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La malattia mentale sembra far comodo alla Camorra. La sua storia criminale è piena di boss che utilizzano la follia per ottenere benefici di giustizia, spesso riuscendoci. La cronaca racconta di capi e affiliati che usano a proprio favore le perizie psichiatriche ottenendo diagnosi false per continuare a gestire i propri affari nelle strutture sanitarie in cui sono trasferiti, che dimostrano di conoscere i sintomi della follia e le regole del processo penale meglio di psichiatri, avvocati e magistrati o che, scarcerati per motivi di salute (chi fingendosi cieco, chi anoressico, chi completamente matto), dopo poche ore spariscono o ammazzano. Altre volte, come se non bastasse, chi deve delegittimare i collaboratori di giustizia e rendere inattendibili dichiarazioni sconvenienti, fa appello ai loro pretesi disturbi psichiatrici. In Campania, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, alcuni criminologi vengono uccisi dai clan e altri si tolgono la vita perché accostati a vicende di Camorra, che riportano tutte a Raffaele Cutolo o ai suoi diretti rivali. La follia di quest’uomo è un tema molto dibattuto: sottoposto a più di dieci perizie psichiatriche, evaso dal manicomio criminale di Aversa, la sua biografia va di pari passo con quella di Aldo Semerari, uno dei più importanti e discussi psichiatri italiani, assassinato in circostanze quantomeno misteriose. Anche negli ultimi anni vicende controverse coinvolgono psichiatri, operatori di comunità, medici dei servizi di salute mentale e per le tossicodipendenze in relazione a loro vere o presunte collusione criminali. I medici della Camorra, per la prima volta, spiega tutti i come e tutti i perché la criminalità organizzata strumentalizza la malattia mentale e le perizie psichiatriche per ottenere benefici di ogni sorta. Una forma atipica e pericolosissima di “mafia dei colletti bianchi” che è entrata vischiosamente nelle procedure giudiziarie mettendo seriamente in discussione le modalità con le quali, oggi, viene amministrata la giustizia.