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Sei anni di impunità imposta da un sistema autoritario e razzista

Primo agosto 2017. Un giovane artista anarchico e tatuatore di nome Santiago Maldonado viene inseguito dai membri della Gendarmeria Nazionale, sulle rive del fiume Chubut. Corre disperatamente a fianco dei Mapuche del Pu Lof della Resistencia di Cushamen. Scappano dagli uomini in uniforme che hanno fatto irruzione illegalmente nel territorio della comunità. Alle loro spalle sentono degli spari e la paura si diffonde. Non c'è altra scelta che entrare nelle fredde acque del fiume e cercare di raggiungere l'altra sponda per mettersi in salvo. La confusione regna sovrana e non c'è tempo da perdere. Alcuni raggiungono l'obiettivo, ma Santiago, che non sa nuotare, è più cauto in questa fuga frenetica.
I Mapuche arrivati sulla riva si rendono conto che l'artista non è più a portata di vista. Riescono a scorgerlo tra i rami di un salice, nell'acqua. Sentono alcune parole, ma non lo vedono muoversi. Quasi immediatamente si rendono conto che i gendarmi iniziano a lasciare la zona. I Mapuche, che si erano posizionati a grande distanza dalle forze di "sicurezza", sono sconcertati, sconvolti dall'assenza di Santiago. Appena la situazione lo permette, loro stessi iniziano a dare l'allarme a tutta la comunità del Lof e ai media. Questo è l’inizio di un fatto che ha avuto un forte impatto sulla regione e sul mondo intero. La Gendarmeria Nazionale, nell'Argentina di Mauricio Macri, è appena stata coinvolta in un reato di sparizione forzata seguita dalla morte.
Un reato che non è stato ancora giudicato dalla Giustizia di quel paese, perché da quel momento fino ad oggi, sembra che il beneficio dell'impunità sia stato concesso spudoratamente. E dopo sei anni da quei momenti dolorosi e indescrivibili sulle rive del fiume nella provincia di Chubut, a non molti chilometri dalla città di Esquel, gli echi di quell'oltraggio letale risuonano ancora clamorosamente come una delle espressioni più detestabili e ripudiabili del potere del momento, del quale il ministro della sicurezza Patricia Bullrich insieme all'allora Capo di Stato Maggiore Pablo Noceti, sono stati indiscutibilmente tra i principali dirigenti. E sicuramente entrambi rappresentano una sorta di emblema ideologico di un crimine irrisolto, con il timbro Macri.
L'avvocato argentino Verónica Heredia, che ha difeso la famiglia Maldonado da quel terribile giorno, in una conversazione recente con i giornali locali ha fornito le opportune spiegazioni che ci permettono di aggiornarci su una causa che ha viaggiato in tutto il mondo, suscitando ogni tipo di ripudio e rivendicazioni, tutte volte a neutralizzare l'impunità nell’ambiente che continua ad essere la star di un sistema giudiziario che continua a restare indifferente ai fatti.
Va sottolineato, prima di riportarvi le parole di Heredia, che prima di tutto siamo di fronte ad una chiara sparizione forzata, avvenuta all’interno di un'operazione non autorizzata dalla giustizia, la quale aveva autorizzato solo lo sgombero della strada tagliata dalla mobilitazione di protesta (e non l’entrata nel territorio della comunità); e in secondo luogo, che siamo di fronte a un presunto insabbiamento della cattura di Santiago, con la sua morte in privazione di libertà e abuso di autorità, al di fuori della legge. Con l'aggravante che, a seguito di quanto accaduto, è molto forte l'ipotesi che il suo corpo senza vita sia stato lasciato nelle acque del fiume Chubut, in modo che la sua scoperta avrebbe eliminato ogni sospetto sulla Gendarmeria Nazionale. Una scoperta che doveva essere necessariamente mediatica, perché in quel momento l'opinione pubblica si poneva solo una domanda: dov'è Santiago Maldonado? E la risposta, dietro la verità, sarebbe stata la più cinica esposizione del suo cadavere, nel tentativo di sollevare la Gendarmeria Nazionale da ogni responsabilità a seguito della sua apparizione ben 78 giorni dopo la fuga nelle acque del fiume, quel 1° agosto di sei anni fa.
