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Hrafnsson di Wikileaks: “Anche il Presidente della Colombia Petro, impegnato per fare pressioni su Biden”

Il comitato italiano “La mia voce per Assange”, fortemente impegnato per ottenere la liberazione di Julian Assange, il giornalista di “WikiLeaks” detenuto per aver denunciato i crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti in Iraq, Afghanistan e nel carcere extraterritoriale statunitense di Guantanamo, ha diramato una nota con la quale denuncia "l'asimmetria di trattamento riservato dagli Stati Uniti al principe ereditario dell'Arabia Saudita Mohammed bin Salman” rispetto al giornalista australiano Julian Assange detenuto nel carcere londinese di Belmarsh, in attesa di essere estradato negli Stati Uniti per scontare una pena di 175 anni di carcere.
Gli Stati Uniti - ha ricordato la nota diramata dal comitato “La mia voce per Assange” - hanno deciso di concedere l’immunità al principe saudita bin Salman “in seguito alla sua nomina a capo del governo di Riad” nonostante il suo coinvolgimento nell’omicidio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi , notoriamente critico nei confronti del governo di Riad, il cui omicidio, è stato confermato sia dalla CIA che dal rapporto della rappresentante delle Nazioni Unite per il Council dei diritti umani Agnes Callamard.
Vincenzo Vita, uno dei rappresentanti del comitato “La mia voce per Assange”, intervistato da “Adnkronos”, ha spiegato: “Siamo di fronte ad un caso terribile. Sul principe saudita bin Salman (frequentato da vari potenti oltre che da Matteo Renzi, ndr) pende l'accusa intentata dalla compagna del giornalista giustiziato, per essere, appunto, il mandante dell'omicidio Khashoggi.” - prosegue - “Mentre si accorda una ben discutibile guarentigia ad un oligarca accusato di complicità in un efferato delitto, Assange langue in un carcere speciale di Londra, rischiando l'estradizione in America, dove, se estradato, rischia una condanna a 175 anni di detenzione. Com'è possibile che l'aria serena dell'Ovest dia una patente di rappresentante istituzionale intoccabile a chi merita l'Inferno e si vendichi contro il fondatore di WikiLeaks, nei confronti del quale l'informazione democratica è debitrice? - ha sottolineato Vincenzo Vita -. È come affermare che l'impunità vale per eccidi e omicidi di Stato, mentre colui che mette il naso negli arcani è un nemico pubblico. Senza Assange e i suoi collaboratori non sapremmo quasi nulla dei misfatti delle guerre in Iraq e Afghanistan”. E ancora: “Ci rivolgiamo a coloro che hanno ancora un volto umano perché sia garantito un processo senza omissioni e privilegi sul caso Khashoggi - ha concluso il rappresentante del comitato pro-Assange -; che si blocchi subito il martirio cui è sottoposto Julian Assange. Insieme alle migliaia di persone che si sono mobilitate contro l'estradizione del giornalista australiano, ci appelliamo a coloro che nelle istituzioni hanno a cuore giustizia, etica e verità. Oggi Khashoggi e Assange, ma domani?".
Anche il Presidente della Colombia, Gustavo Petro - ha reso noto Kristinn Hrafnsson, caporedattore della piattaforma “Wikileaks” -, si sarebbe impegnato per “fare pressioni” sul capo di Stato Americano Joe Biden, affinché si metta fine alle accuse rivolte ad Assange. Difatti, anche il titolo pubblicato sul profilo Twitter della presidenza colombiana ha descritto l’incontro avvenuto a Bogotà con il Presidente colombiano Petro ed il ministro degli Esteri colombiano Álvaro Leyva, come una riunione incentrata sulla "libertà di stampa nel mondo".
Petro ‘aiuterà’ Wikileaks per unire le forze con altri presidenti della regione - ha sottolineato Hrafnsson - per fare pressione sull'amministrazione Biden e mettere fine alle accuse rivolte ad Assange”. Inoltre, il giornalista islandese Hrafnsson - come ha evidenziato anche il quotidiano “El Espectador” -, ha aggiunto che Gustavo Petro parlerà dell'estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti ai vari leader regionali nell'ambito di un prossimo incontro in Messico.
Il rapporto tra Assange e il Sudamerica si è rafforzato a partire dal 2010, quando, l'Ecuador, guidato dal governo di Rafael Correa, ha concesso l'asilo politico al giornalista nel 2012 dopo avergli concesso rifugio presso l’ambasciata ecuadoriana di Londra fino al 2019, anno in cui l'esecutivo guidato da Lenin Moreno ha revocato la protezione al giornalista, determinando per questo il suo arresto.

Rielaborazione grafica by Paolo Bassani

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