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Ha segnato un'epoca nella cronaca nera uruguaiana. Oggi, a 67 anni, dirige il sito web latinoamericano Antimafia Dos Mil

Jean Georges Almendras è nato a La Paz, Bolivia, ma si considera uruguaiano al 100%. Arrivò nel paese insieme alla sua famiglia quando aveva 5 anni. Figlio di due docenti - che decisero di emigrare nel momento in cui iniziarono tempi agitati nel paese dell'altopiano -, fece un primo scalo in Perù, dove la sua famiglia visse il terremoto di Arequipa del 1960 che lasciò 63 morti e centinaia di feriti. Visto che suo zio si trovava già in Uruguay, decisero di cambiare destinazione. I suoi genitori, pochi giorni dopo, trovarono lavoro. “Riuscirono ad inserirsi nel gruppo di intellettuali ed educatori uruguaiani dell’epoca, tra i quali ricordiamo Rubén Yáñez e Julio Castro. Cambiarono ideologia politica e furono compagni di gente scomparsa in dittatura. È in quell'epoca che siamo cresciuti mia sorella ed io. Lei è più grande di me, è medico”, dice Georges Almendras a ‘Revista Domingo’.
Il suo nome particolare fu scelto dai suoi genitori perché concepito in Francia, dove avevano vissuto temporaneamente grazie ad una borsa di studio dell'Unesco, studiando a La Sorbona di Parigi. “Mia sorella fece perfino la giardiniera là. Io nacqui a La Paz, settimino, a maggio del 1955. Come i miei genitori, sono sempre stato innamorato della Francia. Ma ringrazio molto l'Uruguay, perché è qui che sono cresciuto e ho la nazionalità. Meno che presidente, posso essere qualunque cosa”, commenta e ride.
È stato un giovane inquieto, che amava la lotta sociale degli anni ‘60 (“che non è l'attivismo di oggi” precisa). “Ho fatto la primaria e la secondaria, ma da giovane ho studiato teatro. In realtà, ho iniziato scrivendo sul teatro nel quotidiano Los Principios de San José. Ho fatto teatro con gente dell'Istituto Anglo e della vecchia guardia come Hugo Mazza ed Eduardo Malet. In quell'epoca, era circa il ‘72, siamo diventati amici con Nacho Cardozo e con la futura attrice Andrea Davidovich, che allora aveva 13 anni”.
In quegli anni, Almendras iniziò a partecipare al programma “En vivo y en Directo” condotto da Néber Araújo e Jorge Traverso, per promuovere le opere teatrali, e a collaborare con le riviste Actualidad de Las Piedras e Noticias.  Diventò in seguito uno dei giornalisti più famosi di cronaca nera. Oggi, a 67 anni, continua a mantenere le stesse passioni dirigendo il sito web latinoamericano Antimafia Dos Mil.

DAL QUOTIDIANO ALLA TV. Per la prima volta entrò nella redazione di un quotidiano a Montevideo verso metà degli anni ‘80. Iniziò a scrivere per Últimas Noticias quando la sede del giornale si trovava in Via Garibaldi. Lavorò lì per oltre 15 anni occupandosi di Informazione Generale e redigendo rapporti speciali. Di questi ultimi, ricorda un sevizio sulla base Antartica dell'Uruguay.
“In quell'epoca conobbi Nelson 'Laco' Domínguez con cui feci amicizia e dal quale presi grandi insegnamenti. Mi sono occupato di Carnevale per due anni, fino a quando iniziai ad occuparmi di cronaca nera con José Perdomo che era caporedattore e anche mio maestro. L'altro collega che si occupava di cronaca nera era José 'el Perro’ Rügnitz, ricorda. 

Nel 1988, Bernardo Gitman, storico giornalista di Telenoche, lo chiamò per fare una prova in TV. Qualche apparizione sul piccolo schermo ed il risultato fu eclatante: rimase per oltre 20 anni come reporter di notizie di cronaca nei telegiornali di Canal 4. Molto presto, le circostanze lavorative lo portarono a lavorare in radio, a fare degli incontri e corsi di cronaca poliziesca in centri universitari ed a fare documentari: “Dovetti lavorare con due linguaggi molto differenti: il televisivo e quello dei giornali. E vivere quella schizofrenia con passione. Mi piaceva ed ancora mi piace".

