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I genitori: “È tempo che l'Egitto dopo vane promesse collabori. Il nostro Governo pretenda che gli imputati compaiano all’udienza del 31 maggio”

Con una lettera-appello rivolta a Palazzo Chigi e due sit-in in contemporanea, uno davanti l'ambasciata egiziana a Roma, e l'altro davanti al consolato del Cairo a Milano, la famiglia Regeni ha chiesto al governo Meloni di fare pressione sul Cairo e che pretenda la comparizione degli imputati al processo sul caso del giovane ricercatore friulano torturato a morte sette anni fa dai servizi di sicurezza egiziani.
I loro nomi sono ormai noti: sono gli alti funzionari della National Security egiziani Tariq Sabir, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abedal Sharif. I loro nomi sono stati esposti durante i sit-in di ieri a Milano sui cartelli sorretti dal “popolo giallo” (come le divise di Amnesty che dal primo giorno affianca la famiglia del giovane studente). Finora questi presunti boia sono riusciti a scappare alla perché “fingono di non sapere di essere chiamati a processo e si rifiutano di eleggere un domicilio in Italia e ricevere le notifiche”, ha spiegato Danilo De Blasio, responsabile del Festival dei Diritti umani. “E’ una vicenda assurda e inaccettabile dopo che la notizia della tragedia di Regeni ha fatto il giro del mondo".
La Procura di Roma, a inizio aprile, ha chiesto al gup capitolino di investire la Consulta per superare la "stasi" del processo a carico di quattro 007 accusati della morte di Giulio Regeni. Sulla richiesta, che riguarda la questione di costituzionalità dell'art. 420 bis del codice di procedura penale in tema di "assenza" dell'accusato, il giudice si è riservato di decidere aggiornando il procedimento al 31 maggio.


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In particolare la Procura capitolina, dopo lo stop della Cassazione al processo nella Capitale per assenza di contraddittorio, chiede di sollevare davanti alla Corte Costituzionale la questione relativa all'articolo così come modificato dalla riforma Cartabia nella parte in cui non prevede che si possa procedere in assenza dell'accusato "nei casi in cui la formale mancata conoscenza del procedimento dipenda dalla mancata assistenza giudiziaria da parte dello Stato di appartenenza o residenza dell'accusato stesso".
"Sono ormai più di 7 lunghi e dolorosi anni che noi assieme alla scorta mediatica e al popolo giallo chiediamo verità e giustizia processuale. È tempo che l'Egitto dopo innumerevoli vane promesse collabori con il nostro Governo, ed è tempo che il nostro Governo pretenda senza se e senza ma che i quattro imputati per il sequestro, le torture e l'uccisione di Giulio compaiano alla prossima udienza il 31 maggio”, hanno spiegato Paola Deffendi e Claudio Regeni in una lettera letta da Beppe Giulietti portavoce di Articolo 21. I sit-in sono stati sostenuti dal Festival dei Diritti Umani, dalla Fondazione Diritti Umani con l'Ordine dei Giornalisti della Lombardia, dall'Associazione Lombarda dei Giornalisti, dalla Fondazione Roberto Franceschi, dalla stessa Articolo 21, da Aidi, Associazione dottorandi e dottori di ricerca in Italia, e da tanti semplici simpatizzanti della causa di Giulio. "È importante scandire i loro nomi - proseguono nella lettera i Regeni -, perché la notizia del processo a loro carico li raggiunga ovunque si trovino e perché non possano più far finta di non sapere. Laddove non possono arrivare gli ufficiali giudiziari notificando ai quattro imputati l'invito a comparire, arriverà' l'eco della nostra scorta mediatica. Questo processo si deve fare e si deve fare in Italia - sottolineano -, perché non è accettabile che chi tortura e uccide pagato da un regime che il nostro Paese ritiene 'amico', possa abusare del nostro sistema di diritto e godere dell'impunità'. È una battaglia di dignità che riguarda tutti noi". "È un diritto difendersi in un regolare processo, non certo mancare di rispetto ai familiari e ai cittadini sottraendosi alla giustizia”, ha detto Danilo De Blasio. La scorta mediatica di Giulio ha dato quindi appuntamento il 31 maggio prossimo a piazzale Clodio per un nuovo sit-in in attesa che la il gup sciolga la riserva. Il gup ha, sostanzialmente, tre scenari davanti: accogliere la richiesta della Procura e inviare gli atti alla Consulta, recepire quanto definito in una memoria dell'Avvocatura di Stato secondo cui la riforma Cartabia consente di procedere con il processo o, infine, il non luogo a procedere.

Foto © Imagoeconomica

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