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Intervista esclusiva al padre del procuratore Marcelo Pecci: “Lo hanno colpito con tre spari, non ha sofferto prima di morire”

“Claudia, sua moglie, ha affrontato tutto con molto coraggio”

C'è un'inequivocabile somiglianza fisica, specialmente nello sguardo, tra Marcelo Pecci, procuratore e avvocato paraguaiano assassinato dalla mafia in Colombia nel maggio di questo anno, e suo padre Francisco, ex giudice, oggi 84enne professionista in pensione, che ci riceve nella sua casa in un grazioso quartiere residenziale di Asuncion in una fresca mattina di ottobre, a poco più di cinque mesi dall'attentato. Ritrovo quella singolarità fisica ora che è di fronte a me. È lui stesso ad aprire la porta della sua casa, e subito domanda con fermezza: “Perché tante persone? Spero che non filmerete, la mia famiglia non vuole che io parli, tantomeno di fronte alle telecamere”. Questo avvertimento è come uno schiaffo a mano aperta sul viso. Lo tranquillizzo e lo presento ai miei accompagnatori. Gli spiego che con me ci sono i collaboratori di Antimafia Dos Mil, alcuni di essi fotografi e cameraman, e giovani di Our Voice. Francisco Pecci mi ascolta, annuisce con la testa, dice che va bene e ci fa entrare nel soggiorno. Tutto questo grazie ad un precedente contatto con il nostro redattore, l'avvocato ed ex pm Jorge Figueredo, che è stato piuttosto un anticipo – molti giorni prima - della nostra irruzione quella mattina. 

Francisco Pecci, donandoci il suo tempo e la sua casa, si è preso una pausa dal silenzio di dolore in cui si è rinchiuso e dalla prudente distanza presa coi mezzi di comunicazione del suo paese.

 “Realmente per noi è stata una sorpresa, perché mio figlio Marcelo Daniel Pecci Albertini non credeva, o dimostrava di non credere o non pensare mai, che potessero ammazzarlo. Le volte che glielo dicevamo, o che i molti amici gli dicevano che il suo lavoro era pericoloso, lui li ignorava. Era un giovane innamorato del lavoro contro la corruzione, contro il crimine organizzato. Era praticamente la nave ammiraglia, per così dire, l'uomo più importante del gruppo di pubblici ministeri che erano nella sezione antidroga. Il suo lavoro ha avuto anche portata regionale, visto che ha partecipato a molti incontri con i paesi della zona, tanto che una sua frase, coniata nell'aula della Procura della Repubblica che gli ha reso molto omaggio, dice: 'Facciamo i bravi, perché il Paese ha bisogno di noi e anche la regione'. Aveva una visione e il desiderio di lavorare insieme, e così è stato. Ogni volta che incontrava persone provenienti da un altro paese sudamericano, era ben considerato”.


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Parla con pause. E gradualmente, lui stesso si entusiasma della nostra presenza – lasciandosi alle spalle il suo disagio per tanti visitatori che modificano la sua routine, ma senza cedere alle riprese – e più volte devia il discorso ma subito lo riprende e ci parla di Marcelo: “Era un ragazzo, in realtà direi… Lui è Pecci Albertini. Io sono Pecci Manzoni, due cognomi importanti in Italia. Manzoni per Alessandro Manzoni, autore di “I Promessi Sposi”, e Pecci per il papa Leone XIII, autore dell'Enciclica Renovar Joaquín Vicente Pecci che lui rinnovò con l'enciclica per i poveri Alcune persone che studiarono in Italia mi dissero: 'Pecci, questi cognomi sono conosciuti là in Italia, sono importanti. Io avevo una nonna argentina, Laura Saavedra, parente dei Saavedra, cognome rilevante in Argentina per questioni storiche, politiche, e Manzoni da parte di mia madre; fu un italiano che si sposò con un'oriunda del municipio di Quyquyhó (nel dipartimento di Paraguarí, ndr)”. 

