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Ad otto anni dal suo assassinio Antimafia Dos Mil ricorderà il giornalista in Paraguay

“Tutti i giovani possono svolgere un ruolo molto importante, molto differente, perché i giovani di oggi sono molto più svegli in quanto alla corruzione. Uno già a tenera età si rende conto di come è il nostro paese, dove purtroppo abbonda la corruzione. Indubbiamente la maggior parte dei giovani possono apportare un cambiamento in quanto alla corruzione, la narcopolitica e su tutte le ingiustizie che ci sono nella nostra società”.
Marianela aveva 21 anni quando aveva pronunciato queste parole nell'intimità della sua casa a Curuguaty, in un'intervista rilasciata al nostro corrispondente, l'ex pm Jorge Figueredo, nei primi giorni di dicembre dell'anno scorso.
La pelle di Marianela rifletteva un'eterna gioventù, in contrasto con la profonda tristezza del suo sguardo evasivo. C’era una certa regalità nella sua postura.
Marianela è la figlia di Pablo Medina, il fotoreporter paraguaiano assassinato vilmente dalla narcopolitica il 16 ottobre 2014, insieme alla sua assistente Antonia Almada. Pablo ed Antonia erano stati uccisi in un’imboscata in una strada rurale da sicari del Clan Acosta il cui leader, Wilmar 'Neneco' Acosta, era il sindaco di Ypejhú, una piccola località confinante con il Brasile, nel dipartimento di Canindeyú, una regione regno del crimine organizzato. Lì la cultura del contrabbando la politica convivono con il narcotraffico. Neneco era membro del Partito Colorado, ed era sostenuto politicamente dalla deputata Cristina Villalba, uno dei pilastri della struttura narcopolitica di Horacio Cartes.
L'assassinio di Pablo era conseguenza diretta del suo lavoro come giornalista, della sua partecipazione cittadina, della sua ricerca di giustizia. Pablo è stato assassinato perché lasciato solo dallo Stato e dalla grande stampa. E come abbiamo sempre sostenuto, lasciare da solo un giornalista latinoamericano condannato a morte dal crimine organizzato, più che abbandono è complicità.
Abbiamo conosciuto Marianela quando era ancora una bambina, durante le giornate di protesta e di rivendicazione di giustizia per l'assassinio del nostro compagno di redazione e della sua giovane assistente. In occasione di un evento in piazza ‘I 34 Curuguateños’, Marianela, accompagnata da suo piccolo fratello, con la stessa sicurezza nella sua voce, disse: “Siamo ancora bambini, ma quando saremo grandi avremo gli strumenti per denunciare le ingiustizie”.
Otto anni sono passati da quel primo viaggio che le redazioni di ANTIMAFIADuemila di Italia e di Antimafia Dos Mil Sudamerica abbiamo realizzato in terra paraguaiana. Un viaggio di lavoro giornalistico e di militanza, per unirci ai nostri compagni della redazione paraguaiana, ai giovani attivisti di Our Voice ed ai famigliari, sotto il grido di “Giustizia per Pablo”.





