Storia di una guerra infinita - 26esima edizione
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In occasione della 26esima ripubblicazione del libro "Quarant'anni di mafia. Storia di una guerra infinita”, il testo scritto dal giornalista-scrittore Saverio Lodato (edito da Bur-Rizzoli) vogliamo riproporre ai nostri lettori l'editoriale del nostro direttore, Giorgio Bongiovanni, in cui si ricorda la presentazione della prima edizione del libro “Dieci anni di mafia”, a cui partecipò Giovanni Falcone.
Correva l'anno 1990.
Trent'anni dopo il libro, un bestseller storico per tutti coloro che vogliono comprendere e conoscere il fenomeno mafioso ed i suoi legami con la politica, l'imprenditoria e segmenti di potere.
1990: quando Falcone presentò il libro di Saverio Lodato
di Giorgio Bongiovanni - 18 agosto 2020
Oggi lo scrittore continua a raccontare i veri eredi di Falcone e Borsellino
“Si muore quando un dito indice, che proviene dall'interno delle Istituzioni, ti offre alla vendetta mafiosa e ciò avviene non soltanto se tu fai un passo avanti ma se quelli che restano accanto fanno un passo indietro”. Correva l'anno 1990 quando Giovanni Falcone alla presentazione del libro “Dieci anni di mafia” di Saverio Lodato, dialogando con Nando dalla Chiesa, Gerardo Chiaromonte e Luciano Violante, restituiva un quadro allarmante e quasi profetico di uno Stato che la mafia non voleva combattere. Da allora sono passati 30 anni. “Non è un caso – sottolineava Falcone nel ricordare il sanguinario attacco delle mafie contro poliziotti, magistrati e giudici avvenuto negli anni '70 e '80 - se tutte le uccisioni si sono realizzate esclusivamente nei confronti delle persone che erano particolarmente esposte e lo erano non soltanto per la loro specifica attività, ma perché di fronte al loro particolare impegno c'è stata l'inerzia, l'ignavia e il disinteresse di tanti altri che avrebbero dovuto fare e che invece non hanno fatto”. Sono passati trent'anni da quel 16 settembre e nel mentre lo scrittore Lodato ha riempito pagine e pagine con altri fatti tragici, morti, stragi e verità insabbiate fino ad arrivare all'ultima edizione “Quarant'anni di mafia” edito nel 2012. Cambiano i fatti, alcuni nomi ma il copione è unico, uno schema che si ripete da oltre cinquant'anni e che cerca di soffocare i tentativi di cambiamento costringendo nell'immobilità un intero Paese che si lascia gabbare da oltre mezzo secolo.
Quell'indice alzato di cui parlava Falcone, quella condanna definitiva che toccò a lui stesso ed all'amico e collega Borsellino, arrivava dopo estenuanti tentativi di sabotare, denigrare o disincentivare chi si convinceva che questa mafia andava messa all'angolo assieme a chi con essa scendeva a patti. E' esemplare lo scandaloso conto da pagare, ricordato da Lodato all'epoca, presentato dallo Stato a Falcone e Borsellino per la loro permanenza nel carcere dell'Asinara dove erano stati mandati dallo Stato “per scrivere, in tempo record, la loro ordinanza di rinvio a giudizio del maxiprocesso nell'estate del 1985 in cui nel giro di una settimana la mafia inizia a colpire, uccidendo il commissario Cassarà, Zucchetto e Montana”. Così come l'isolamento del generale dalla Chiesa “che dopo un paio di mesi dal suo arrivo a Palermo si rende conto di essere stato paracadutato da solo in una zona di guerra e chiese dei poteri particolari che lo Stato non gli volle dare”.
Lo scrittore in occasione della presentazione del suo libro sottolineava anche i tentativi di sviare l'attenzione e le indagini con lettere anonime e “corvi” da temi principali come il mancato attentato al giudice Falcone. Non si possono dimenticare infine le polverose polemiche all'interno del CSM dopo l'intervista rilasciata da Borsellino all'Unità e alla Repubblica dove il magistrato faceva notare che l'impegno dello Stato contro la mafia aveva raggiunto un livello molto basso. “In qualunque Paese civile - sottolineava Lodato - una denuncia che proveniva da un magistrato in prima linea sarebbe stata immediatamente presa in considerazione, invece si aprì una lunghissima ed estenuante discussione all'interno del Consiglio superiore della magistratura che portò, guarda caso, allo smantellamento del pool dell'ufficio istruzione di Palermo”.
