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Transizione ad una democrazia censurata - Prima parte

In Paraguay, il mese di settembre è iniziato con un nuovo colpo alla libertà di espressione, in particolare alla libertà di stampa: l'assassinio del giornalista Humberto Andrés Coronel Godoy. Ucciso con dieci colpi, sparati a bruciapelo dal sistema vile dei sicari, una delle componenti elementari di quello che la stampa libera internazionale definisce narco-stato. Una struttura ibrida, figlia della logica clandestina della dittatura stronista, dipendente dal denaro illegale e dell'ascesa di un modello economico neoliberista.
Sono già venti i giornalisti assassinati in Paraguay per mano della criminalità organizzata – oramai palesemente transnazionale -, dalla caduta del dittatore Alfredo Stroessner fino ad oggi. Un tragico conteggio iniziato con Santiago Leguizamón nell’ottobre del 1991.
Questa fase “democratica” incominciò per mano di un repressore golpista, come il generale Andrés Rodríguez il quale, oltre ad essere consuocero di Stroessner, è stato il grande benefattore del narcotraffico nel paese. Una tappa che vide numerosi colpi di stato antidemocratici, e che raggiunse l’apice con il colpo di Stato contro l'ex presidente Fernando Lugo. Un colpo che esordì con un massacro, quello di Curuguaty, all’insegna di deviazioni investigative, menzogne e false notizie, riflesso di una democrazia condizionata dove la libertà di espressione e di stampa è fortemente assoggettata e censurata. 

“Preferisco la morte fisica e non la morte etica”
Il 26 aprile del 1991, Santiago Leguizamón divenne il primo giornalista assassinato dalla criminalità organizzata durante la cosiddetta democrazia. Santiago denunciò la presenza della mafia nella regione di Pedro Juan Caballero, una città di frontiera baluardo del contrabbando internazionale, che dalla fine degli anni ‘60 cominciò a trasformare la sua fisionomia per diventare gradualmente una zona alla mercé dei narcos. Santiago ricevette continue minacce che non riuscirono a condizionarlo, per questo motivo affermava: “Preferisco la morte fisica e non la morte etica”.
Il punto focale delle sue denunce si incentrava sulla figura di Fahd Jamil Georges, noto come il “Padrino della Frontiera”. Un capo narcos che faceva affari sia in Brasile che in Paraguay, con stretti vincoli con le dittature di entrambi i paesi, le quali garantivano le sue operazioni. Fahd Jamil era inoltre un grande trafficante di armi. Per i famigliari di Santiago non ci sono mai stati dubbi che fosse coinvolto nel suo assassinio. Fahd Jamil – che diede un supporto economico a Horacio Cartes quando questo era un giovane “imprenditore” -, rimase latitante della giustizia del Brasile, per arrendersi finalmente nel 2021, oramai anziano, senza possibilità di scontare una condanna in maniera tradizionale. Nonostante le molteplici denunce, non è mai stato indagato per l'omicidio di Santiago.

“Zona mafiosa”
Calixto Mendoza aveva 21 anni quando fu trovato morto sul ciglio di una strada rurale nella zona di Yby Yaú, nel dipartimento di Concepción. Era il 2 marzo del 1997, durante la presidenza di Juan Carlos Wasmosy, lo stesso che si rifiutò di investigare a fondo sulle circostanze del magnicidio del generale Ramón Rosas Rodríguez, l’allora direttore della segreteria antidroga, in possesso di informazioni e nomi della narcopolitica paraguaiana.
Calixto era il conduttore del programma radio 'Mateando Feliz', dove diede specialmente voce ai contadini dissidenti nella storia ufficiale. Il giovane disse che la zona era una “mafia raity”, una zona mafiosa, dove imperavano le regole del narcotraffico. A causa di queste denunce aveva ricevuto numerose minacce. Secondo le testimonianze dell'epoca, il suo corpo mostrava evidenti segni di soffocamento; tuttavia, ufficialmente, sembrerebbe che sia morto per un incidente stradale. Le prove sul suo caso, sotto custodia della polizia, sono andate perse. E così, le denunce di Calixto furono messe a tacere.