Sicari di frontiera
Il 16 ottobre 2014, presto, Pablo iniziò quello che sarebbe stato il suo ultimo viaggio. Partì da Curuguaty destinazione Villa Ygatimí, dove avrebbe incontrato le sorelle Ruth ed Antonia Almada. Insieme girarono tutta la mattina nei paraggi di Crescencio González e Ko'e Pora, intervistando i contadini della zona sullo stato delle coltivazioni. Pablo conosceva da sempre la regione. La sua famiglia, i suoi fratelli, avevano vissuto, lottato e morto in quelle terre, difendendo il diritto a vivere in pace. In gennaio del 2001, il crimine organizzato assassinò Salvador Medina, il fratello maggiore di Pablo il quale esercitava anche lui il mestiere del giornalismo; quel giorno suo fratello Gaspar salvò miracolosamente la propria vita. A dicembre del 2002, la famiglia Medina viene colpita nuovamente. Digno Salomón, docente ed attivista, fu assassinato ma le dinamiche non sono mai state chiarite, si presume fosse coinvolto il crimine organizzato.
Il veicolo, guidato da Pablo, avanza lungo la strada rossa lasciando una stele di polvere al suo passo. Il percorso è sinuoso e pieno di buchi, un fedele riflesso della vita degli abitanti di quei paraggi dimenticati. Arrivando alla colonia Itanarami, dopo aver superato una curva, vengono intercettati da due individui, Wilson Acosta Marques e Flavio Acosta Rivero, entrambi sicari del clan Acosta, che probabilmente quella mattina e magari da giorni prima stavano pedinando Pablo. In ogni momento i sicari comunicano tra loro per telefono per dare via all’agguato, ed anche con Neneco che, da Ypejhú, a 50 km. di distanza, coordina le azioni. La situazione è chiara, le investigazioni di Pablo sul clan Acosta stavano strappando il velo che copriva, e copre anche ogg, i vincoli tra i narcos di frontiera e la politica ‘colorada’. La decisione, non è dato sapere presa da chi e quando, viene affidata Neneco che perderà il suo incarico istituzionale, la sua corsa politica e la sua libertà per questo crimine. L'assassinio di una figura conosciuta, di un magnicidio per dirlo in qualche modo, è impossibile da occultare, e ci sarà sempre chi pagherà i piatti rotti dal sistema criminale integrato. Chi e cosa avranno promesso agli Acosta per portare avanti questo vile incarico?
Pablo frena, forse considerando che i due individui erano militari, forse sapendo chi erano, ma sperando che questa fosse solo una delle tante minacce che aveva ricevuto negli anni. Wilson si avvicina allo sportello del camioncino, impugnando un’arma lunga, e chiede: “Sei Pablo Medina, il giornalista di ABC Color?”. Pablo afferma, ed istantaneamente i sicari eseguono l’ordine sparando più volte. Pablo prova a dire “non sparate”, praticamente muore sul colpo; Antonia agonizza alcune ore. Ruth, rimasta nascosta nel sedile posteriore, salva la sua vita, e riesce a lanciare l’allarme.

Il clan Acosta
Per anni la famiglia Acosta, con la violenza, aveva esteso il suo potere di Ypejhú, una piccola località confinante con il Brasile dove una linea di terra segna la frontiera disegnata nella mappa, dividendo la località dalla sua gemella brasiliana, Paranhos. In pratica, al di là della cartografia politica, il paese è uno solo. Gente che va e viene, mercanzie che vanno e vengono, contrabbandieri e contrabbando che vanno e vengono. Sicari vanno e vengono. Questa realtà più regionale che binazionale sarà dimostrata al momento della cattura dei responsabili materiali dell'assassinio di Pablo e Antonia che subito avevano attraversato la frontiera fuggendo in Brasile, rimanendo, almeno momentaneamente, al margine degli investigatori paraguaiani.
Dagli anni ‘80, il clan Acosta – guidato al tempo dal padre di Neneco, Vidal Acosta -, si trasformò in una delle tante cellule del Primo Comando Capitale (PCC) che per anni si aprì passo tra la folta Amazzonia, per arrivare all'altopiano, da dove nasce una delle monete più forti del capitalismo: la cocaina.
Verso il 2010, oltre una ventina di assassini vengono attribuiti al clan Acosta ormai guidato da Neneco, che riesce a fare un salto di qualità nelle relazioni dei narcos con la politica: piazzare uno di loro all’interno delle istituzioni. Neneco assume l’incarico di sindaco nel 2010 ed il suo mandato si estende fino al 2015. Il sostegno politico ricevuto dalla deputata Cristina Villalba – una delle principali figure del sistema nel dipartimento di Canindeyú, allineata completamente al modello politico di Horacio Cartes -, è trascendentale per il consolidamento del clan Acosta e della sua aria di impunità. Nessuna banda di sciacalli sopravvive senza il sostegno dell'apparato politico giudiziale. Non c'è altro modo.  
Nel 2015 c'erano nuovamente elezioni ed Acosta pretendeva mantenere il potere. Il Partito Colorado, ovviamente, lo sosteneva. All’opposizione c’era Julián Núñez Benítez, che era già stato sindaco, si presentò nuovamente come candidato. Il clan Acosta non fece alcun passo indietro, e senza mezzi termini, giustiziò Núñez il 1° agosto 2014. Un crimine che secondo sua moglie Fanny Fernández, sarebbe rimasto nel cassetto se non fosse stato per le indagini di Pablo.  





