Paolo Bellini, il protagonista occulto di trent'anni di misteri italiani
Visite: 5805
Prefazione
1992-1993. Il periodo più insanguinato d’Italia. Il Paese sembrava al collasso, con l’economia sull’orlo del precipizio e Cosa Nostra scatenata come mai era avvenuto in passato. La sfida allo Stato era stata portata ai massimi livelli e tutto sembrava incerto, confuso, privo di sbocchi. In Sicilia si era versato sangue innocente; erano stati trucidati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Sangue altrettanto innocente aveva macchiato città come Milano, Roma, Firenze. Le stragi, per la prima volta nella storia della Repubblica, si erano spostate anche molto lontano dalla Sicilia.
Da allora a oggi ci sono stati innumerevoli volumi, inchieste, pubblicazioni, reportage televisivi, dibattiti e anche delle testimonianze dirette da parte di mafiosi che avevano avuto un ruolo di primo piano in quelle vicende e che a un certo punto della loro vita si erano decisi a collaborare con la giustizia. Un velo si è squarciato e lampi di verità sono venuti alla luce.
Si è formato, così, un enorme accumulo di documenti di prima mano che hanno tratteggiato quegli anni. Molti hanno focalizzato la propria attenzione attorno alla famosa trattativa tra uomini del Ros e uomini come Vito Ciancimino che parlava con i capi di Cosa Nostra. Al di là del giudizio che si può dare, quella trattativa, a quanto pare, fallì e non diede i risultati sperati.
Sono stati pochi, invece, coloro che si sono occupati di quella che si potrebbe definire una trattativa minore che ebbe come suo protagonista assoluto Paolo Bellini, originario di Reggio Emilia. Trattativa dagli esiti devastanti e sanguinosi. Chi era Paolo Bellini? E perché quest’uomo ebbe un ruolo così importante in quegli anni cruciali?
Giovanni Vignali con queste pagine offre il primo, importante e ragionato contributo a tratteggiare una figura complessa e dai molti tratti ambigui. Ci racconta la storia criminale sin dagli esordi di un uomo di destra che ha avuto l’abilità di avere coperture e complici in ambienti variegati e non sempre collegabili all’estremismo fascista.
Sembra di leggere la trama di un film, ma le pagine che seguono sono il racconto di un percorso di vita particolare, avventurosa, rocambolesca di un uomo imprevedibile e sfuggente che si muove come se fosse pienamente a suo agio tra ladri, criminali di bassa taglia, fascisti eversori, magistrati, carabinieri, mafiosi siciliani e ’ndranghetisti conosciuti in carcere. L’autore del libro contestualizza la storia inserendola e inquadrandola nei vari passaggi politici e storici che la fanno comprendere meglio ai giovani che non hanno vissuto quell’orribile stagione che ha costretto gli italiani a guardare come pietrificati le bare dei giudici Falcone, Morvillo, Borsellino, quelle delle donne e degli uomini delle loro scorte, quelle di donne e uomini semplici che hanno avuto il torto di vivere o di trovarsi occasionalmente presenti nei pressi delle località dove a Roma, Firenze, Milano gli assassini di Cosa Nostra avevano deciso di collocare le bombe micidiali.
L’Italia ha saputo reagire alle stragi e al terrorismo mafioso. Lo ha fatto salvando la democrazia e le istituzioni repubblicane, e lo ha fatto pagando un prezzo enorme. Ci sono stati processi importanti che hanno segnato una svolta, ci sono state le condanne degli autori materiali e dei mandanti mafiosi. Totò Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella e i principali capi di Cosa Nostra sono in galera, al 41 bis, cioè al carcere duro. Possiamo essere soddisfatti di questi risultati? In parte sicuramente sì. È stata una vittoria dello Stato e della democrazia repubblicana. Eppure restano ancora dei punti oscuri che vanno chiariti se si vuole chiudere con il passato. Mancano altri mandanti oltre a quelli mafiosi. Lo chiedono i familiari delle vittime perché il sacrificio dei loro cari abbia un senso compiuto e una spiegazione chiara. Lo chiedono quanti sono convinti che una democrazia come quella italiana non sarà mai solida a sufficienza se non conoscerà fino in fondo il proprio passato, per quanto dolorosa possa essere questa conoscenza. Cosa successe davvero in quegli anni? E perché fu deciso di colpire Firenze, Milano, Roma? La storia di Bellini ci aiuta a dare qualche risposta, anche se non tutte quelle che vorremmo. È utile continuare a scavare attorno a questo personaggio perché in tal modo si può cercare di capire quello che effettivamente è accaduto.
