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Dopo aver rivelato al mondo intero documenti segreti del governo americano che hanno fatto affiorare crimini di guerra, torture, uccisioni, violazioni dei diritti umani, atrocità di ogni tipo, Julian Assange, fondatore di Wikileaks, non ha più camminato per strada da uomo libero.

Da 12 anni non è più un uomo libero.

Prima è finito agli arresti domiciliari, poi è stato rinchiuso nell’ambasciata ecuadoriana a Londra per sei anni e 10 mesi, e, infine, dal 2019 si trova nella prigione più dura del Regno Unito, Belmarsh, senza un processo, senza una condanna e senza una reale accusa.

Assange oggi rischia l’estradizione negli Stati Uniti, dove le autorità hanno deciso di applicare per lui una legge speciale del 1917 mirata a combattere l’attività di spionaggio bellico.

Se non si riuscirà a evitarlo, sarà condannato a 175 anni di carcere.

Ma perché?

Assange non è un hacker, né tantomeno una spia, né ha compiuto reati. È un giornalista che ha avuto il coraggio di fare il suo mestiere fino in fondo, rivelando verità scomode ai governi occidentali nel rispetto dei princìpi della società democratica. La sua “colpa” è quella di aver svelato al mondo intero verità indicibili non dopo 20-30 anni, quando la verità ormai non fa più paura a nessuno, ma in tempo reale mettendo in luce la brutalità del complesso militare industriale degli Stati Uniti.

Grazie ad Assange abbiamo appreso i dettagli delle torture che avvenivano nella prigione di Guantanamo, conosciuto l’orrore di crimini di guerra come quelli documentati nel video “collateral murder” in cui si vedeva un elicottero americano Apache sterminare nel 2007 a Baghdad, in Iraq, civili inermi mentre l’equipaggio rideva. Siamo venuti a sapere degli scandali e degli abusi raccontati nelle corrispondenze della diplomazia americana; conosciuto gli “Afghan War Logs” ossia i report segreti sulla guerra in Afghanistan in cui emerge che gli Usa hanno distrutto le vite a migliaia di giovani connazionali, sterminato decine di migliaia di civili afghani completamente innocenti e speso almeno duemila miliardi di dollari. Ad oggi gli Afghan War Logs rimangono l’unica fonte pubblica che permette di ricostruire morti, attacchi, assassini avvenuti in Afghanistan tra il 2004 e il 2009.

Assange è un giornalista che sta pagando per aver svolto egregiamente il proprio mestiere. Ci troviamo di fronte a un mondo alla rovescia in cui chi ha il coraggio di rivelare le atrocità finisce isolato e distrutto. A Julian Assange hanno rubato la vita e anche ammesso che, dopo 12 anni di persecuzioni e torture psicologiche, uscirà vivo da questa situazione, non sarà mai più la stessa persona di prima.

Le persone che, invece, hanno commesso queste atrocità – quindi gli agenti Cia e i militari che hanno invaso i Paesi come l’Iraq e l’Afghanistan – non hanno mai passato un’ora in prigione, vivono e dormono tranquilli con i loro figli e le loro famiglie, indisturbati, mentre Julian Assange sta a Belmarsh, vede i figli e la moglie da dietro le sbarre di un terribile carcere in cui sono rinchiusi i criminali più pericolosi del Regno Unito.

Non bisogna essere esperti di leggi inglesi, americane, né di diritto internazionale per capire che quello che sta vivendo Assange è un’orrenda ingiustizia. Chiedere la sua libertà non è solo una battaglia per la persona, ma anche per la tutela del principio fondamentale della libertà di espressione. Esiste un filo rosso che lega giornalismo di inchiesta e democrazia, libertà di informazione e diritto a essere informati. La democrazia funziona se si investe nel diritto alla conoscenza dei cittadini, nella qualità e nella libertà dell’informazione, oltre che nel dovere di non ostacolare informazioni scomode agli stessi governi.

Il giornalismo libero e indipendente è alla base delle differenze tra democrazia e dittatura. Perciò quello di Julian Assange è un caso emblematico di un tema e di una decisione che dobbiamo prendere come democrazia. Se riusciremo a evitare l’estradizione, potremo dire di esser riusciti a tutelare le libertà garantite dalla società democratica. Se, invece, verrà estradato e condannato, significherà che viviamo in una società in cui chi rivela crimini di guerra e torture compiute dal proprio Stato viene punito e questo è un pericoloso precedente per la libertà di stampa – oltre che un segnale di una società meno libera di quanto si pensi.

Salvare Julian Assange significa salvare la democrazia perché, senza libertà di stampa, anche la democrazia muore. Siamo tutti e tutte Julian Assange e non smetteremo di chiedere la libertà.


FIRMA ANCHE TU PER JULIAN ASSANGE: SALVIAMO LUI E TUTTA WIKILEAKS


Tratto da: ilfattoquotidiano.it

Foto © Imagoeconomica

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