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Non nel mio nome

di Giorgio Bongiovanni 

Francia, Germania, Belgio e Russia hanno detto no alla Nato.
Nelle ultime ore i tre Paesi dell’Allenza Atlantica hanno posto il veto al piano di rafforzamento del dispositivo militare a difesa della Turchia, infrangendo la procedura di silenzio-assenso e frenando l’avvio automatico dei sistemi di difesa decisi dal segretario generale dell’Alleanza George Robertson. Da parte loro non vi sarà alcun sostegno all’operazione bellica statunitense contro Saddam Hussein, di cui Ankara rappresenta il fronte nord.
La prima telefonata alla Nato, quella francese, è arrivata soltanto un’ora prima del termine concesso agli Stati membri per manifestare la propria contrarietà suscitando la collera del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld. <>, ha detto, minacciando .
Ma nessun popolo, quello americano a parte, sembra chiedere guerra.
Sono già 42 i paesi che hanno risposto all’appello del Forum Sociale Europeo per fermare la guerra all’Iraq. Tra questi, inutile dirlo, quello iracheno.
Che solo a causa dell’embargo conta già quasi due milioni di morti. Gli americani li chiamerebbero <>.
Nel 1996, all’allora ambasciatore Usa all’Onu Madeleine Albright venne posta una domanda: <>. La risposta fu affermativa.
Oggi con il primo cittadino americano il nostro Presidente del Consiglio trascorre ore al telefono in quelli che nei comunicati di Palazzo Chigi sono definiti “lunghi colloqui di lavoro”. Insieme parlano della “necessità di perseguire ogni possibile tentativo per evitare un intervento militare in seguito al persistente rifiuto opposto da Saddam Hussein alla neutralizzazione dei suoi arsenali chimici e biologici di distruzione di massa”.
Nel frattempo il capo degli ispettori Onu in Iraq, Hans Blix, di rientro da Baghdad, dichiara che <>, ma soltanto il segno di una maggiore collaborazione del regime. <>.
Segnali di fiducia anche dal capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) Mohammed el-Baradei: <>.
Come a dire che LE PROVE per bombardare l’Iraq NON CI SONO.
Eppure, di tutta risposta, il Presidente Bush parla di Saddam Hussein come di un feroce sanguinario che userà la sua gente come scudo <>.
Di tutta risposta l’America si dichiara pronta all’invio di altri 200mila uomini della 101esima Divisione Aerotrasportata, noti anche come “Screaming Eagles” (Aquile urlanti).
La 101esima Divisione, dotata di 270 elicotteri, è specializzata in operazioni aeree d’assalto. In partenza per il Medio Oriente anche la portaerei Kitty Hawk, attualmente basata in Giappone, che raggiungerà la Constellation, già nel Golfo Persico, la Harry Truman, nel Mediterraneo orientale, la Abraham Lincoln, attualmente nel Mar Caraibico, ma diretta nel Golfo, la Theodore Roosevelt, diretta verso il Mediterraneo orientale.
In caso di un persistente mancato appoggio degli alleati Washington si dice anche pronta a cambiare le proprie strategie militari sul vecchio continente, convertendole in una <> più agile e di rapido dispiegamento.
In sostanza nulla sembra poterla fermare.
Né il dissenso dell’opinione pubblica, né gli accorati appelli del Papa, né l’opposizione degli alleati, né la pietà per milioni di vittime innocenti che verranno strappate alla vita con feroce barbarie.
La dottrina Bush getta un colpo di spugna su qualsiasi intermediazione internazionale e suona come un vero e proprio editto imperiale che va oltre l’attacco in sé stesso e di fronte al quale cominciano a preoccuparsi Russia, Cina, Francia e Germania.
<>, continua Rumsfeld, forte di una potenza economica e militare sicuramente impareggiabile.
Ma “se per scatenare un’invasione basta che non piaccia a Dick Cheney la foggia dei baffi di Saddam Hussein – scrive Marco D’Eramo su il Manifesto – allora la marcia su Baghdad è solo la prima tappa della <> che ci è stata promessa”.
