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Impressionante incremento degli omicidi politici, in Messico, a tre giorni dall'inizio della campagna in vista delle elezioni del 2 giugno. Nei primi due mesi dell'anno se ne sono registrati 14, con una media di un candidato, un politico o un attivista morto ogni quattro giorni, secondo i calcoli del quotidiano Reforma. Emblematico il caso di Miguel Angel Reyes e Armando Pérez, due candidati rivali a sindaco della città di Maravatío, nello Stato di Michoacán, che sono rimasti uccisi nello stesso giorno. Sempre lunedì, invece, è stato segnalato il tentato rapimento di Omar Flores, ex sindaco ed ex deputato dello Stato meridionale di Guerrero, ora candidato a sindaco di Taxco, una città turistica conosciuta come "la capitale messicana dell'argento". All'elenco dei candidati assassinati, si aggiungono gli omicidi di una ventina di persone legate all'organizzazione del processo elettorale, tra cui sondaggisti, funzionari e parenti di candidati alle cariche elettive, secondo il Laboratorio elettorale, un'organizzazione di esperti in materia. Le autorità elettorali hanno messo in guardia dal rischio che questo processo elettorale possa diventare il più pericoloso e violento della storia recente del Messico. Gli omicidi politici si inseriscono nella spirale sanguinosa che ha scosso il Paese dalla fine del 2006, provocando più di 450mila morti e oltre 100mila dispersi, da quando l'allora presidente conservatore Felipe Calderón lanciò la sua "guerra al crimine" con l'appoggio delle forze armate. I suoi successori, Enrique Peña e Andrés Manuel López Obrador, hanno promesso di contrastare il fenomeno ma, secondo molti analisti, invece di porvi fine l'hanno "amministrato". L'attuale governo ha ridotto gli omicidi intenzionali del 17%, ma il numero continua sopra i 30mila ogni anno.

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