Il libro di Vignali è importante perché non consegna all’oblio quei fatti, perché contribuisce a mantenere aperto il problema, perché chiede ad altri di intervenire sull’argomento – non solo studiosi, ma anche le istituzioni, a cominciare dalla Commissione antimafia che dovrebbe avere a cuore un problema di questa portata e che potrebbe provare a fare un’inchiesta con un comitato appositamente costituito, come fu quello sul caso Impastato che ha prodotto una delle più significative relazioni della Commissione antimafia a firma Giovanni Russo Spena. Su Bellini ci sono molte certezze, ma molti sono ancora i misteri inaccessibili, le zone d’ombra inesplorate, le oscurità rimaste impenetrabili. Chi era davvero Bellini? E quale ruolo ha giocato? Solo quello che ha raccontato nei processi che lo hanno visto deporre oppure c’è un non detto ancora da decifrare e da scoprire?
Uno dei grandi interrogativi che non hanno trovato una risposta certa è il rapporto di Bellini con uomini degli apparati dello Stato. Bellini ha negato, con ostinazione, di far parte dei servizi segreti. Il mafioso Antonino Gioè si è portato questo dubbio nella tomba. Quando decise di porre fine alla sua vita scrisse nella sua lettera-testamento: «… supponendo che il signor Bellini fosse un infiltrato». Gioè non era un mafioso qualunque, era uomo di Riina, faceva parte della commissione provinciale di Cosa Nostra, riferiva direttamente a Brusca dei suoi incontri con Bellini; per uno come lui la diffidenza era parte costitutiva della sua mafiosità e diffidava naturalmente di Bellini perché non conosceva chi fossero i suoi interlocutori.
Chi stava veramente dietro a quell’uomo conosciuto in carcere? In nome e per conto di chi stava trattando Bellini? Ecco l’assillo di Gioè e dei mafiosi in quel periodo. L’interrogativo non trovò mai una risposta certa. Il capomafia cercò in vari modi e a più riprese di scoprirlo. Chiese a Bellini se per caso operasse per conto della massoneria. Se così fosse stato, per Gioè sarebbe stata una buona notizia perché aveva buone relazioni tra i massoni trapanesi. E poi gli chiese: «Ma tu non starai mica lavorando per i servizi segreti?» Domanda che Bellini si sentirà ripetere più volte, anche da altri, a partire dai primi anni Ottanta. E lui continuerà a rispondere sempre di no. Quello che ha dell’incredibile è il fatto che il vertice di Cosa Nostra che aveva progettato ed eseguito le stragi di Capaci e di via D’Amelio continuasse a mantenere aperta una trattativa con Bellini senza sapere con certezza chi rappresentasse effettivamente e, per di più, sospettando che lui fosse un uomo legato ai servizi segreti. È uno dei tanti misteri irrisolti di quegli anni torbidi.