Una guerra dove i “buoni” non esitano a promulgare leggi che autorizzino ogni forma di tortura contro ogni presunto terrorista. Così come è avvenuto per i terroristi di Guantanamo che solo oggi, troppo tardi, scopriamo essere quasi tutti vittime innocenti.
Quella contro Saddam, in sostanza, sarà l’inizio di una battaglia contro i diritti umani, contro la libertà, contro la libera informazione. Anche contro di noi.
“Il Presidente del pianeta annuncia il suo prossimo crimine in nome di Dio e della democrazia – sostiene Eduardo Galeano nel testo scritto per la Rete Sociale Mondiale nata a Porto Alegre -. Così calunnia Dio. E calunnia anche la democrazia, che è sopravvissuta con fatica nel mondo nonostante le dittature che gli Stati Uniti vanno seminando dappertutto da più di un secolo”.
“L’unico paese che ha usato armi nucleari contro la popolazione civile, il paese che ha lanciato le bombe atomiche che cancellarono Hiroshima e Nagasaki, pretende di convincerci che l’Iraq sia un pericolo per l’umanità. Se il presidente Bush ama tanto l’umanità, e davvero vuole scongiurare quella che è la più grave minaccia per l’umanità, perché non si bombarda da solo, invece di pianificare un nuovo sterminio di popoli innocenti?
Il prossimo 15 febbraio immense manifestazioni invaderanno le strade del mondo.
L’umanità è stufa di essere usata come alibi dai suoi stessi assassini. Ed è stufa di piangere i suoi morti alla fine di ogni guerra. Questa volta vuole impedire la guerra che li ucciderà”.
Ed è per questo che anche noi di Terzomillennio, insieme a tante altre associazioni, diciamo NO alla guerra.
In particolare ad una guerra pensata e voluta per tutelare gli interessi di pochi a discapito di molti, troppi innocenti.
Diciamo NO ad una guerra pensata e voluta per affermare il dominio dell’Impero nel mondo.

«L’Italia di Berlusconi ha ormai stretto un patto con l’Impero: il Presidente chiede all’Impero di  essere libero, di fare in Italia quello che vuole e in cambio offre una Italia completamente antieuropea che spacca l’Europa in due pezzi a favore della strategia degli Stati Uniti d’America>>. Spiega così Giulietto Chiesa la netta posizione di Berlusconi a favore della guerra americana contro il terrorismo internazionale. Una posizione rischiosa, aggiunge il giornalista, che coinvolgerà il nostro Paese <>. E intanto Washington si prepara ad attaccare l’Iran.

Dottor Chiesa, secondo la logica del potere dell’impero qual è il significato dell’assetto Francia, Germania, Russia, perché si oppongono all’attacco e chiedono nuove ispezioni Onu?
Secondo me ci sono ragioni diverse a tale opposizione. Tutti e tre i Paesi, in ogni caso e in varia misura, sono però preoccupati che la linea degli Stati Uniti cancelli tutti gli accordi internazionali e tutte le regole della convivenza internazionale. E’ infatti evidente che gli americani stanno facendo da soli, contro tutti i criteri della diplomazia e dei rapporti internazionali; di quelle regole, in sostanza, che hanno finora presieduto al funzionamento della comunità internazionale. O almeno dalla fine della seconda guerra mondiale. E’ quindi chiaro che tutti gli altri interlocutori di peso sulla scena mondiale tendono a frenare il ruolo autonomo e unilaterale intrapreso dall’amministrazione degli Stati Uniti d’America guidata da George Bush. Questa è una delle ragioni. Poi, naturalmente, ci sono anche dei motivi speciali: i tedeschi di Schroeder la pensano in un modo, i francesi e i russi sono preoccupati per i loro interessi nell’area perché, sia gli uni che gli altri, hanno appunto ampi interessi, in particolar modo petroliferi, nel rapporto con l’Iraq e sono ben consapevoli che se gli americani si impadroniscono dell’Iraq l’intera politica energetica del mondo sarà ormai sotto diretto controllo degli Usa. E quindi tendono entrambi a tutelarsi essendo chiaro che nel momento in cui il governo di Saddam Hussein verrà abbattuto e verrà sostituito da un governo filoamericano i francesi e i russi dovranno chiedere il permesso all’America - che potrà anche essere loro negato - nell’accesso ai 115 miliardi di barili di petrolio che stanno sotto al territorio iracheno. Quindi, sostanzialmente, sono queste le ragioni corpose per cui Russia e Francia sono in disaccordo. Ripeto, però, che la cosa più importante è quella generale e cioè che la superpotenza americana non chiede più niente a nessuno e fa quello che ritiene opportuno: un modo diverso di concepire il rapporto con gli alleati che passa da un rapporto di partnership a un rapporto di dominio e di comando.
