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Dopo aver indagato e messo a nudo la storia della mafia del Gargano, con i suoi incroci familiari, i boss, gli appetiti economici nel fortunato libro La mafia innominabile (2011), il procuratore della Repubblica di Lucera, Domenico Seccia, torna in libreria proprio in questi giorni con il suo nuovo lavoro La mafia sociale (sempre per le edizioni la meridiana, pp. 184, euro 16,50). Se la criminalità organizzata operante tra Monte Sant’Angelo, Mattinata e San Marco in Lamis era “innominabile” in quanto pressoché ignota, nella sua rete articolata di omicidi e di collusioni, la mafia al centro del nuovo libro di Seccia è “sociale” in due significati diversi: in primo luogo perché allarga lo sguardo alla storia della “Società”, cioè di quella particolare organizzazione criminale di stampo mafioso che ha innestato le proprie radici soprattutto nella città di Foggia, ma anche a Peschici, Rodi e Lucera; in secondo luogo perché analizza più nel dettaglio aspetti che, rispetto ai regolamenti di conti di cui è colma la storia della mafia garganica, affondano più in profondità nella percezione dell’insicurezza collettiva e “sociale” e nella presenza economica e militare dell’organizzazione mafiosa sul territorio.
Caratteristico di questo secondo elemento è ad esempio il fenomeno del racket delle estorsioni, cui Seccia dedica pagine di grande profondità, nel suo consueto stile frastagliato, con le brevissime frasi per ogni capoverso che avevano già contrappuntato il racconto delle vicende in La mafia innominabile. Gli ordigni che spesso azzerano la storia di attività commerciali di Foggia e provincia, anche nei casi in cui un moto di ribellione civica prova a limitarne gli effetti (Seccia cita il caso di un negozio di abbigliamento cui fu affidato, dopo un’esplosione dolosa che aveva distrutto, un gazebo in centro per poter continuare l’attività), costituiscono un colpo duro da assorbire per coloro che lo subiscono, i quali nel loro complesso rappresentano la rete commerciale e imprenditoriale su cui si innesta lo sviluppo delle città. Un contesto aggravato dal fatto che «qui si continua a dire che non vi è alcuna infiltrazione mafiosa. Tutti dicono ‘qui’ e non ‘da noi’, e forse anche questo vuol dire qualcosa. La mafia rende tutto cenere. Se soffi sulla cenere non c’è nulla in essa che opponga resistenza per non volarsene via. Rendere cenere ogni cosa è la sua forza. Dove vi è cenere non vi è più nulla. Non c’è Stato. Non c’è sviluppo. Tutto è così come è. Immutabile».
La mafia sociale di Domenico Seccia, introdotto da una prefazione di Raffaele Cantone, neoeletto componente della task force per l’elaborazione di proposte in tema di lotta alla criminalità organizzata voluta dal premier Enrico Letta, sarà presentato in anteprima nazionale giovedì 11 luglio nell’ambito del festival “Il Libro Possibile” di Polignano a Mare alla presenza di don Mimmo Cornacchia, vescovo di Lucera, e Guglielmo Minervini, direttore editoriale delle edizioni la meridiana, con il coordinamento del giornalista Enzo Magistà. Sarà questa la prima di una serie di occasioni in cui analizzare, alla presenza dell’autore, la nascita e la ramificazione delle organizzazioni mafiose nel tessuto sociale della Capitanata (grazie ai preziosi documenti inediti relativi alle inchieste giudiziarie – sentenze, interrogatori, intercettazioni – presenti nel libro), ma anche il reticolo di quelli che appaiono come tanti “piccoli” fatti di cronaca e che invece rappresentano la grande ragnatela in cui la mafia prova a tenere soggiogato un vasto territorio della nostra regione.