetto a chi detiene un reddito basso. Lo si può notare in Inghilterra dove la tassazione è legata alla progressività dei redditi. Se la patrimoniale non è sicuramente la panacea dei mali tributari italiani, secondo Luigi Einaudi è però in grado di compiere un vero miracolo: “mutare a fondo la psicologia del contribuente”. L’italiano da quando è nato lo Stato non ha mai avuto fiducia nel prelievo fiscale, in quanto nel corso degli anni ha visto un continuo aumento di tasse che soffocano i suoi risparmi. La patrimoniale, nella sua straordinarietà, avrebbe il grande pregio di abolire molte delle numerose imposte che impoveriscono le tasche del contribuente. Questo significherebbe “semplificare” il groviglio fiscale che pesa sul reddito. Addirittura si potrebbe giungere a non più di due tasse. Una simile inversione di rotta darebbe al cittadino la consapevolezza di una raggiunta trasparenza fiscale, che gli trasmetterebbe fiducia nello Stato, percepito finalmente come onesto e non come ladro. Ma quest’ultimo può essere interessato ad un cambiamento così epocale?...
Luigi Einaudi, futuro secondo Presidente della Repubblica, pubblicò questo breve saggio sulla patrimoniale nel 1946, partecipando al dibattito molto vivo tra gli intellettuali italiani su come far decollare l’economia del paese all’indomani del secondo conflitto mondiale. Partendo da una solida ideologia liberale, che farebbe impallidire i nostri presunti paladini del liberalismo economico, delinea la necessità di costruire un sistema contributivo semplice, alla portata di tutti, capace di eliminare ambiguità e contraddizioni fiscali. Quando punta l’attenzione sulla natura straordinaria dell’imposta, aggiunge che tale eccezionalità non deve però trasformarsi nella norma e finire per essere un’altra tassa tra le tante. Poche imposte ma chiare, a cui devono corrispondere servizi e opere a favore del cittadino. È a questi che l’economista guarda: è indispensabile infatti ricostruire un rapporto sereno, comprensivo, di reciproco rispetto tra il contribuente e lo Stato. In questo modo il cittadino si sente soggetto attivo e non passivo di un progetto a lui finalizzato. L’imposta patrimoniale ruota attorno ad una tesi, alla sua dimostrazione ed alla capacità di elaborare su di essa una struttura socio-economica salda e coerente. Einaudi, prendendo le mosse dall’Inghilterra patria del liberalismo, avverte che in economia è necessaria una programmazione razionale, proprio quanto negli anni a venire la classe dirigente italiana non è quasi mai riuscita a fare, scegliendo di curare i sintomi del malessere finanziario nazionale che non cercare di riformarlo completamente. Francesco Giavazzi, nell’introduzione, sottolinea come il discorso dell’allora governatore della Banca d’Italia sia oggi assolutamente attuale. La patrimoniale è stata negli ultimi tempi rispolverata da diversi politici, ma poi, come per altri interventi sbandierati ai quattro venti, è stata accantonata. È l’ennesima dimostrazione dello scarso coraggio e della mancanza di una visione programmatica, a causa della quale il debito pubblico del nostro paese è piombato a livelli impensabili. La patrimoniale - chiude mestamente Giavazzi – “lasciamola, come scrive Einaudi, per il giorno in cui avremo governanti sulla cui credibilità nessun contribuente potrà nutrire dubbi – se mai verranno”.