Incontrando una delegazione di palestinesi Bergoglio ha condiviso con loro il dolore per la tragedia in corso in Palestina
A Gaza si sta consumando un “genocidio”. Stando alle dichiarazioni di alcuni familiari dei palestinesi che vivono a Gaza che hanno incontrato il Pontefice mercoledì mattina, questo sarebbe stato il discorso che avrebbe detto loro il Santo Padre. "Abbiamo invitato il Papa a visitare Gaza, lui può fermare la guerra e portare la pace alla gente di Palestina. Il cessate il fuoco non è sufficiente: quello che viviamo oggi è una pausa militare che mantiene lo status quo delle ostilità". "Il Papa ha riconosciuto che viviamo un genocidio", ha detto Shrine Halil, cristiana di Betlemme, presente all'incontro con il Pontefice, e ci ha detto che "il terrorismo non si combatte con il terrorismo", ha riferito la delegazione secondo la quale il Papa avrebbe definito "una buona idea" una sua visita a Gaza "quando la situazione lo permetterà".
L'incontro del Papa con i parenti degli ostaggi rapiti da Hamas, da tempo richiesto e sempre rinviato, "è stato finalmente possibile perché è stato seguito da un incontro con parenti di palestinesi prigionieri in Israele, così come riportato dal Papa, mettendo sullo stesso piano innocenti strappati alle famiglie con persone detenute spesso per atti gravissimi di terrorismo. E subito dopo il Papa ha pubblicamente accusato entrambe le parti di terrorismo". Lo dichiara in una nota il Consiglio dell'Assemblea dei Rabbini d'Italia. Secondo i Rabbini "queste prese di posizione al massimo livello seguono dichiarazioni problematiche di illustri esponenti della Chiesa in cui o non c'è traccia di una condanna dell'aggressione di Hamas oppure, in nome di una supposta imparzialità, si mettono sullo stesso piano aggressore e aggredito. Ci domandiamo - conclude la nota - a cosa siano serviti decenni di dialogo ebraico cristiano parlando di amicizia e fratellanza se poi, nella realtà, quando c'è chi prova a sterminare gli ebrei invece di ricevere espressioni di vicinanza e comprensione la risposta è quella delle acrobazie diplomatiche, degli equilibrismi e della gelida equidistanza, che sicuramente è distanza ma non è equa".
Non si è fatta attendere la replica da parte del portavoce del Vaticano, Matteo Bruni, al quale “non risulta che il Papa abbia usato tale parola”. “Ha utilizzato i termini con cui si è espresso durante l'udienza generale e parole che comunque rappresentano la situazione terribile che si vive a Gaza”, ha aggiunto. La notizia è arrivata nella conferenza stampa. "Siamo in dieci e lo abbiamo sentito tutti", hanno replicato i palestinesi che hanno incontrato Francesco.
Un vero terremoto dentro al Cupolone, dopo la polemica sorta per il mancato incontro di Bergoglio con i rabbini la scorsa settimana, che ha provato ad arginare anche il cardinale Matteo Zuppi. “Il Papa è attento e guardate che questo non è mettere tutti sullo stesso piano, il 7 ottobre è stata una tragedia, punto e basta - ha detto -. È stata una tragedia. E quindi l'attenzione, la condanna. Poi c'è quello che sta succedendo a Gaza, perché il Papa chiede il cessate il fuoco? Perché c'è una sofferenza terribile, e guardando lontano mi sembra che spinga per un'altra soluzione perché si combatta davvero il terrorismo, togliendo tutto ciò che per certi versi paradossalmente lo può giustificare. 7 ottobre punto. Questa è la posizione del Papa e non è che non capisce le motivazioni del governo israeliano".
"Tra i cattolici - premette con un filo di ironia Zuppi, videocollegato con la kermesse di Coldiretti in corso a Roma - dovrebbe essere che il Papa non si discute, qualcuno che pensa di essere più cattolico del Papa ama divertirsi a far questo, a mio parere non è un bello sport, è sempre diabolico diciamo così, perché la divisione è sempre diabolica". Alla domanda se auspichi il prolungamento del cessate il fuoco a Gaza, il presidente della Cei risponde: "Ma certamente perché qui torniamo a come si combatte il terrorismo. Ecco, credo che se ho letto bene le cose che le autorità americane avevano indicato al governo israeliano, 'attenzione non fate gli stessi errori che abbiamo fatto noi dopo l'11 Settembre', credo che dobbiamo saper trarre grandi lezioni, altrimenti il terrorismo prevarrà sempre. E lo abbiamo fatto relativamente". "Poi - ha aggiunto - è chiaro che i problemi non è facile risolverli però direi appunto, come dopo la pandemia, no? Quando abbiamo capito che dovevamo mettere a posto delle cose altrimenti siamo vulnerabili, ecco dobbiamo accettare le conseguenze di queste terribili lezioni perché in fondo è quello che ci chiedono le lezioni stesse, e cioè che non avvenga più così".