Il salone nel quale parliamo è ampio, ornato accuratamente con tocchi classici nella mobilia. Non c'è molta luce. Ma i ricordi su Marcelo ed il passato familiare dei suoi cognomi hanno luce propria. All'improvviso, inaspettatamente, Francisco interrompe il passato lontano dell'albero genealogico e ritorna al passato recente, ai giorni precedenti il crimine, e ci confida: “Quello che posso dire di questo è che ci ha sorpreso, ci ha colpito, ci ha rotto l'anima, perché i miei amici mi dicevano, è pericoloso il lavoro di tuo figlio, pericoloso… e anche i suoi amici glielo dicevano, e lui diceva 'no, non succede niente'. Ed io gli parlavo molto quando era qui. Quando veniva a visitarmi parlavamo abbastanza. Constatavo che era immensamente prudente nel suo lavoro. Per telefono non mi avrebbe mai parlato di qualsiasi argomento. Ecco, alcune cose me le ha dette e basta. La prudenza è la madre delle virtù. Raggiungere l'equilibrio è la cosa più difficile, avere equilibrio nella vita. Geneticamente, mi hanno detto, era come me. E la moglie, la vedova, mi dice 'Lui, Marcelo, mi diceva, voglio essere come papà'. Io credo che quello che ho fatto è normale ma lui è andato molto oltre. Ha scelto un lavoro difficile, ed è diventato un martire della giustizia paraguaiana; il primo martire della giustizia paraguaiana in tempo di pace. Immagini lei, il governo ha accettato di celebrare il 10 maggio, il giorno della morte, il giorno del procuratore paraguaiano. Un consigliere comunale ha proposto alla comunità di intitolare una strada a suo nome. Nella Scuola San José - la sua scuola - gli hanno reso molti omaggi. La Procura, perfino Sandra Quiñonez, gli ha reso molti omaggi. Nel Club Guaranì che fu il nostro club calcistico del cuore, lui fu allenatore per molto tempo, e non aveva tempo. Non aveva tempo di fare corsi di specializzazione all’estero. Mi diceva, 'papà, io vorrei ma non posso per il lavoro che faccio'. Sandra Quiñonez gli affidò i casi più difficili perché sapeva che lui lo avrebbe fatto. Questo non significa che non ci siano stati altri buoni procuratori, anche bravi. Non ce ne sono molti, ma ci sono, credo”.


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Il procuratore Marcello Pecci (tratta da Il Messaggero)


Francisco Pecci si è preso il suo tempo per parlare della linea genealogica di suo figlio deceduto e dopo una pausa, riprende a raccontare i fatti del passato più recente là nella spiaggia caraibica della Colombia, dove mani criminali hanno spento – in pieno sole, in piena luce del giorno - la vita di Marcelo e aggiunge, con un accento di amarezza, con voce rotta e sguardo perso nell'orizzonte, quasi ignorando i suoi interlocutori: “Ora, coi tre colpi che gli  hanno sparato, poverino non se n’è neanche reso conto, come racconta Claudia Andrea Aguilera, sua moglie. Non si è reso conto. Quando gli si avvicinarono i sicari di nascosto, gli spararono tre colpi e cadde morto nel suo sangue. Non ha sofferto, fortunatamente. Claudia crede che non ha sofferto ed è morto sul colpo. Fortunatamente, perché avrebbe sofferto se l'avessero ucciso in un altro modo”. 

In quei giorni di maggio, quando le pallottole mafiose hanno messo fine alla vita del figlio di Francisco Pecci, nella spiaggia colombiana (Barú), il padre, sua madre, tutta la sua famiglia, ma molto di più la sua vedova Claudia - incinta di tre mesi – sono sprofondati nel loro dolore con una sola domanda si devono essere posti quasi all'unisono, nella loro intimità: Chi c’è dietro l'attentato? Supponendo - solo per buonsenso - che chi ha premuto il grilletto della pistola automatica assassina, era solo la punta di un iceberg. Un iceberg pesantissimo che galleggia nelle acque profonde di una criminalità insediata in questo lato dell'Atlantico. 

