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Sentenza: 12 anni e sei mesi di prigione per ciascuno

A San José de Mayo i repressori hanno ascoltato la sentenza dal loro domicilio; ora dovrebbero essere condotti in prigione 

I pianti di angoscia trattenuti per circa 50 anni hanno riempito la sala quando le otto vittime presenti alla lettura della sentenza hanno ascoltato il giudice condannare a 12 anni e sei mesi di prigione i loro aguzzini. Quelli uomini e donne che a quel tempo avevano tra 18 e 25 anni, hanno  sofferto quasi tutta la loro vita di disturbi fisici e traumi psichici, come conseguenza dei trattamenti inumani e degradanti ai quali furono sottoposti dai militari che rappresentavano il potere dello Stato. 

Gli ex capitani Francisco Macalusso e Rubens Francia sono stati i responsabili, in momenti diversi dei detenuti nel Battaglione di Fanteria n°6 di San José, dove hanno svolto funzioni rispettivamente come ufficiali di S3 e S2.

Tra il 1975 ed il 1978, 21 giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni, iscritti o simpatizzanti dell'Unione della Gioventù Comunista, sono stati illegalmente detenuti e trasferiti in quel luogo, dove sono stati torturati con sit-in*, sottomarini*, percosse, pungoli elettrici*; tra gli altri tipi di abuso, minacce e molestie.

Per queste ragioni, l’8 luglio 2021 un gruppo di persone denunciò alla Giustizia entrambi i repressori, il caso poi è stato affidato alla Procura Specializzata in Crimini di Lesa Umanità il cui titolare è l'avvocato Ricardo Perciballe. 

Erano le 12 di mezzogiorno del 1° giugno del 2023 quando sette denuncianti, ed una testimone, furono chiamati a presenziare alla sentenza - di carattere pubblico – emessa dal giudice María Elbia Merlo, nel tribunale penale di San José, città meridionale dell'Uruguay, ad ovest della capitale. Lì, gli avvocati difensori dei denuncianti, insieme alla difesa degli accusati, Rubens Francia e Francisco Macalusso - che ascoltavano dai propri domicili via Zoom - e il team dei pm guidato da Ricardo Perciballe, si trovavano in una piccola sala che aspettavano ansiosi la lettura della sentenza per la quale avevano aspettato tanti anni.


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La stanza permetteva appena la presenza di quattro giornalisti, tutti in piedi in un angolo dove prendevano appunti e registravano gli audio di quel momento, così decisivo nella vita di quelle persone. Un ufficiale di polizia seguiva il processo da un altro angolo, mentre una funzionaria si assicurava che la trasmissione fosse regolarmente realizzata, affinché i due accusati dai loro rispettivi domicili( per problemi di salute ed incustodita cautelare), ascoltassero quello che il giudice aveva disposto. 

Nella prima parte, il giudice Merlo ha dato lettura delle accuse e delle testimonianze dei denuncianti. Uno di loro, anziano, senza capelli, pallido, ascoltava aggrappato al suo bastone, si sosteneva la testa con l’altra, stringendo gli occhi in un gesto di introspezione, come se stesse rivivendo ogni parola che leggeva Merlo, qualcosa di doloroso, ma che doveva essere rivissuta per chiarire a tutti i presenti la sentenza alla quale era giunta il  magistrato. Le testimonianze descrivevano le cruenti torture e i soprusi ai quali furono sottoposti, ricevendo anche minacce. Uno di loro lo minacciarono sul suo piccolo figlio di tre anni. 

Di fronte ad una giustizia lenta, il giudice Merlo, nella sua lunga esposizione ha detto che le vittime avevano diritto di accesso alla giustizia, quella giustizia  che per tanto tempo è stata loro negata, ammettendo che queste persone furono sottoposte a “soprusi illegali, crudeli, inumani e degradanti”. Tutto questo, con la finalità di distruggerli come individui, come persone. 