Trent'anni dopo quella storica presentazione, che è possibile sentire ancora oggi su Radio Radicale (che invitiamo ad ascoltare), Saverio Lodato continua ad essere un testimone autorevole di quel tempo, tanto che raccolse la parole del giudice su quelle "menti raffinatissime" immediatamente dopo il fallito attentato all'Addaura, ma anche del tempo presente in un parallelismo che torna, seppur con nuovi protagonisti. Ieri le critiche e gli ostacoli erano rivolti contro Falcone e Borsellino. Oggi contro magistrati come Nino Di Matteo, Sebastiano Ardita, Giuseppe Lombardo, Roberto Scarpinato, Nicola Gratteri, Luca Tescaroli ed altri che ne hanno raccolto l'eredità.
In particolare proprio su Di Matteo, Lodato ha fatto un paragone calzante con la storia che fu di Giovanni Falcone.
Del resto è un dato di fatto che di sabotaggi e denigrazioni nei confronti di uomini e donne impegnate in prima fila nella lotta alla mafia si potrebbero riempire libri su libri fino ai giorni nostri. Basti pensare, per citare tra i più esemplari accadimenti, alle peripezie che si è trovato a vivere in prima persona proprio il pm Nino Di Matteo insieme ai suoi colleghi della procura di Palermo durante tutto il processo chiamato “Trattativa Stato-mafia”.
Appare disarmante questo ripetersi di copioni se non fosse che, così come emerge un potere malsano che si rinnova negli anni, riscontriamo l'esistenza di uomini e donne che mal si incastrano in quel sistema perverso e che ciclicamente lo mandano in tilt, individui giusti che lo costringono a scoprirsi e che ricordano a chi si sta assopendo che esiste un'alternativa al marcio della corruzione.
Se, come diceva Falcone, 30 anni fa quando ancora nei tribunali si metteva in dubbio l'esistenza della mafia, accadeva che “per la prima volta, c'è una risposta corale da parte di pochi funzionari dello Stato grazie alla quale si è ottenuto che per la mafia la Sicilia non è più il cortile di casa sua, che nella terra di origine la mafia non può più sentirsi sicura come lo era nel passato” oggi noi possiamo dire che, nel momento in cui si pensava che lo Stato non sarebbe mai riuscito a giudicare se stesso, si è arrivati, il 20 aprile 2018 ad una sentenza storica (in primo grado) che mette nero su bianco che la trattativa tra mafia e Stato ci fu. Anzi venne sancito che gli imputati mafiosi, Bagarella e Cinà, alcuni ufficiali dei Carabinieri (Mori, De Donno e Subranni), e l’ex Senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri sono colpevoli di minaccia o attentato a Corpo politico dello Stato. Sentenza che è costata polemiche, critiche e isolamenti nei confronti dei giudici che hanno istituito l'intero processo ma che di fronte alla Corte d'Assise di Palermo hanno portato fatti e considerazioni inequivocabili e nette. Ora si attende il secondo grado di giudizio ma, al di là delle conclusioni giudiziarie a cui si arriverà, resta la consistenza storica dei fatti emersi nell'intera indagine e nei dibattimenti. Un altro tassello importante nella ricerca della verità di quegli anni è la sentenza del processo denominato “'Ndrangheta stragista” emessa lo scorso 24 luglio. I giudici della Corte d'Assise di Reggio Calabria hanno sancito che gli omicidi avvenuti tra il dicembre 1993 e il febbraio 1994 in Calabria per mano della 'Ndrangheta vanno inseriti nel contesto della strategia stragista di attacco allo Stato portato avanti da Cosa nostra per far scendere a patti lo Stato.
Patti di cui parla l'ultimo celebre libro di Saverio Lodato “Il patto sporco”, scritto assieme a Nino Di Matteo (oggi componente del Csm) che offre al lettore la chiave per comprendere il sistema criminale complesso che cerca di tenere immobile il Paese da oltre 50 anni, garantendo appoggi, latitanze e silenzi. Silenzi che stridono rumorosamente con l'infinita lista di vittime cadute sotto i colpi della mafia e non solo. Uomini e donne che hanno sacrificato la loro esistenza per aprire uno squarcio in quel denso stato di rassegnazione, apatia, alienazione che ristagna e spegne quella voglia di verità, quella spinta che non farebbe più fare passi indietro, ma avanti uno a fianco all'altro.
Per ascoltare l'audio della presentazione del libro: Clicca qui!
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La rubrica di Saverio Lodato