 “Io non penso in nessuno. Perché chiaramente… si è parlato, per esempio, del Brasile, del PCC e del Comando Vermelho. Si è detto che è una questione che potrebbe avere legami con gente del posto. Si è parlato. Si è creduto, perchè la Colombia è un paese pericoloso”, mi dice Pecci sottovoce. Fa una pausa silenziosa e sembra riflettere a voce alta ed aggiunge: “Si è pensato alla Colombia. In Colombia ora comanda un potente clan, o cartello, il Golfo. Queste organizzazioni criminali sono legate tra loro e tra loro si ammazzano. Ma tra loro si capiscono. Ciò è quel che si dice, io non posso provare quello che dico, ma è quello che si racconta. Ora, da qui a dire che è verità …E la gente dice che mio figlio è andato in Colombia che è un posto pericoloso, no! Questi ti ammazzano in qualsiasi posto, ma per favore! E come combatti questo? Loro assumono posti chiave tra i politici, governanti, la polizia, in qualunque settore dell’establishment. Con il denaro comprano tanto, non tutto, ma tanto. Quindi hanno un potere logistico invincibile”.

Nel momento degli spari fatali la solitudine di Marcelo Pecci e di sua moglie Claudia, in quelle sabbie colombiane, era sconcertante. Non c'era un solo agente di scorta nei dintorni. Lui stesso si divincolò da ogni protezione. Una decisione che fu determinante; è stata infatti funzionale alla logica mafiosa che aleggiava su entrambi, vai a sapere da quando, in quale circostanza e all’interno di quali parametri.


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Francisco Pecci cerca di darci una risposta. Ci disegna un percorso. Ci fa lo schema di una circostanza che, in pratica, preannunciava la tragedia. Una tragedia annunciata forse? 

“Di mio figlio dicono che si è consegnato lui stesso perché girava senza scorta. Lui aveva un agente di scorta, in questo caso un agente che guidava quando andava con la sua macchina. Ma poteva andare con tre, quattro agenti in luna di miele? Che ridicolaggine. Li avrebbero ammazzati tutti. Ma per favore. Questo sarebbe stato far ammazzare tutti." 

Claudia è la madre di una bambina che portava già in grembo il giorno che dell’attentato; Claudia è la donna che Marcelo Pecci aveva scelto come compagna per tutta la vita. Ma il destino crudele, progettato dalla criminalità, si è intromesso sulla loro strada frantumando progetti e sogni. Oggi il suocero di Claudia non ha parole per comunicarci che quel giorno, anche lei - come sposa e come madre - con grande coraggio, si è trovata in balia delle pallottole e della morte. Prima ci ha raccontato aspetti della vita personale del pubblico ministero e dopo particolari dell'attentato mai rivelati al giornalismo locale. Le parole di Francisco sono state tutte di apprezzamento verso Claudia; racconti sul suo coraggio e sulla sua integrità nel momento che il crimine strappava la vita a suo marito. 

 “Questa donna la conosceva da circa un anno e mio figlio se ne innamorò e la sposò. Claudia Andrea Aguilera Cantero è una delle quattro sorelle di una madre vedova eccellente, gente di verità, brava gente. E Claudia Andrea… mio figlio si era innamorato di lei e decise di sposarla perché vide le sue qualità umane, perché è forte. Ma lei ha sofferto enormemente”.

