Il prefetto Sergio Cavia è stato condannato a cinque anni di carcere per l'omicidio di Rafael Nahuel, omicidio aggravato dall’uso di un’arma da fuoco per “eccesso di legittima difesa”. Il giovane mapuche il 25 novembre 2017 si trovava nella comunità Lafken Winkul Mapu di Villa Mascardi, quando fu colpito alla schiena durante la repressione messa in atto dal Gruppo Albatros - della Prefettura navale argentina - contro la comunità.
Condannati anche Francisco Javier Pintos, Juan Ramón Obregón e Carlos Valentin Sosa, agenti dello stesso gruppo accusati di aver partecipato al crimine. Le condanne, in tutti e quattro i casi, sono state di quattro anni e sei mesi di carcere.
La famiglia ritiene che le sentenze abbiano lasciato l’amaro in bocca e ricorrerà in appello contro la decisione della Corte Orale Federale di General Roca, che si è pronunciato all'unanimità.
Le tre parti dell'accusa avevano chiesto l'ergastolo per i cinque agenti, ritenendo che si trattasse di “omicidio aggravato commesso oltre la legittima difesa”. Ezequiel Palavecino e Rubén Marigo, avvocati difensori della famiglia di Nahuel, avevano aggiunto anche l'aggravante dell'"odio razziale", una "violenza istituzionale paragonabile al terrorismo di Stato".
Da parte sua, Mariano Przybylski, l'avvocato che rappresenta la Segreteria per i Diritti Umani, ha espresso il suo disaccordo a Página/12. Tuttavia, "apprezziamo che ci sia stata una condanna, la Corte ha ritenuto che i cinque abbiano commesso un crimine", ha detto.
“La sentenza non è ciò che avevamo chiesto nel nostro appello, quello che crediamo sia stato dimostrato durante il dibattito orale: qui c'è stato un omicidio, un inseguimento in cui sono stati sparati 150 colpi, secondo la Corte però non c'è stato alcun tipo di eccesso, per questo non siamo d'accordo”, ha affermato.
Più incisivo è stato il Segretario per i Diritti Umani, Horacio Pietragalla Corti, il quale ha dichiarato: “Abbiamo sempre saputo che si trattava di un omicidio e di una caccia all’uomo”. E, sulla stessa linea dei denuncianti, ha detto di aspettarsi “pene più severe”.
Graciela Salvo, madre di Nahuel: “La giustizia si sta prendendo gioco del nostro dolore”
Al termine del processo, la madre di Rafael Nahuel, Graciela Salvo, è stata sentita sulla sentenza inflitta ai criminali che hanno ucciso suo figlio. “Il sistema giudiziario si sta prendendo gioco del nostro dolore, della famiglia”, ha detto la donna, e ha aggiunto: “Non sentono il nostro dolore, i prefetti rimarranno liberi come se nulla fosse successo, non sono nemmeno venuti a dare la faccia dopo essere entrati nella comunità e aver sparato a mio figlio, Rafael Nahuel, alla schiena”.
Fuori dal tribunale, organizzazioni sociali per i diritti umani e parenti di altre vittime dello Stato, si sono riunite per accompagnare la famiglia, tra cui la madre di Darío Santillán, che ha detto: “Voglio accompagnare la famiglia di Rafael Nahuel perché oggi, senza dubbio, mio figlio Darío sarebbe qui. Non c'è niente di meglio che camminare sullo stesso marciapiede dei nostri figli e dei loro compagni uccisi dai proiettili dello Stato”.