Il vero pericolo di questa guerra deriva quindi dal fatto che l’attacco all’Iraq rappresenterebbe un ulteriore passo in avanti nell’affermazione del dominio dell’Impero?
Sì, esattamente.
Il presidente Berlusconi sembra invece più deciso ad appoggiare l’America in questa fase delicata della guerra al terrorismo.
Il governo Berlusconi, e Berlusconi in particolare, ha già dichiarato il suo appoggio. E questo non stupisce. Del resto si sa benissimo che la posizione di Berlusconi è totalmente pro-americana, senza nessuna oscillazione. Berlusconi sta però ora cercando di dare l’impressione di essere un po’ collaterale, di non volere cioè un impegno diretto delle truppe italiane, secondo il solito criterio italiota di fare il furbo. La sua è sostanzialmente una posizione furba, di appoggio agli Stati Uniti, ma che cerca, contemporaneamente, di far capire agli elettori italiani che l’Italia non correrà dei rischi. Naturalmente è una posizione ingannevole, falsa, perché l’Italia correrà dei rischi e si coinvolgerà sia moralmente che politicamente che militarmente in una guerra. Ciò detto, è chiaro che l’Italia di Berlusconi ha ormai stretto un patto con l’Impero: il presidente chiede all’Impero di  essere libero, di fare in Italia quello che vuole e in cambio offre una Italia completamente antieuropea che spacca l’Europa in due pezzi a favore della strategia degli Stati Uniti d’America.
Cosa pensa della forte opposizione del Vaticano, e del Papa in particolare, all’attacco?
Penso che la Chiesa si renda conto sempre più fortemente, sempre più chiaramente che non può seguire gli Stati Uniti su questa linea di completa e totale rottura degli equilibri internazionali. Se la Chiesa si schierasse dalla parte degli Stati Uniti d’America si precluderebbe, strategicamente, ogni possibilità di evangelizzazione di 5/6 del pianeta. La Chiesa è una grande istituzione, che ha una grande storia e ha una sua propria strategia. Il fatto che ci siano cinque miliardi di persone che vivono male a fronte di un solo miliardo di persone che vive bene e che è guidato dagli Stati Uniti d’America nel modo che abbiamo detto prima, non le permette di stare al fianco degli americani poiché, così facendo, si precluderebbe la possibilità di parlare ai poveri del mondo che sono i suoi interlocutori privilegiati. Anzi, che dovrebbero essere i suoi interlocutori assoluti. Io credo che il Papa si sia reso conto che con la fine del bipolarismo e l’arrivo sulla scena di una sola superpotenza mondiale, seguire questa linea sarebbe un suicidio strategico.
Sembra che adesso Tariq Aziz voglia in qualche modo giocare la carta del Papa che forse incontrerà nel corso della sua prossima visita in Italia.