“Claudia ha affrontato tutto con molto coraggio perché è rimasta sconvolta lì, diverse ore sulla spiaggia. Loro volevano ammazzare solo Pecci, non gli importava della donna. E così dopo i tre spari mio figlio cadde morto e gli assassini scappavano mentre la gente che stava in quella spiaggia, in quel posto nascosto, in quell'hotel, gridava  'attacco di banditi, prendeteli'. Quando uno degli assassini ha sentito questa frase ha iniziato a sparare in aria mentre correva per spaventare il resto della gente, in base a quanto ha raccontato Claudia, che ci ha detto anche: 'Marcelo non  si è nemmeno reso conto, non ha sofferto, se n’è andato felicemente'. Vogliamo credere che è morto all’istante. Allora lei gli mise un asciugamano addosso, rimase con lui, come ha raccontato, e gli chiuse gli occhi che aveva ancora mezzo aperti, rimanendo così per diverse ore. Subito dopo la chiamò al cellulare - non so dove, forse nell’ hotel - Mario Abdo Benítez, presidente della Repubblica, la chiamò e le disse 'tutto quello di cui hai bisogno … immediatamente va in Paraguay'. E l'ambasciatrice, Sophía López Garelli, figlia di un gran signore, il mio professore di diritto, il dottor Mario López, deceduto qualche tempo fa, le è stato molto vicino. Subito da Cartagena de Indias, a 40 chilometri da Barú, la l’hanno chiamata, sapevano dove si trovava, sapevano, e verso le due erano già nell’hotel.  Gli chiesero come stava e con chi stava. I Galeano Monti si sono dimostrate persone eccellenti; in particolare il figlio di José Antonio Galeano, fratello di Maneco Galeano, gloria musicale paraguaiana. La chiamarono e gli dissero 'siamo qua'. I Galeano Monti sono una famiglia che le ha detto, 'sei sola, possiamo essere vicino a te'. 'Se potete venite perché sono sola'. Era devastata quella ragazza È stata molto coraggiosa quella ragazza, molto molto coraggiosa; una ragazza di grande temperamento. Addirittura uno dei Galeano Monti, ginecologo, gli fece una visita medica perché era incinta di circa tre mesi. Arrivarono immediatamente là… sotto quest’aspetto il governo si è comportato molto bene”.

Il fantasma del mostro che si cela dietro l'azione criminale contro la vita del procuratore Marcelo Pecci fluttua ancora in un mare di ipotesi e di speculazioni, in cui la mafia transnazionale ha indossato vesti diverse - per dirla con termini appropriati - perché è un fatto comprovato che il o  i mandanti godono ancora, oltre all’impunità, della copertura di protezione necessaria per rimanere nell’ombra, senza nomi e senza cognomi visibili, come è prassi quando si tratta della morte di uomini giusti.

Si diceva allora, per le strade paraguaiane, che un delinquente locale, soprannominato il Chicharón, aveva minacciato di morte il procuratore Marcelo Pecci: “Ci incontreremo, ce ne occupiamo noi…” gli avrebbero detto sottovoce, vigliaccamente. Solo una bravata o l'anticamera della tragedia? 

 “Il Chicharón è uno di quelli che lo aveva minacciato… un delinquente di qua. C'è una cosa… tutto il mondo dice di volere che si faccia giustizia. Io rispondo che è importante che si trovi il colpevole di un delitto. I fatti della criminalità avvengono nell'oscurità, non si sanno. Non sempre, però … Io dico che un giorno si saprà chi è stato o chi sono stati i mandanti. Benissimo, è giusto… ma noi… la vita di nostro figlio… lui non è più nel mondo. Allora che parlino, che dicano i nomi… cosa possiamo dire loro, che Dio li perdoni. Ci sono stati molti crimini politici qui. Mio figlio però non era politico”.

Francisco Pecci chiude gli occhi per un paio di secondi. Il suo silenzio è eloquente. Ma subito, come in un impeto, parlando ed alzando il pugno destro, ci sorprende con un annuncio, con espressioni che sono un canto alla vita, forse un omaggio - il più sincero, il più nobile, il più disinteressato - per quello che lui ha significato per lui come figlio, come amico, come cittadino, come procuratore e come persona.


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“Mio figlio ha versato il sangue per difendere il Paraguay giusto e  lo dico in ogni occasione e sempre, e sto scrivendo  un libro, su mio figlio che  è un martire della patria. Con orgoglio e con tristezza. E la moglie è una donna molto centrata, gente molto dignitosa. La madre è oriunda di Caraguatay, gente molto dignitosa, bravissima gente. Lei curerà bene il mio figlioletto (ndr: suo nipote), magari io vivo un pochino ancora per vederlo crescere. Noi siamo devastati dalla tristezza. Mi dicono che ho tanta forza per la mia età ma il dramma si vive dentro”.  