“Mangiare terra”
Il giornalista Jorge Elías, ricorda che Yby Yaú significa letteralmente mangiare terra, anche se alcune persone del luogo lo utilizzano per riferirsi ad una biscia nera. Entrambi gli usi mettono in luce la durezza e i rischi di un territorio abituato, purtroppo, alla violenza. Benito Ramón Jara aveva 37 anni, lavorava in una radio locale e svolgeva anche alcune attività commerciali per sopravvivere. Il 13 aprile del 2000, Benito stava viaggiando sulla sua motocicletta quando gli spararono contro sei colpi: quattro lo colpirono al petto e due in testa. Morì sul colpo.
I suoi parenti cercarono di minimizzare l’accaduto e negarono qualsiasi collegamento tra la morte di Benito e i narcos. Ma dal Sindacato della Stampa non venne scartata alcuna opzione, nonostante le indagini non siano avanzate in alcun modo. “Su Jara non abbiamo molti dati – ebbe a dire Julio Benegas, all’epoca segretario generale del sindacato -, era molto poco conosciuto”. Come tanti altri paraguaiani, fu assassinato praticamente nell'anonimato.

Medina, la famiglia paraguaiana che mostrò il volto della narcopolitica
Pochissimi degli omicidi di giornalisti hanno avuto una risoluzione giudiziaria. Solo in alcuni casi è stato possibile identificare i sicari e, nella maggioranza, solamente in condizione di sospettati. Ancor meno è stato possibile identificare i mandanti, o ideologi che normalmente sono la controparte del sicariato. Per regola generale, il giornalista in Paraguay muore solo, abbandonato dallo Stato che si sottrae al suo dovere essendo, nella maggior parte dei casi, vincolato direttamente al crimine.
Salvador Medina aveva 20 anni quando fu assassinato per mano della criminalità organizzata. La sua vita è stata segnata dalla rivendicazione e ricostruzione della cultura, dell'arte come strumento di trasformazione, e dall'attivismo sociale e civile come percorso verso la giustizia. Salvador era un giornalista al servizio della sua comunità. Un giornalista che denunciava le bande di contrabbandieri, colluse con elementi dello Stato che operavano, in quel tempo, nella zona di San Pedro.
Salvador fu assassinato il 5 gennaio del 2001 da un sicario chiamato Milciades Maylin, che ha scontato la sua condanna ed attualmente è libero. Maylin non ha mai collaborato con la giustizia per identificare chi gli aveva commissionato l’omicidio. Lui stesso non aveva alcuna motivazione per farlo. Innegabilmente fu un omicidio su commissione.
L'assassinio di Salvador non è stato ignorato allo stesso livello di altri, grazie alla lotta della sua famiglia, specialmente di suo fratello, il nostro compagno Pablo Medina, che, essendo giornalista della stampa nazionale, riuscì, dalla sua posizione a dare visibilità al caso. La famiglia Medina ha proseguito nell'opera di sensibilizzazione e di denuncia della criminalità organizzata sempre più vicina alla narco-politica. Nel dicembre 2002, i Medina hanno subito la violenza del sistema nella loro stessa carne. Salomón, uno dei fratelli, educatore ed attivista, fu assassinato vigliaccamente. Ma la famiglia, i fratelli Medina, non si intimorirono e continuarono, ognuno dalla propria posizione, a lottare. 
Il 16 ottobre del 2014, le connessioni tra i narco e la politica vennero svelate. Quel giorno, il sindaco di Ypejhú, Vilmar Neneco Acosta - membro del Partito Colorado, sostenuto politicamente dalla deputata Cristina Villalba, capogruppo del ‘cartismo’ quando Horacio Cartes era presidente -, coordinò i sicari che diedero morte al fotoreporter in quel momento accompagnato dalla sua assistente Antonia Almada. Nonostante la giustizia, paraguaiana e brasiliana, riuscì ad ottenere condanne contro i sicari e l'ex sindaco, non si è ancora indagato sulle reti di protezione politica del clan Acosta che opera nella frontiera da oltre 30 anni.