Ugualmente, e nonostante sia indubbiamente chiaro che i giovani furono fermati illegalmente e non utilizzarono mai armi, il magistrato ha sottolineato che se anche i detenuti avessero fatto parte di gruppi armati, i già spiegati atti di violenza nei confronti di queste persone sarebbero state comunque penalmente riprovevoli. Rispetto all'obbedienza dovuta, cui hanno fatto riferimento le difese degli accusati, il giudice  ha chiarito che non è sufficiente: “Il subalterno può e deve esaminare la legittimità della stessa”, dice la sentenza. 

Durante la pausa, attraversando la porta del tribunale per uscire in strada, ci ha avvolto un'onda di ansia ed aspettativa. Decine di persone con cartelli, striscioni, compagni ed anni di attese, aspettavano la promessa di un abbraccio, ma senza sapere con certezza se sarebbe stato di consolazione o di trionfo. 

La seconda parte della sentenza è stata inconfutabile. La descrizione ampia e fondata del magistrato rispetto ad ognuna delle incriminazioni che avrebbe pronunciato, hanno dimostrato che a volte le aspettative possono essere superate. María Elbia Merlo ha compreso che i denuncianti furono vittime di torture, qualcosa di più profondo di “lesioni gravi” e “abuso di autorità”, come aveva ipotizzato la Procura. Ha aggiunto anche che la privazione di libertà, altro reato che il gruppodei aveva semplificato, è stato compiuto contro ognuna delle persone rapite dagli ex militari ed è continuata nel tempo per motivi ideologici, il che implica una chiara persecuzione politica, poiché sono stati perseguitati per essere militanti o semplici simpatizzanti del Partito Comunista, come ha spiegato il giudice.  

Finalmente, e dopo aver argomentato con diritto, giurisprudenza ed ampia documentazione, nella sentenza finale è stato ammesso che erano state commessi crimini di lesa umanità.


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Ed ecco arrivata la sentenza: 12 anni e sei mesi di carcere per Rubens Francia e Francisco Macalusso, in qualità di coautori dei reiterati e continuati delitti di privazione di libertà e tortura. 

L’emozione ci ha travolti tutti, professionisti e non. I denuncianti hanno pianto, si sono abbracciati, gli avvocati hanno sorriso, i giornalisti si sono emozionati. E la sorpresa è stata ancora più grande ascoltando il pm Ricardo Perciballe che ha ringraziato Merlo per la qualità del lavoro e la sentenza nella sua totalità, una grande soddisfazione. 

Mentre i denuncianti si alzavano in piedi per abbracciarsi, uno dei giornalisti si è avvicinato alla sottoscritta spiegando, con lacrime negli occhi, che due delle vittime erano i suoi genitori e che il bambino di tre anni che avevano nominato, era lui. 

All'uscita, ci siamo avvicinati agli avvocati di Francia, Estela Arab e Rosanna Gavazzo che, con un ampio sorriso l’una ed evadendo ogni sguardo l'altra, si sono rifiutate di rilasciare dichiarazioni. L'avvocato di Macalusso, da parte sua, si è semplicemente allontanato dal tribunale. 

Fuori, un mare di applausi ha accolto quegli uomini e donne che, avendo lottato per avere giustizia, finalmente l’hanno avuta. L'avvocato Pablo Chargoña, rappresentante delle vittime e dell'Osservatorio Luz Ibarburu, e il pm Perciballe, hanno ricevuto l’applauso di famiglie, compagni ed altre persone che si erano avvicinate per sostenere ed essere presenti in quel momento.
La giustizia tante volte perseguita, tante volte messa a tacere, ha agito come doveva fin dall’inizio.  Come deve proseguire, senza soste.

*Plantón: I prigionieri erano obbligati a rimanere incappucciati immobili per ore in piedi o in ginocchio.

*Sottomarino: La testa del prigioniero veniva trattenuta sott'acqua o in un secchio di escrementi.

*Picana elettrica: Pungolo elettrico che provocava scariche elettriche sui detenuti

Foto © Antimafia Dos Mil

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