Almendras ha imposto rapidamente un proprio stile in televisione, facendo tra l’altro coperture giornalistiche in mezzo a sparatorie, mentre i proiettili passavano accanto a lui ed al suo cameraman. Non si pente di avere messo a rischio la sua vita. E neanche dello stile diretto e scarno che mostrava sullo schermo e che, in tempi di un maggiore “politically correct”, forse non sarebbe visto tanto bene adesso. “Il cronista poliziesco deve avere un temperamento ed una personalità molto particolare. Ha un contatto quotidiano con la violenza, i criminali, la morte, l'autorità, la Giustizia. Questo ti porta a non lasciarti sopraffare dalle emozioni. In quegli anni non tutti potevano essere cronisti di cronaca nera. Oggi la cronaca nera non ha la consistenza che aveva allora” - ha detto. 

CONVIVERE CON LA DELINQUENZA. Almendras dice che il cronista poliziesco deve stare in “strada” e “non destreggiarsi con comunicati stampa”. E, come si dice abitualmente nel gergo giornalistico, stare nella scena del crimine. “Perché deve descrivere un fatto o un dolore vedendolo con i propri occhi”, ha sottolineato.  

A questo proposito, ha sottolineato l'importanza del lavoro del reporter grafico, in particolare quello che ha fatto insieme a cameraman e fotografi come Hugo Molino, Eduardo Girò, Carlos Morales, Francisco Flores ed Antonio García. “Io non li lasciavo andare da soli, andavamo insieme. Se ricevevamo una sassata, uno sputazzo, un insulto o un colpo, lo ricevevamo in due”, ha specificato. Per poi aggiungere: “Il sistema politico pensa che i cronisti si occupano solo di dare la notizia. Ma abbiamo la responsabilità, ovunque, di trovarci vicino al luogo della notizia. Vedere come si comporta un politico, un poliziotto o un giudice. Siamo stati mille volte al Comcar, la Prigione di Libertad, nelle sedi dell'Inau, conosciamo la realtà carceraria drammatica del nostro paese. Per questo motivo credo che a volte il sistema politico dovrebbe chiedere e non rimanere sul piedistallo e risolvere situazioni che a volte il giornalista conosce direttamente”. Nello svolgimento di queste coperture, Almendras è arrivato anche ad essere il tramite per le negoziazioni durante un ammutinamento a La Tablada, dove giovani collegi avevano chiesto la sua intermediazione.

Jean Georges Almendras nella sua epoca di cronista di strada.

IL CRIMINE ORGANIZZATO. Letteralmente immerso nel giornalismo, Almendras fu invitato a partecipare a due pubblicazioni di cui il suo amico Giorgio Bongiovanni era fondatore e direttore: Terzo Millennio, una rivista di avvenimenti mondiali e notizie su conflitti sociali, ed ANTIMAFIADuemila, specializzata nel crimine organizzato in Italia. 

Parallelamente alle sue attività in televisione, è diventato collaboratore di ANTIMAFIADuemila e, con il tempo, direttore della sua filiale sudamericana, Antimafia Dos Mil, inaugurata da Bongiovanni 23 anni fa. Ancora oggi dirige questo portale che riceve migliaia di visite ogni giorno. 

Giorgio Bongiovanni, con i suoi 60 anni, è oggi un giornalista riconosciuto nel suo paese. ANTIMAFIADuemila è una delle pagine web di cronaca giudiziaria più visitate in Italia. E lavora gomito a gomito con le autorità nella lotta contro il crimine”, ha sottolineato.  

Almendras ha spiegato che le “mafie” non sono una realtà distante dagli uruguaiani. “Il tema mafioso in realtà non è un sistema, è un'ideologia. Qui parliamo del caso Astesiano. Nel Rio de la Plata domina la corruzione, infiltrata in modo naturale dal sistema mafioso. Il caso di Rocco Morabito lo dimostra. Vive qui per 15 anni, viene arrestato e riesce a fuggire in un evidente contesto di corruzione. Le democrazie vengono letteralmente fagocitate dall'ideologia mafiosa”.

Fonte: elpais.com.uy

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