Mi pare che sia il Papa che voglia giocare la carta sua. Se il Papa non avesse deciso di incontrarlo, Tariq Aziz non avrebbe potuto fare nulla e quindi la decisione, alla quale ovviamente l’Iraq acconsente volentieri, è stata una decisione del Papa. E’ qui il punto chiave. E se l’incontro del Papa con Tariq Aziz dovesse avvenire sarebbe un fatto di straordinario valore politico su tutta l’arena mondiale.
Secondo lei la Chiesa ha ancora il potere di trainare l’opinione pubblica internazionale?
La Chiesa sta già trainando una parte importante dell’opinione pubblica europea contro questa guerra. La Chiesa e le Chiese, perché anche in Gran Bretagna l’opinione pubblica è in grande parte contraria alla guerra e lo è perché è stata trascinata dalla Chiesa anglicana. Mi pare, in sostanza, che le Chiese cristiane europee siano tutte, a cominciare da quella cattolica, fortemente ostili a questo conflitto che non ha ragioni né morali, né politiche, né di nessun genere, è un puro atto di potenza, di prevaricazione e di prepotenza degli Stati Uniti d’America nei confronti del resto del mondo. Questo è quello che tutte le Chiese cristiane stanno sostenendo.
Rimanendo in tema di opinione pubblica, quali sono le speranze emerse nel corso dell’ultimo incontro di Porto Alegre?
Il movimento che Porto Alegre rappresenta sta cercando di pensare al futuro in termini di pace e di sviluppo sostenibile. Queste sono le speranze. Certo non sulla guerra in quanto tale, nel senso che li si prendono delle decisioni che prescindono dalle volontà dei popoli, ma, sicuramente, a Porto Alegre, la riflessione su un mondo diverso e possibile si associa a una grande contrarietà e ostilità contro la guerra quindi le due cose camminano insieme. Chi ragiona e sta cercando una soluzione alternativa a questo tipo di sviluppo ragiona anche in termini di pace, chi invece vuole portare avanti questo tipo di sviluppo, così come è stato anche negli ultimi trent’anni, pensa alla guerra. La differenza è tutta lì. E’ bene però specificare che persino all’incontro di Davos, dove si sono riuniti i protagonisti del business internazionale, non c’è stata una adesione alla guerra. Anche lì è emersa una grande preoccupazione, ulteriore conferma questa che l’attuale gruppo dirigente degli Stati Uniti sta andando in guerra praticamente da solo. Contro tutto il resto del mondo. Ed è una cosa assolutamente fantastica che l’opinione pubblica americana sostenga, come sta sostenendo in maggioranza, un gruppo dirigente di questo genere. Questo dimostra fino a che punto il pubblico americano sia condizionato dalle campagne di terrore alle quali è stato sottoposto in tutti questi anni dal suo stesso gruppo dirigente. Naturalmente, chiunque a questo punto può capire che anche l’operazione Osama Bin Laden e la tragedia dell’11 di settembre risultano, alla luce di quanto sta accadendo, completamente funzionali a una politica bellicista degli Stati Uniti d’America.
Qualcuno parla della Corea del Nord come del prossimo obiettivo degli Stati Uniti.
La Corea del Nord non sarà il prossimo obiettivo, il prossimo obiettivo sarà l’Iran. La Corea del nord è semplicemente uno strumento in questo momento nelle mani degli Stati Uniti d’America per attizzare ulteriormente il terrore in tutto l’Occidente. In particolare nel Giappone e nella Corea del Sud, dove gli americani stanno perdendo gran parte del loro sex appeal del passato. Kim Jong è un dittatore che sta giocando il gioco degli Stati Uniti d’America. Il fatto che minacci con le sue armi nucleari è semplicemente un gioco delle parti che serve a Washington per dire che Washington stessa non è bellicista in tutte le direzioni, ma che punta soltanto dove c’è il pericolo vero. Un gioco delle parti alle quali quel dittatore squallido che è il dittatore nordcoreano sta prestando consapevolmente il proprio aiuto. Kim Jong lavora agli ordini e su indicazione degli Stati Uniti d’America per far fare bella figura al presidente Bush.

 

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