Dove è rimasto il suo corpo in quell'arco di tempo di oltre due mesi, dopo le numerose operazioni di ricerca senza esito? È sempre stato sott'acqua fino a quando non è stato localizzato? Santiago ha perso la vita nello stesso momento in cui è stato catturato lì sul fiume Chubut o in un secondo momento? In quali circostanze specifiche ha perso la vita? Gli esperti forensi riferiscono che è morto per asfissia per immersione, ma non c'è una risposta precisa sul modo in cui sia accaduto. E se la sua morte fosse avvenuta dopo essere stato catturato? Forse a causa dell'azione degli uomini in uniforme, quando era attaccato ai rami lottando per non annegare? Cosa accadde realmente in quel punto del fiume Chubut, in quell'azione repressiva non autorizzata? Santiago Maldonado è stato salvato dalle acque dai gendarmi e poi, invece di consegnarlo ai suoi superiori a Esquel, è stato privato della libertà (clandestinamente), ma dove e fino a quando?


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Queste domande – e molte altre – rimangono fino ad oggi senza risposte precise, perché la giustizia non ha avuto, né sembra avere la volontà o la competenza per darle. Il caso Maldonado ha avuto un percorso nebuloso e, come se non bastasse, un alone di vergogna per la giustizia argentina in questi tempi di democrazia, perché non ci si è neppure potuti avvicinare alla verità che rimane tutt’ora sconosciuta, il che significa che la giustizia non è ancora giunta ad alcuna conclusione.
"La causa avrebbe decine di imputati, molte prove, ma nessun giudice che se ne occupi" sono state le parole dell'avvocato Heredia a un giornalista di Página/12, sottolineando con tono energico che questa è la situazione. A questo proposito, vale la pena ricordare che il procuratore Federico Baquioni ha chiesto l'incriminazione del gendarme Emmanuel Echazú, del suo capo il comandante Pablo Escola, dell'ex capo di gabinetto del Ministero della Sicurezza Pablo Noceti e di altri ex funzionari governativi, e ha anche chiesto che la causa contro Noceti per presunti crimini commessi durante il tentativo di sgombero della comunità mapuche, venga aggiunta al fascicolo principale.
Tutte queste prove, comprese quelle nuove come la testimonianza del medico civile che lavorava nella Squadra 36 della Gendarmeria, non hanno avuto l'esito sperato semplicemente perché il giudice Gustavo Lleral si è dichiarato incompetente, affermando che non avrebbe fatto nulla di più, scusandosi per la parzialità che è stata ratificata nei tribunali superiori. Una situazione che ha fatto sì che la causa della famiglia di Santiago si trovasse in un chiaro contesto di un ciclo infinito di impunità, ovvero che non c’è un giudice che possa emettere una sentenza. È così banale e scoraggiante, un atto criminale di sparizione forzata di orribile portata, che fa parte di una lista di quasi 200 casi simili, in piena democrazia, come scrive la giornalista Adriana Meyer in un eccellente articolo -Sparire in democrazia, di Editorial Marea - pubblicato l’anno scorso in Argentina.
Tornando alle dichiarazioni della professionista Heredia, dobbiamo notare che ha affermato con enfasi: "Non è stato fatto nulla!" riguardo l’ordine della Corte di Cassazione di effettuare una perizia dei video del fascicolo per identificare le espressioni verbali, il numero di colpi sparati, i momenti in cui i gendarmi sono armati con armi o altri elementi, quando vengono lanciate pietre e sparati colpi, con la possibilità ancora in sospeso di avere una ricostruzione virtuale della scena dei fatti, in 3D e con la realtà aumentata.
Chi scrive era presente sulla scena dei fatti sei anni fa, insieme al redattore José Guzman, quando abbiamo incontrato Nora Cortiñas e i rappresentanti delle organizzazioni per i diritti umani al Pu Lof en Resistencia de Cushamen, dove Santiago ha combattuto per la sua vita.
