Le sue politiche neoliberali avevano portato un milione di cileni a scendere in strada. L’ex presidente rispose con il pugno duro, rievocando il fantasma della dittatura
E’ morto Sebastian Piñera. L’ex presidente cileno è annegato nelle acque profonde del lago Ranco, nella regione de Los Rios, nel sud del Cile, dopo essersi schiantato con l’elicottero che stava pilotando. Con lui erano a bordo altre tre persone, tra cui la sorella Magdalena, che sono però riuscite a salvarsi raggiungendo a nuoto la riva. Sull’incidente sta indagando la magistratura. La notizia, diffusa in Cile nelle prime ore di ieri pomeriggio, se da un lato ha scosso indistintamente, da destra a sinistra, l’intera leadership politica cilena, con il presidente Gabriel Boric che ha indetto tre giorni di lutto nazionale e il funerale di Stato, dall’altra è stata accolta con clamore da una larga fetta di popolazione, soprattutto la più giovane. L’immagine che si ha della tragedia in queste ore è infatti quella di una spaccatura netta tra la classe dirigente cilena, inclusa l’attuale definita “progressista”, e il popolo cileno, o buona parte di esso. In milioni di cileni, infatti, è ancora fresca la memoria degli omicidi di Stato, delle repressioni ad opera dei Carabineros, delle detenzioni e torture avvenute a cavallo tra la fine del 2019 e l’inizio a del 2020, durante l’ultimo periodo dell’amministrazione del defunto presidente. Per questo motivo centinaia di persone si sono radunate ieri in Plaza Italia per festeggiare la morte di Piñera al grido di “Adios Sebastian! Asesino, genocida”. E chi non è sceso in strada per unirsi ai cori di festa, ha comunque “salutato” l’ex presidente sui social.
L’incarnazione del neoliberismo e dell’autoritarismo sulla scia di Pinochet
Personalità di spicco della politica regionale e punto di riferimento per tutta l'area conservatrice latinoamericana, Piñera ha guidato il Cile per due mandati, dal 2010 al 2014 e dal 2018 al 2022, essendo anche il primo presidente di destra dal ritorno della democrazia nel 1990 dopo la caduta del regime di Augusto Pinochet (1973-1990).
Ha rappresentato alla lettera l’incarnazione delle strategie economiche imposte dai “Chicago boys”, come era soprannominato il gruppo di economisti cileni formati negli Stati Uniti durante la dittatura, che previdero per il Paese una serie di privatizzazioni e di riduzioni dei servizi sociali e di welfare. Nei suoi due mandati ha incarnato la simbiosi tra il potere autoritario e il neoliberismo. Proprio come durante gli anni bui del regime.
La politica economica cilena dal 1990 è stata riproposta in forme diverse e sempre sulla rigida retta della Costituzione scritta della giunta militare. Durante il suo governo Piñera ha contribuito a trasformare il Cile in uno dei paesi più disuguali del mondo. Una realtà nascosta da risultati positivi come l’uscita dalla povertà di milioni di cileni, entrati a far parte della classe media. Mentre il Cile veniva spacciato come il primo paese sudamericano ammesso nell’Ocse, il club dei paesi ricchi, al suo interno la pressoché totale assenza di welfare, i disastri nella politica fiscale e la ridistribuzione iniqua dei redditi - basti pensare che molti cileni si vedevano costretti a rateizzare la spesa al supermercato - hanno gonfiato il malcontento popolare.
Per non parlare dei costi esagerati dei farmaci e delle assicurazioni sanitarie, l’aumento delle bollette della luce e un sistema educativo dai costi proibitivi che costringeva migliaia di famiglie a indebitarsi.
Il fantasma della dittatura
La bolla scoppiò per una misura economica apparentemente banale, ma sufficiente a scatenare la frustrazione delle fasce meno abbienti: l’aumento del 4% dei biglietti della metropolitana. In migliaia iniziarono a scendere in strada al grido “renuncia Piñera” (Piñera dimettiti) per protestare contro il caroprezzi e il governo.
Piñera rispose con il rimpasto di alcuni ministri. Nel frattempo, però, aveva ordinato il pugno di ferro, schierando i Carabineros e l’esercito che iniziarono a reprimere le piazze. Una scelta che portò sempre più cileni a scioperare e a interrompere la loro quotidianità per sfilare in strada, invece di sedare il malcontento popolare.
Nella capitale, Santiago del Cile, come in altre parti del Paese, si sono verificati scontri, incendi. E poi arresti arbitrari, abusi delle forze dell’ordine. La situazione diventò incontrollabile al punto da costringere Piñera a ordinare lo Stato d’emergenza e il coprifuoco. Il Cile era così ripiombato nell’incubo della dittatura pinochetista in cui scomparvero nel nulla 3000 cileni. Il terrorismo di Stato era tornato a strisciare per le strade della Capitale, vennero documentati omicidi di manifestanti e numerosissimi episodi di tortura in centri di detenzione clandestini, messi su ad hoc nelle stazioni della metro. Così come anche abusi nei confronti di minorenni e violenze sessuali contro donne (si registrarono 258 casi).
Contro Piñera e il suo entourage si schierò anche Baltasar Garzón, il giudice spagnolo che ha ordinò l'arresto di Augusto Pinochet a Londra il 16 ottobre 1998. Garzón, insieme alla Commissione Cilena per i Diritti umani (CHDH), l'Associazione Americana dei Giuristi (AAJ), ed il Centro di Ricerca ed Elaborazione per la Democrazia (CRED), chiese al procuratore generale della Corte Penale Internazionale (CPI), l'avvocato Fatou Bensouda, di aprire un processo contro l’ex presidente ed i suoi collaboratori civili, militari e della polizia, per “crimini di lesa umanità”.
In questo senso, la stessa Ohchr mandò alcuni osservatori per vigilare sulle condotte delle forze dell’ordine e dell’esercito e “condannò l'uso eccessivo della forza”.
Ad ogni modo, i “cacerolazos”, le iconiche proteste rumorose realizzate con la percussione di casseruole, sono andate avanti fino al marzo 2020 quando il Coronavirus costrinse anche il Cile alla quarantena. In questo lasso di tempo vennero ammazzati dalle forze di sicurezza 34 manifestanti. Migliaia i feriti (circa 4000) e gli arrestati. 460 persone con lesioni oculari, la maggior parte delle quali provocate da proiettili di gomma esplosi ad altezza uomo. Nonostante ciò, Piñera era riuscito a restare al potere, rigettando ogni richiesta di dimissioni, fino a fine mandato e alle elezioni vinte poi dal socialdemocratico Gabriel Boric nel dicembre 2021, chiamato, tra le altre cose, a indire il referendum per chiudere con la Costituzione di Pinochet. Un processo politico e popolare complesso che ha avuto battute d’arresto e che, al momento, ha lasciato con l’amaro in bocca quel milione di cileni scesi in piazza a Santiago del Cile durante il periodo delle insurrezioni.
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