Il dramma dei palestinesi
La delegazione era composta da persone originarie dell'exclave palestinese o della Cisgiordania che abitano all'estero, ma i cui parenti vivono tuttora nei Territori palestinesi e alcuni di loro hanno perso la vita durante l’assedio in corso di Israele a danno della popolazione civile. I familiari dei palestinesi di Gaza hanno raccontato le loro storie durante una conferenza stampa che si è tenuta presso l'Istituto Maria Santissima Bambina. "Siamo venuti per condividere il nostro dolore e incontrare il Papa. Voglio sottolineare che le persone che sono qui stanno vivendo un incubo, ma meritano una vita normale. Le persone che sono qui hanno vissuto sotto le bombe o sono studenti che non sono potuti rientrare a Gaza a causa dell'attuale situazione. Abbiamo storie diverse ma siamo qui per lo stesso motivo", ha spiegato Shrine Halil. "Vi chiederò di non essere insensibili al genocidio nella Striscia di Gaza, perché temo che ci stiamo abituando alle violenze di uno degli eserciti più potenti del mondo", ha detto Yousef al Khouri, olandese originario dell'enclave palestinese, rivolgendosi ai giornalisti presenti. "Siamo qui per amplificare le voci delle nostre famiglie che stanno vivendo l'inferno in terra da 47 giorni. Abbiamo parenti là, amici, persone con cui siamo cresciuti che sono state uccise o che sono morte a causa della mancanza di cure mediche", ha proseguito Al Khouri. Nella delegazione era presente anche una donna che è riuscita a lasciare Gaza, Soheer Anstas, che ha raccontato di essere potuta scappare perché possiede anche il passaporto canadese. "Da una parte mi sento in colpa perché io sono fuggita, ma molte persone sono ancora là. Chi le aiuterà?”, ha chiesto Anstas. In merito all'incontro con il Pontefice Al Khouri si è detto "onorato" della sua visita e della sua "empatia". "Sua santità conosce molto bene la situazione a Gaza e questo testimonia quanto sia forte il suo impegno", ha sottolineato Al Khouri.
Anche Mohammed Hallalu, originario del campo profughi di Al Shati nella Striscia di Gaza, ha parlato affermando che durante l'incontro, durato una ventina di minuti, la delegazione ha "chiesto al Papa di venire a Gaza per porre fine al genocidio e portare pace nella regione". Secondo Hallalu, il Pontefice ha "un grande potere e abbiamo chiesto che lo usi per una pace duratura e giusta". Alla richiesta della delegazione, "il Papa ha risposto che avrebbe discusso con i diplomatici per una prossima visita a Gaza quando la situazione lo permetterà”, afferma Hallalu. Al Khouri, da parte sua, ha sottolineato che "Papa Francesco è un uomo di pace che ha chiesto ripetutamente il cessate il fuoco. Ma il cessate il fuoco non è sufficiente". Riferendosi alla tregua concordata oggi tra Israele e Hamas, ha poi affermato che “è solo una pausa. Non è sufficiente perché mantiene in atto lo status quo e la potenzialità di un altro genocidio. Questa è l'esperienza che i palestinesi vivono da 75 anni".
Secondo Ilal, quella in corso "non è una guerra perché non c’è equilibrio di forze, è una guerra contro i civili e un genocidio". Ilal ha ricordato la gravità della situazione nella Striscia di Gaza, dove "non c’è elettricità, medicine o acqua", prima di parlare della propria esperienza. "Io ho perso due dei miei zii, che sono morti per mancanza di aiuto medico, mentre mia zia ha perso una gamba dopo 18 ore di sofferenza e un'operazione senza anestesia", ha concluso Ilal. Khadija Darabieh, originaria di Gaza e ora residente in Belgio, ha raccontato che un suo amico è stato ucciso mentre lavorava come medico e che la famiglia di suo marito "non ha potuto accedere all'ospedale perché il sistema sanitario è collassato completamente, così come il sistema delle comunicazioni". Da parte sua, Farah Erakat ha ricordato che anche la Cisgiordania, di cui lei è originaria, sta soffrendo. Suo fratello Ahmad, di 26 anni, è stato ucciso anni fa nei pressi di un check point israeliano senza nessuna ragione: "Stiamo ancora aspettando che ci restituiscano il suo corpo (...) In Cisgiordania non c’è Hamas, ma uccidono i palestinesi ogni giorno, senza un motivo. Solo perché siamo palestinesi". Hallalu ha raccontato dell'attacco israeliano al campo profughi di Al Shati, dove la sua famiglia viveva. "Per un giorno non sono riuscito a contattare la mia famiglia, il giorno dopo i vicini sono riusciti a mandarmi una foto della casa in cui sono nato completamente distrutta dai bombardamenti". In quella casa c'erano oltre 30 persone che hanno perso la vita. "Queste non sono statistiche: sono persone con speranze, progetti, che sono state eliminate in un istante", ha concluso Hallalu. "Ogni vita persa a Gaza è preziosa per noi e dovrebbe essere preziosa per tutti", ha detto Al Khouri, aggiungendo: "I gazawi sono stati deumanizzati e invisibilizzati anche dai media, ma meritano di vivere una vita libera come tutti. I palestinesi meritano una pace giusta". Secondo Ilal, infine, "quello che sta succedendo non lascia molta speranza. L'annuncio della tregua di qualche giorno per qualcuno è una buona notizia, ma per noi è solo una sospensione delle uccisioni. Noi vogliamo il cessate il fuoco, ma cosa succederà dopo? Cosa faremo con tutti questi morti?".
Foto © Imagoeconomica
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