Yamila, assassinata in un commissariato. Un crimine di Stato?
Yamila Cecilia Cantero Cabrera
, una giovane giornalista e studente di diritto di 24 anni, fu assassinata presso un Commissariato nella località di San Patricio, dipartimento Misiones. Yamila morì dopo essere stata colpita al volto con una rivoltella calibro 38. Era Luglio del 2002, epoca in cui la regione attraversava una galoppante crisi economica frutto della corruzione strutturale del sistema politico ed imprenditoriale. Il proprietario dell'arma era il sottufficiale maggiore Abel Antonio Martínez Verón, di 42 anni, che giaceva morto con uno sparo in testa vicino a Yamila.
Entrambi i corpi furono ritrovati in una stanza che i poliziotti hanno dietro il commissariato. I sottufficiali Gerardo Garcete e Daniel Morínigo, presenti al momento dei fatti nel commissariato, non sentirono nessuno dei due spari. Qualcosa di impossibile. Rapidamente però venne ricostruita la versione ufficiale e la stampa diffuse la teoria dell'assassinio seguito da suicidio.
L'assassinio di una giornalista, una donna, all’interno di un Commissariato paraguaiano con almeno tre ufficiali, senza la presenza di nessun capo, fu catalogato come un crimine passionale. Si può mai non considerare questo un crimine di Stato?

Colpito nella frontiera
La linea divisoria tra lo Stato brasiliano di Mato Groso ed i dipartimenti paraguaiani di Concepción, Amambay e Canindeyú, più che una frontiera che divide due paesi è una strada che collega le coltivazioni di droga dell'altopiano con i porti dell'Atlantico dove si dissangua l'America latina. I passi confinanti sono densamente popolati e la corruzione strutturale è cultura. Quelle piccole località di frontiera - divise da una strada che cerca di separare due paesi, due culture, due sistemi giuridici e due sistemi di dogane, tra altre cose -, sono cooptate per la logica del crimine organizzato. Sono dominate da un sistema politico feudale che niente ha di democratico.
Samuel Román aveva 36 anni, era brasiliano. Giornalista da almeno due decenni, negli ultimi tempi si era impegnato politicamente con il Partito Democratico Laborista. Samuel viveva e lavorava sulla frontiera, nelle località gemelle di Capitán Bado, al confine paraguaiano, e Coronel Sapucaia, dal lato brasiliano. Il 20 aprile del 2004 - mentre Samuel camminava sul viale -, quattro individui a bordo di due motociclette, lo inseguivano da vicino per ucciderlo. Uno di loro, legato direttamente a Fernandinho Beira Mar, lo storico capo brasiliano, uno dei fondatori del Comando Vermelho. Beira Mar fu uno dei pionieri delle narcobande brasiliane in Paraguay, dove affermò il suo impero di traffico di droghe, ma principalmente traffico di armi che, necessariamente, lo collegava alla casta militare, con tutto ciò che questo implica.
L'attacco contro Samuel Román fu diretto, veloce, spietato e soprattutto codardo. Dieci colpi alla schiena misero fine alla vita del brasiliano.
Per il suo assassinio fu processato e trovato colpevole l'ex sindaco di Coronel Sapucaia Eurico Mariano, considerato mandante del crimine. Le complicità di Mariano con il crimine organizzato erano uno dei principali punti della denuncia di Román. A Mariano fu sufficiente attraversare la strada per evitare la condanna e la prigione. Fu fermato solo nel 2017, a Capitán Bado, sul confine paraguaiano, per avere dei documenti falsi, considerando che avendo delle condanne a suo carico in Brasile (una ne 2008, un'altra nel 2011 ed una terza nel 2015), non poteva rinnovare in maniera legale la sua documentazione, senza essere catturato. Assassino di giornalisti, ma arrestato per un affare burocratico.

Foto tratta da sipiapa.org 

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