Guardando indietro, essendo stato lì, la mia sensibilità si trasforma in un'espressione di rabbia e di denuncia dell'impunità che regna attorno al caso. Un'impunità che è sotto gli occhi di tutti e che continua a essere una spina nella carne della nostra società. Continua a essere una lacerante dimostrazione di ciò che il sistema di potere può fare quando si tratta di confondere le acque intorno alle indagini su un tipico episodio di terrorismo di Stato. Perché si è trattato di terrorismo di Stato in tutte le sue espressioni. Con tutte le lettere. Terrorismo di Stato con metodologia mafiosa, un ingrediente tipico di questi tempi, dove il sistema criminale ha varie facce e varie forme di convivenza nelle società moderne, perché fondamentalmente sa di poter rimanere impunito. Ed è questo il punto in cui ci troviamo oggi.
E se noi dalla nostra redazione la vediamo in questi termini, il lettore potrà capire cosa prova oggi la famiglia di Santiago Maldonado, i cui resti si trovano nella necropoli della città di 25 de Mayo. La stampa del Paese fratello riporta le parole di Stella Pelollo, sua madre: "Santiago, oggi avresti 34 anni e saresti già un uomo, per me un bambino. Ricordo il tuo ultimo compleanno, il numero 28. Aspettavo che venissi il 4 agosto come avevamo stabilito, ma non sei mai venuto. Non dimenticherò mai quello che ho provato quel giorno. Oggi ti porterò un mazzo di fiori come regalo pensando che ti piacerebbe una torta gallese. Ti mando un grande bacio al cielo".
E mentre la madre di Santiago Maldonado dialoga con il figlio, l'avvocato Heredia affronta il sistema a testa alta: "Il caso non andrà mai avanti perché chi deve decidere è Lleral, il pubblico ministero ha chiesto di integrare il fascicolo in cui è imputato Noceti e questo giudice non decide; se avessimo un giudice oggi il caso avrebbe almeno sette imputati: Echazu, Escola, Vaquila Ocampo, Ferreyra, Noceti e i direttori della Gendarmeria Gerardo Otero ed Ernesto Robino".
Guardando al passato, vale la pena aggiungere alcuni dettagli sul caso. Ad esempio, il procuratore Baquioni aveva chiesto il rinvio a giudizio di Escola per il reato di danni e abuso di potere, e di Vaquilla Ocampo e Ferreira per danni e omissione di atti d'ufficio, aderendo alla richiesta della famiglia di Santiago “di riaprire le indagini sulle presunte irregolarità degli agenti della Gendarmeria”. Di conseguenza, sia la Camera di Comodoro Rivadavia che la Camera di Cassazione si erano pronunciate per la riapertura del caso, ma il caso è stato archiviato dal giudice Gustavo Lleral.
Ma c'è di più. Nel settembre 2019, la Corte d'Appello ha ribaltato l'archiviazione di Echazú, affermando che la chiusura dell'indagine appariva "prematura vista l'esistenza di procedimenti che avrebbero permesso di stabilire con maggiore precisione il reale svolgersi dei fatti" e che l'indagine "non era esaurita" e che era opportuno "approfondirla per ricostruire con la massima accuratezza e tempestività le circostanze in cui è accaduto il fatto", trattandosi di "una morte traumatica dubbia avvenuta all’interno di intervento statale".
E infine, non posso tralasciare quanto dichiarato (in testimonianza) al quotidiano Página/12 da una donna - una professionista civile - chiamata "testimone D" (in quanto ha chiesto estrema riservatezza), riferendosi ai giorni successivi all'operazione nel Pu Lof in Resistencia de Cushamen: "Abbiamo arrestato un hippy, lo abbiamo portato alla postazione di Benetton per ottenere informazioni", ha affermato di aver sentito dire ai gendarmi.
Dopo un altro anniversario di dolore, per una morte impunita che suscita l'indignazione dei più profondi recessi dell'animo umano di questa redazione e della stampa italiana, diciamo a gran voce che dobbiamo partecipare, ovunque ci troviamo e ovunque ci realizziamo come esseri umani, ad un'azione energica e impegnata affinché sia fatta giustizia.
Se prima lo slogan era "Dov'è Santiago Maldonado?”, oggi sarebbe, meritatamente, "Dov'è la giustizia argentina per Santiago Maldonado?”.
Dobbiamo gridarlo, diffonderlo, mantenerlo e renderlo presente in ogni angolo del mondo. Totalmente.

Foto di copertina © Defensoría del Pueblo de la Ciudad de Buenos Aires

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