Al di là dei dubbi dei mafiosi, il fatto è che nei suoi rapporti con uomini delle forze dell’ordine ci sono per lo meno delle stranezze, delle cose incomprensibili, persino bizzarre, che non hanno avuto una sufficiente spiegazione. Bellini ha fatto, per sua stessa ammissione, il killer della ’ndrangheta, peraltro di una ’ndrina minore della galassia criminale, ha avuto contatti con i vertici di Cosa Nostra proprio mentre era in rapporti con un ispettore e con un maresciallo dei carabinieri, entrò in contatto, sempre per sua ammissione, con uomini che erano dei servizi segreti. Un bell’intreccio, non c’è che dire. Tra mafiosi e poliziotti e carabinieri Bellini ha saputo come destreggiarsi. E lo ha fatto per lunghi, interminabili anni. È possibile scavare ancora attorno a quei legami per cercare di capire cosa avvenne davvero? Era normale che i servizi segreti si interessassero a un personaggio che aveva la sua biografia; era parte del loro mestiere. Ma – se quei rapporti, come pare, ci sono stati – è normale, a distanza di tanti anni, rimanere all’oscuro del contenuto di quanto è stato detto? Per quanto se ne sa, a nessuno è mai venuto in mente di seguire Bellini in quel periodo e scoprire con chi era in contatto in Sicilia. Non si dimentichi che Riina e tutti i vertici di Cosa Nostra erano ancora latitanti.
O, invece, fu seguito? E con quali esiti? Riuscì a eludere i controlli oppure chi lo seguiva scoprì con chi si incontrava? E, se è così, chi informò dei suoi superiori?
Una folla di domande, una dietro l’altra, che attende risposte.
Forse rispondendo a qualcuna di queste, quegli incontri tra Bellini e Gioè acquisteranno altra importanza e significato rispetto a quelli avuti sinora e si potrà capire meglio le ragioni che spinsero i mafiosi – solo mafiosi o anche altri, come è del tutto probabile?
– a decidere di spostare le stragi a Firenze, Milano e a Roma.
Enzo Ciconte
La primula nera
Nota dell’autore
Un’avvertenza al lettore, prima di cominciare. Le molte vicende criminali di cui Paolo Bellini si è reso protagonista si sono, nell’arco della vita, intrecciate fra loro in modo caotico confondendo giornalisti, inquirenti e magistrati. Solo nel 1999, quando si pentirà al termine di un lungo iter delinquenziale, rivelerà omicidi sconosciuti e trame inedite, che permetteranno di fare un po’ di chiarezza su quale ruolo abbia avuto per trent’anni nella storia d’Italia. Per mettere insieme i pezzi di una vicenda che nella sua interezza è sempre sfuggita agli occhi di chi è stato, di volta in volta, chiamato a raccontarla, è stato necessario seguire i processi, consultare gli atti delle Commissioni stragi e antimafia, studiare le carte dei procedimenti, consultare i poliziotti e gli amici d'infanzia del killer. Migliaia di pagine di quotidiani, dal 1970 al 2009, hanno avuto il merito di illuminare singoli aspetti delle “imprese” di Bellini: solo riunendole a decenni di distanza e verificandole sulla base dei pronunciamenti della magistratura si è potuto riannodare il filo di un discorso troppe volte interrotto dal protagonista, eclissatosi a lungo, per poi ricomparire con nuove identità e nuovi ruoli.
Per questo il libro articola per capitoli la sua esistenza, tentando di rendere comprensibili le singole fasi dell’ascesa del killer reggiano nella malavita nazionale. Per ognuna di esse troverete il racconto in presa diretta degli avvenimenla_ti, il contesto, le indagini delle forze dell’ordine, le sentenze dei giudici e le rivelazioni dell’uomo che, nel frattempo, è diventato collaboratore di giustizia.
Abbiamo ritenuto quest’impostazione necessaria per evitare di generare confusione in chi legge e per non procedere a zigzag dal 1975 al 1999 e ritorno, finendo per rendere impossibile la comprensione di quanto è accaduto. In fondo il vantaggio di alcuni libri sta anche in questo: sfogliare ogni pagina e avere gli elementi per valutare una storia sulla base di ciò che è già successo. Nella vita, spesso, lo si capisce solo quando è troppo tardi, e molte occasioni sono irrimediabilmente passate. Quando ad agire sono criminali, ciò comporta vite perdute e innocenti ammazzati, senza poter fare nulla per salvarli.
La seconda avvertenza è di tipo grafico: nel volume le parole pronunciate da Bellini, che vengano riprese da articoli di quotidiani, da stralci di sentenze, da interrogatori o persino da battute scambiate con i cronisti, compaiono in corsivo.
