La ''picciridda'' dell'antimafia
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La storia di Rita Atria è la storia di una dolorosa presa di coscienza.
Figlia di un piccolo boss di Partanna, sperduto paese nella Valle del Belice lontano dalla “Sicilia dei fiori d’ibisco”, fin da bambina Rita è spettatrice di sanguinose guerre di potere tra famiglie. Soprusi, ricatti, regolamenti di conti sono argomenti all’ordine del giorno in casa Atria. Solo una parola non viene mai pronunciata: “mafia”. L’organizzazione potente e invisibile che strapperà a Rita i suoi affetti più cari: prima suo padre e poco dopo l’amato fratello Nicola.
Rimasta sola con una madre fredda e distante, Rita decide di riscattare a ogni costo il buon nome della sua famiglia. Ma, a poco a poco, l’iniziale sete di vendetta nei confronti di chi le ha fatto perdere le uniche persone care lascia spazio a uno straordinario senso di giustizia che porta la ragazza a decidere di confidarsi con la magistratura. Il lungo e doloroso percorso di rigetto e denuncia delle logiche mafiose è minuziosamente registrato nei suoi diari, gli unici cui Rita può confidare la paura e la sfiducia che stanno prendendo il sopravvento su di lei. Le rimangono accanto solo sua cognata Piera Aiello, moglie di Nicola, che ha deciso di diventare testimone di giustizia già prima di Rita, e un uomo che è per lei il padre della rinascita: il giudice Paolo Borsellino.
Ma il 26 luglio 1992, una settimana dopo la strage di via D’Amelio, Rita, sola e ripudiata dalla famiglia, incapace di colmare un vuoto divenuto troppo grande, si getta dal settimo piano di un palazzo del quartiere Tuscolano, dove vive sotto protezione. Ha solo diciassette anni. “È tutto finito. Ora non c’è più nessuno che possa proteggerci”.
Con lo stile asciutto tipico dell’inchiesta e una narrazione coinvolgente, Petra Reski riesce a restituire con delicatezza e profondità la vicenda personale di Rita, fornendo al contempo uno spaccato crudo ma autentico della realtà siciliana.