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La classe media argentina aveva bisogno di un eroe ed il procuratore Julio Strassera, con le sue molte (o troppe) sfumature grigie, ha fatto sì che questa si riconoscesse in lui. L'ignoranza del recente passato è stata sempre usata come scusa per giustificare la mancanza di impegno nel presente. Ma a partire da ora quell'ignoranza ha anche un correlato storico che permetterà ai fantasmi della nostra coscienza di riposare rispetto alla responsabilità della società civile negli anni ‘70 e nei decenni di lotta successivi.
Stiamo parlando del film “Argentina, 1985”, sullo storico processo contro la giunta militare argentina. Il film specifica sin dall’inizio che è ispirato a fatti reali cosicché nessuno potrebbe accusarlo di cercare di falsificare la storia. È una versione libera, al limite dell’irresponsabile, che non ha come obiettivo quello di documentare i fatti. Ma questo stratagemma è proprio quello che permette giustamente di introdurre nel mainstream un discorso ideologico. L'emozione della trama nasconde un'intenzione politica occulta ed agisce per predisporci e lasciarci esposti ad una versione mirata della verità, quasi senza che ce ne  rendiamo conto.
In questo modo il processo alle giunte, secondo questo film, viene presentato come l'impresa di un piccolo gruppo di pubblici ministeri che, in solitudine, ha aperto al popolo il cammino alla verità. E non viceversa. La classe media non politicizzata è al di sopra del lungo percorso dei sopravvissuti, dei familiari e degli organismi di difesa dei Diritti Umani che il film ha intenzione di deviare.
Un film è essenzialmente un‘illusione generata proiettando migliaia di fotogrammi ordinati in un tutto. Il film “Argentina, 1985” è tutto il contrario, ovvero un’immagine statica del passato che pretende di racchiudere il principio e la fine di una storia in uno stesso istante. Non c’è continuità né conseguenze che possano collegarlo al presente di fame e dipendenza che viviamo. La sua missione segreta, come direbbe Alberto Fernandez, è quella di “voltare pagina”.
Alcune sequenze del film, che non hanno una stretta relazione con la verità storica, possono essere considerate come strumenti necessari per articolare un copione. Altre però non sono così innocenti e a questo proposito menziono almeno 5 punti che hanno richiamato la mia attenzione:

1 - La storia di Adriana Calvo è centrale perché, oltre ad essere la prima testimone che apre il processo, rappresenta la brutalità spietata delle menti della dittatura ed una sintesi della sua metodologia repressiva. Pertanto è inevitabile inserirla se il film tratta proprio del processo alle giunte. Ma colpisce che le fanno dire nel copione che “dovette andare via dal paese” per le pressioni e le minacce ricevute costantemente. Sembra che in questa versione della storia Adriana Calvo starebbe ringraziando Strassera e Moreno Ocampo per quello che hanno fatto. Però tutti sappiamo che non è stato così. È stata proprio lei che decise di rimanere per garantire giustizia, fino ai suoi ultimi giorni, attraverso l'organizzazione di ex detenuti e desaparecidos. Inoltre la sua testimonianza fu poi perversamente manipolata per tentare di adottare politiche di indulto.   

2 – La mancanza di considerazione nel film verso Víctor Basterra è un'offesa crudele che ferisce al cuore gli organismi di difesa dei diritti umani. Con i documenti audacemente estratti, durante la prigionia, per Basterra dall'ESMA è stato possibile giudicare, in Argentina, una quantità enorme di genocidi. Grazie a lui ed al coraggio di un ridotto gruppo di persone sono andati avanti, quasi in solitudine, processi nei quali lo Stato è stato sempre assente. Presentare Basterra come un personaggio debole, che deve essere “consigliato” dai pubblici ministeri perché la quantità di documentazione non risulta utile alla causa 13 e che ha bisogno che moderino il suo discorso durante la testimonianza, perché non è funzionale a quello che i giudici e la società vogliono sentire, ha come obiettivo esplicito di svalutare i suoi fondamentali contributi.

3 - L'unica, o una delle poche scene che mostrano le Madri di Plaza de Mayo, fa vedere un flebile gesto di sottomissione di Strassera quando educatamente chiede loro di decidere se togliersi i fazzoletti o meno per potere continuare il processo. In questo modo il simbolo dei fazzoletti rimane subordinato a necessità circostanziali che bisogna comprendere. Sembrerebbe dirci, tramite una specie di meta-messaggio, che ci sono momenti in cui è meglio lasciare da parte bandiere ed ideologie affinché il bene comune, che trascende tutti noi, vada avanti per la via istituzionale. In questa fantasia non v'è necessità di lotta, i meccanismi  degli Stati funzionano e sono sufficienti da sé per garantire una giustizia piena. 

4 - Purtroppo il film, che apre il dibattito e viene proiettato in centinaia di scuole di tutto il paese, mostra solo una minima parte della testimonianza di Iris, la madre del Negrito Avellaneda, senza spiegare chi è. Sarebbe importante che gli adolescenti di oggi sapessero che anche loro sono vittime quando un meccanismo di sterminio è messo in atto e che non è solo la classe operaia, militante e combattente, ad essere punita per avere l'audacia di cercare un mondo migliore per tutti. Il film non può uscire da questa linea, l’importante è mostrare il coraggio individuale di un uomo che osa in solitudine imprigionare Videla. Non esiste la resistenza né l’impegno collettivo, come neanche esiste la responsabilità della chiesa, dei settori economici e del resto della società civile nel genocidio. È preferibile una storia semplice, in un formato commerciale che ci porti fino all'Oscar e che nel caso venissimo premiati, celebri la nostra irresponsabilità di fronte alla catastrofe che viviamo. 

5 - Ci colpisce che nel film, nella scena dove viene scritta a macchina la sentenza, si parli di genocidio. Il giudice Rozansky, che condannò per la prima volta nel 2006 Etchecolatz in un “contesto” di genocidio, ha raccontato pubblicamente che una volta Strassera gli chiese “da dove hai tirato fuori questo concetto giuridico?!”.

Se l'intenzione del film era presentare Strassera come una delle personalità che si sono impegnate a livello giuridico affinché fosse riconosciuto il genocidio dei 30 mila desaparecidos bisogna dire che non è stato così. La sua posizione ambigua è discutibile prima, durante e dopo il processo alle giunte. In particolare Strassera respinse numerose richieste di habeas corpus durante la dittatura (atto rilasciato dalla giurisdizione competente con cui si ingiunge, a chi detiene un prigioniero, di dichiarare in qual giorno e per quale causa sia stato arrestato) e si allineò ad una politica aggressiva contro organismi di Diritti Umani durante il Kirchnerismo. Riguardo al pubblico ministero Moreno Ocampo bisogna ricordare il suo operato come avvocato difensore nel caso di Padre Grassi, condannato per abuso sessuale di minori. La mia intenzione non è andare a scavare nel passato di questi personaggi per rendere pubbliche luci ed ombre. Voglio semplicemente mostrare che sono capaci di rappresentare una fetta della società, smemorata, sprovveduta e senza storia. 

Con il film “1985” si è messa in moto una grande macchina di propaganda e diffusione. Tutti noi che ci siamo assunti delle responsabilità con la storia ed il presente abbiamo l'opportunità di far sentire nuovamente la nostra voce, in ogni spazio di dibattito possibile. Trovare ogni angolo e ogni prospettiva affinché questo film si trasformi realmente in uno strumento di ricerca e non sia fine a sé stesso è una sfida alla nostra portata.  

Affinché la memoria, la giustizia e la verità illuminino le generazioni che verranno.

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