Esse hanno il pregio irrinunciabile di illuminare lati della vicenda che narriamo sui quali pochi hanno potuto indagare sino in fondo, ma non sempre hanno trovato riscontro in prove fattuali. Trattandosi di azioni di ilevanza penale, coinvolgendo a volte persone decedute, altre volte uomini e donne che negano la versione del pentito, ci è parso importante differenziare, con un segno immediatamente palese, quanto dichiarato dal protagonista di questo libro da tutto il resto.
Starà, in fin dei conti, anche a chi legge valutare se e quanto ciò che ha raccontato Bellini è coerente con lo svolgersi dellastoria di cui è stato almeno in parte protagonista, e con le sentenze scritte, di cui riferiamo diffusamente. Il lavoro dei magistrati resta una delle poche stelle polari a cui affidarsi,quando ci si addentra in un racconto criminale assai equivoco, quale quello che state per leggere.
Introduzione
Può un uomo solo entrare da protagonista in trent’anni di vicende criminali di un Paese, modificando il proprio ruolo e i propri referenti in modo da trovarsi sempre al posto giusto nel momento giusto? È credibile che, per quanto dotato di capacità di adattamento camaleontiche, abbia l’abilità di accostarsi alla criminalità comune così come a quella organizzata, all’estremismo politico e alle operazioni di frontiera dello Stato, contando sulle sue sole forze, senza la guida illuminata di qualcuno particolarmente potente al di sopra di lui?
Paolo Bellini è stato questo: una varietà di maschere usate per inserirsi e uscire da moltissimi fra i capitoli più ambigui della vita italiana, fra il 1970 e il 1999. Carcerato prima e referente delle forze dell’ordine poi, ha vissuto in equilibrio fra istituzioni e malavita, giocando partite ad alto rischio e riuscendo tutto sommato a mantenere la sua specificità. Quella di un personaggio inafferrabile, al centro di snodi che lo hanno condotto da un conflitto all’altro, muovendosi con esperienza consumata e tempismo perfetto nello sfilarsi un attimo prima di rimanere travolto.
La vicenda che vogliamo narrare parte da qui: da un uomo di cui i media e la pubblicistica hanno parlato a 19 spot, senza mai focalizzare un interesse vero sul complesso delle “imprese” che ha compiuto, interesse che probabilmente ne avrebbe depotenziato la possibilità di infiltrarsi in una serie di ambiti delinquenziali, uno dopo l’altro. È la storia di un singolo,ma al tempo stesso anche lo spaccato dell’Italia in cui si è mosso. Trent’anni sono un tempomolto lungo, e alla luce di questa constatazione risulta ancor più incredibile come Bellini sia stato in grado di progredire nella propria carriera criminale, accelerando sino a uccidere, impunito, circa dieci vittime (molti processi sono ancora in corso, per cui non è possibile stabilire il numero con precisione), prima di crollare e di cercare la redenzione col pentimento e la collaborazione con lo Stato.
La violenza e le immagini crude descritte nelle prossime pagine non sono un espediente, né il tentativo di intercettare un certo tipo di pubblico. Si tratta solo di una delle fasi di Paolo Bellini, quella in cui smette di stare in equilibrio sulla linea di confine e si qualifica in modo definitivo come assassino cinico e spietato. Alcuni lo hanno paragonato aimafiosi chemisero bombe e soffocarono nel sangue la vita di decine di innocenti, altri invece lo hanno raccontato come l’emissario di figure rimaste nell’ombra, decise a interferire con lo sviluppo della democrazia in Italia.
Né l’una né l’altra versione sono però supportate da prove certe, e di conseguenza entrambe sono state smentite nei tribunali che lo hanno giudicato. Vale dunque la pena di seguire il percorso della “primula nera” (uno dei tanti soprannomi che l’hanno accompagnato) analizzandonemosse e alleanze strette di volta in volta, per provare a formarsi un’opinione in autonomia.