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E Pechino minaccia contromisure risolute se leader Taiwan farà scalo negli Stati Uniti

Il Pacifico occidentale è teatro di una corsa alle armi sempre più serrata tra Stati Uniti e Cina. E' l'avvertimento formulato ieri dal capo dello stato maggiore congiunto delle forze armate Usa, generale Mark Milley, nel corso di una audizione alla commissione Servizi armati del Senato federale Usa. "In questo momento nel Pacifico occidentale c'è davvero una corsa alle armi non dichiarata", ha affermato l'ufficiale. "I Paesi (della regione) si stanno armando, e tutti, con rarissime eccezioni, vogliono la presenza degli Stati Uniti nella regione". 
Nella sua relazione Milley ha citato il piano da 200 miliardi dell'Australia per una flotta di sottomarini a propulsione nucleare e il processo di riarmo del Giappone, e puntato l'indice contro la volontà della Cina di assumere il controllo di Taiwan e del Mar Cinese Meridionale: Pechino, ha accusato Milley, "sta tentando di diventare la potenza regionale egemone" a svantaggio di Paesi come le Filippine: "Per questo motivo il segretario (della Difesa, Lloyd Austin) ha visitato le Filippine. Per questo motivo puntiamo ad accedere alle basi e alla supervisione, e siamo impegnati in un riposizionamento nel Pacifico occidentale. (...) E' un progetto teso allo schieramento avanzato per dissuadere un conflitto con una grande potenza, che in questo caso è la Cina". 
Il 2 febbraio il governo delle Filippine ha concesso agli Stati Uniti l'accesso esteso ad altre quattro basi militari sul suo territorio. L'annuncio ha seguito un incontro a Manila tra il presidente Ferdinand Marcos Jr. e il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin. 
Un comunicato congiunto dei rispettivi ministeri della Difesa afferma che le forze statunitensi avranno accesso a quattro altri siti militari sul territorio delle Filippine, nell'ambito dell'Accordo di cooperazione per la difesa rafforzata firmato dai due Paesi nel 2014.
L'accordo, che i due Paesi intendono potenziare ulteriormente, consentiva già a un maggior numero di militari statunitensi di mantenere presidi a rotazione all'interno di cinque basi militari filippine per attività di addestramento, pre-posizionamento di equipaggiamenti e la costruzione di piste di decollo, magazzini e caserme. Il comunicato di oggi ricorda che gli Stati Uniti hanno già destinato più di 82 milioni di dollari a investimenti infrastrutturali nelle cinque basi già interessate dall'accordo. 
I ministeri della Difesa non hanno precisato quali siano i quattro nuovi siti militari interessati dall'accordo, ma secondo recenti anticipazioni del quotidiano "Washington Post", almeno due delle basi si troverebbero nell'isola settentrionale di Luzon, che rappresenterebbe una posizione strategica nell'eventualità di un conflitto con la Cina nello Stretto di Taiwan, o nel Mar Cinese Meridionale. 
L'accesso alle basi dovrebbe anche facilitare la cooperazione in un'ampia gamma di ambiti di sicurezza, inclusa la risposta a disastri naturali ed eventi meteorologici estremi. L'accesso delle forze statunitensi a ulteriori basi militari sul territorio delle Filippine era già stato discusso il mese scorso dal consigliere per la sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan e dal suo omologo Eduardo Ano. 

Situazione calda con Taiwan
A surriscaldare la tensione c'è anche la minaccia della Cina di usare "contromisure risolute" qualora la presidente taiwanese Tsai Ing-wen incontri il presidente della Camera degli Stati Uniti Kevin McCarthy durante lo scalo di Tsai a Los Angeles. 
Tsai dovrebbe transitare per New York il 30 marzo prima di dirigersi in Guatemala e Belize. Il 5 aprile, sulla via del ritorno a Taiwan, dovrebbe fermarsi a Los Angeles, dove è previsto l'incontro con McCarthy. Le pressioni diplomatiche contro Taiwan si sono intensificate negli ultimi tempi, con Pechino che ha sottratto a Taipei un numero già esiguo di alleati diplomatici, inviando al contempo jet militari da combattimento che volano quasi quotidianamente verso l'isola: questo mese l'Honduras ha stabilito relazioni diplomatiche con la Cina, lasciando a Taiwan solo 13 Paesi che la riconoscono come Stato sovrano. Tsai ha inquadrato il viaggio come un'occasione per mostrare l'impegno di Taiwan verso i valori democratici sulla scena mondiale. "Voglio dire al mondo intero che Taiwan è democratica, che salvaguarderà con determinazione i valori della libertà e della democrazia e che continuerà a essere una forza per il bene nel mondo", "rafforzando la resistenza della democrazia nel mondo", ha detto ai giornalisti prima di salire sull'aereo per iniziare il suo tour di 10 giorni nelle Americhe. "Le pressioni esterne non ostacoleranno la nostra risoluzione di impegnarci nel mondo", ha aggiunto.
Le tappe statunitensi sono le più seguite del viaggio di Tsai. Il portavoce dell'Ufficio per gli Affari di Taiwan del governo cinese, Zhu Fenglian, in una conferenza stampa oggi ha denunciato lo scalo di Tsai durante il viaggio per andare dagli alleati diplomatici in America Centrale e ha chiesto che nessun funzionario statunitense la incontri. "Ci opponiamo fermamente e prenderemo contromisure risolute", ha detto Zhu. Gli Stati Uniti dovrebbero "astenersi dall'organizzare le visite di transito di Tsai Ing-wen e persino i contatti con i funzionari americani e intraprendere azioni concrete per rispettare l'impegno solenne di non sostenere l'indipendenza di Taiwan", ha dichiarato. Le visite di transito negli Stati Uniti durante i più ampi viaggi internazionali del presidente taiwanese sono state una routine nel corso degli anni, hanno sottolineato alti funzionari statunitensi a Washington e Pechino alle loro controparti cinesi. Tsai è transitata negli Stati Uniti sei volte tra il 2016 e il 2019, prima di rallentare i viaggi internazionali a causa della pandemia di coronavirus. In reazione a queste visite, la Cina si è scagliata verbalmente contro gli Stati Uniti e Taiwan.

Foto © U.S. Army Europe Images

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