Chiedono pace e trovano violenza.
Questa è l’estrema sintesi dei fatti accaduti a Pisa durante una manifestazione pro Palestina organizzata dall’Istituto Russoli il 23/02/24, dove quindicenni disarmati sono stati pestati a sangue proprio da coloro che avrebbero dovuto tutelarli.
Da anni mi occupo di educazione nell’ambito della legalità in Veneto e ultimamente mi trovo in serie difficoltà a sostenere il valore della politica presso i giovani che ho l’onore di frequentare.
Come tutti i docenti sensibili sostengo una linea educativa ispirata ai valori della democrazia, del dialogo, del rispetto per la diversità e della libertà di espressione. Noi insegnanti ci impegniamo a toccare l’anima dei ragazzi, per dare loro sicurezza e proviamo grande soddisfazione quando finalmente escono dal loro bozzolo-social e si rendono parte attiva nella difesa dei diritti umani.
Mi chiedo, dunque, quale impatto abbia avuto sugli studenti di Pisa la percezione del tradimento mentre subivano manganellate con violenza inaudita. Ragazzi increduli, feriti fisicamente e simbolicamente da quella parte di Stato di cui credevano potersi affidare.
Dopo questo episodio di ingiustificabile brutalità, nelle coscienze di molti italiani è finalmente scattata l’indignazione, un’emozione così poco conosciuta nel nostro Paese.
Le scuole di Padova, per esempio, si sono schierate contro i manganelli. I professori degli Istituti Nievo e Cornaro, - si legge sul “Mattino di Padova” - si sono fatti promotori di un appello che in poche ore ha raccolto un migliaio di firme in solidarietà con gli studenti aggrediti a Pisa.
Indignazione giustificata, considerando che, quanto avvenuto a Pisa, non rappresenta affatto un episodio isolato. È accaduto anche a Firenze, Catania, Napoli, Bologna, Palermo, Verona e Trento.
Io stessa ho assistito ben due volte a due episodi di gravissima repressione in due manifestazioni pacifiche e autorizzate.
La prima è stata quella del 23 maggio scorso a Palermo, nella quale il Corteo "Non siete Stato voi, ma siete stati voi”, del “Coordinamento 23 maggio”, era stato brutalmente caricato dalla polizia in tenuta antisommossa in via Notarbartolo. Anche in quella occasione gli studenti erano stati manganellati solo per aver esercitato il diritto di onorare la memoria di Giovanni Falcone.
Alcuni di noi attivisti, partiti dal Veneto per omaggiare il Martire della mafia, sono finiti in ospedale per i pestaggi degli agenti. Siamo stati vittime di violenza gratuita, in quanto rei di esprimere il dissenso contro la passerella ipocrita di quei funzionari che, mentre a Palermo depongono la corona, a Roma si adoperano per distruggere l’impianto giuridico di Giovanni Falcone.
La seconda manifestazione, invece, ha avuto luogo davanti all’ingresso di Verona-Fiere dieci giorni fa, spacciato come un innocente evento dedicato alla caccia e pesca outdoor, in realtà mercato di produttori di armi israeliane.
Noi manifestanti avevamo tenuto le mani alzate e simbolicamente dipinte di rosso per esprimere il nostro dissenso contro la condizione di corresponsabilità del nostro Paese al massacro che sta avvenendo a Gaza.
Anche in quell’occasione abbiamo assistito a forze dell’ordine, in tenuta antisommossa, caricare alcuni attivisti che tentavano di forzare il blocco.
In Italia, nell’ultimo anno, questi episodi sono sempre più numerosi. E sono espressione inquietante di una parte di polizia fascista e violenta che esercitano repressione della libertà di pensiero come nelle dittature.
Sui fatti di Pisa ha finalmente preso posizione anche il presidente Sergio Mattarella: “L’autorevolezza delle Forze dell’Ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza e tutelando, al contempo la libertà di manifestare pubblicamente opinioni”, ha affermato.
Il presidente, inoltre, ha chiamato il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, per ottenere chiarimenti sulla situazione.
L’inchiesta in corso cercherà di fare luce sulle responsabilità di coloro che hanno agito in maniera violenta durante la manifestazione studentesca.
Rilevante, a mio avviso, la proposta della Senatrice Ilaria Cucchi che dal 2009 porta avanti una battaglia dopo la morte del fratello Stefano, morto dopo un pestaggio da parte delle forze dell’ordine: “È necessario introdurre nella nostra normativa il codice identificativo per il personale delle forze di polizia, quale tutela dei cittadini e della parte sana delle forze dell’ordine”.
La stessa Senatrice si era espressa in merito al reato di tortura istituito nel 2017: E’ gravissimo abolirlo, come proposto dai parlamentari FdI, è un'idea fascista: la matrice è quella, inutile negarlo".
La Premier Giorgia Meloni, invece, tace.
D’altronde cosa possiamo aspettarci da un governo impegnato a garantire l’impunità a coloro che commettono reati anziché tutelare i cittadini, promuovendo riforme che fanno diventare la giustizia un bastone che colpisce tutti, meno la classe dirigente, colletti bianchi e criminali?
Cosa possiamo aspettarci da un governo che mette il “bavaglio” all’informazione, privando i cittadini del diritto ad essere informati su corruzione e mafia.
Che abolisce il reato dell’abuso d’ufficio, in modo tale che corrompere non sia più reato, con gravissime conseguenze su appalti e concorsi pubblici.
Che cancella la procedibilità d’ufficio per diversi reati: le violenze in ambito familiare, le truffe a danno degli anziani, le violazioni di domicilio, i sequestri, i furti, le minacce, le lesioni stradali, le frodi informatiche.
Che fa a pezzi la giustizia italiana mettendo un pesante limite alle intercettazioni.
Che strizza l’occhio a boss stragisti, i quali potranno cavarsela e uscire di prigione senza aver nemmeno collaborato con la giustizia.
In questo clima nel quale il dissenso viene sistematicamente gestito con i manganelli, noi cittadini vogliamo gridare a gran voce che non ci sentiamo rappresentati né da un governo fascista e violento, né da forze dell’ordine che abusano del proprio potere. Sosterremo i nostri giovani, saremo al vostro fianco nelle prossime manifestazioni, soprattutto ora che finalmente hanno avuto un sussulto d’iniziativa sociale, perché la libertà di espressione è un diritto inalienabile sancito dall’ Art. 21 della Costituzione Italiana.
*membro dell’Associazione Falcone e Borsellino
Foto © Imagoeconomica
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