Ma c’è di più, perché con Francisco Pecci parliamo dei giovani e per questo si rivolge a loro, frontalmente e senza giri di parole, delineando alcuni parametri, alcuni modelli che alludono al bene, al male, al denaro, al realismo, al pessimismo, all'ottimismo ed al materialismo. Un ventaglio di visioni inevitabile dopo una chiacchierata che ha affrontato l’intimità ed i particolari di un fatto che ha colpito il mondo intero e che ha messo in lutto una famiglia. Una famiglia che affronta il dolore stoicamente. Francisco nella casa nella quale ci troviamo; la madre di Marcelo nella sua; e Claudia, con il suo piccolo figlio, nella sua casa. La casa alla quale Marcelo non potè far ritorno quel giorno di maggio straziante, crudele e devastatore. 

"Che messaggio posso dar loro io come padre di un assassinato? Potrebbero dire che c’è ottimismo, pessimismo e realismo. Mi piace essere sempre realistico e non bisogna dire 'si, dobbiamo avere fede'. Io, ormai in pensione, l’ho sempre detto nelle università nelle quali ho insegnato per 20 anni diritto civile. Io l’ho sempre detto e una volta un evangelista mi ha risposto: io sostengo che il male si impone al bene, da sempre. Disgraziatamente. La gente di alta classe è la gente decente, non quella che ha denaro. Si vale per quello che si è non per quello che si ha e c'è molto materialismo nella maggior parte della gente. Denaro, denaro, denaro. Quindi che cosa vuole che gli dica un vecchio come me? Non credo. Io non credo, io ho detto ciò ed una pastorella di Abreu - mi scusi, religione a parte -, mi disse: 'Professore, io credo che lei non è nel giusto quando dice che il male si impone al bene'. Io sono realistico, io non credo - non so in altre epoche - che questo cambi. "Non credo." 

Potremmo proseguire su questa linea, di credere che non cambierà niente in questo panorama di malvagità criminale, ma noi apprezziamo qualcosa di più sostanzioso come può essere la lotta quotidiana, dalla nostra trincea del giornalismo come fece Marcelo Pecci  ma dalla sua trincea della procura. E farlo gli costò la sua vita. Come costò la vita a venti giornalisti, l'ultimo Humberto Coronel (in Pedro Juan Caballero) ed il primo Santiago Leguizamón alla fine della dittatura di Stroessner. 

“Santiago Leguizamón lo conoscevo di vista, era sposato con una mia parente, Ana María Morra, eccellente persona. Stava là con la radio a Pedro Juan e lo crivellarono con 30, 40 pallottole. Alcuni dissero che egli parlava di troppo e lo avevano avvisato ma non so la verità. Lui è un altro martire del giornalismo tanto che il 26 aprile, giorno in cui morì, è stato consacrato come giornata del giornalismo in Paraguay. Come il 10 maggio per il procuratore Marcelo Pecci. Io posso dire che quel ragazzo, mio figlio, ha molto di mio padre nei suoi geni, senza scartare l'altro mio suocero, già morto, che fu un grande signore, o altri parenti. No. 'Voi avete formato quel ragazzo', mi disse Carlos Acha Stewart, padre di Sebastián Acha Brillante, compagno ed amico di mio figlio, 'Voi, Francisco,  avete formato quel ragazzo'. Sì, lui ha camminato con me fino a che, poverino, non ha avuto più a disposizione del tempo." 

"Nel campo sportivo è stato un dirigente onesto del club Guaranì. La gradinata dello stadio Rogelio Livieres, nella prossima assemblea di fine anno, sarà nominata Marcelo Pecci. Nella scuola San José i compagni hanno eretto un monumento in palestra e gli hanno cantato ‘Patria cara’ nel locale dove si trovano i nomi di tutti i caduti nella guerra del Chaco. In questo senso il paese paraguaiano lo ha pianto. Non dico tutti, ma il paese paraguaiano lo pianse." 

In realtà lo piangiamo tutti. In realtà la sua sparizione fisica ha commosso tutti. In realtà col suo lavoro di procuratore Marcelo ci rappresentava tutti. Ed il colpo assestato dalla criminalità lo abbiamo accusato tutti. 

Quindi la resistenza la faremo - la stiamo facendo - tutti.

Foto © Leandro Gomez/Our Voice

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