Il clan Acosta rimase ancora impune e giustiziò Medina e Almada, e nuovamente grazie al giornalismo, in questo caso internazionale, il crimine non è rimasto insabbiato e ci ritroviamo nuovamente qui.
Secondo ABC Color, “giorni dopo il crimine di Pablo, il giudice Javier Díaz Verón, riferì che la deputata Villalba lo chiamò per intercedere per Acosta, allora sindaco di Ypejhú, incluso prima che fosse emesso a suo carico ordine di cattura o fosse già di opinione pubblica il fatto che Acosta era sospettato”, con tutto ciò che implica.

Mettere la museruola agli sciacalli
“La mafia senza la politica sarebbe sola una banda di sciacalli”, ebbe a dire il capo storico di Cosa Nostra Toto Riina che morì in silenzio, in un regime di carcere duro, dopo una lunga condanna essendo stato dichiarato responsabile dei massacri dei ‘90, tra altrettanti crimini aberranti. Toto Riina, fedele alla sua tradizione, non parlò mai; ciononostante rimase sempre operativo, dosando sempre messaggi e segni, è rimasto sempre legato alla mafia. Se non c’è un esplicito pentimento e una collaborazione con la giustizia, il mafioso non smetterà mai di essere mafioso.: accetterà le sbarre imposte dallo Stato, e la museruola imposta dalla mafia.
La prima cosa da considerare è che le investigazioni portate avanti dal procuratore Sandra Quiñonez, per definire le responsabilità nel crimine di Pablo ed Antonia, si sono limitati al clan Acosta che funzionava nella pratica come un parafulmini del sistema criminale. Non ci furono indagini sulle connessioni politiche ed economiche del clan Acosta. Oltre 30 anni trafficando ed assassinando nella regione senza una rete di imprese che ricicli il denaro e senza legami politici? Come dicevamo, per i funzionari di governo, responsabili dell'investitura statale, l'inoperosità, l'incapacità ed il silenzio su certi temi, più che abbandono, è collusione.
Il 4 marzo del 2015, Wilmar Neneco Acosta venne arrestato a Caarapó, Brasile, dopo diversi mesi di latitanza. La sua estradizione sarebbe arrivata appena a metà novembre, un tempo sufficiente per far calare l’attenzione dell'opinione pubblica e blindare le investigazioni. Dopo un processo express, è stato condannato e dovrà scontare una condanna a 39 anni di prigione; a fine pena avrà compiuto 84 anni.
Fu Wilson Acosta Marques a premere il grilletto del fucile che distrusse il volto di Pablo. Fu fermato a maggio del 2020 in Brasile. La sua estradizione fu negata dal governo brasiliano perché aveva la cittadinanza brasiliana, e la legislazione non permette estradare i propri connazionali. A dicembre di quello stesso anno, nonostante il Ministero Pubblico paraguaiano fosse contrario, gli fu concesso una sorta di libertà condizionale, con l’obbligo di presentarsi volontariamente in mensilmente in un commissariato e non potere assentarsi dal suo domicilio per oltre una settimana.
Da parte sua, Flavio Acosta Rivero, che inseguì Pablo quel giorno e gli sparò contro anche lui con la pistola, fu catturato anche lui in Brasile, a gennaio del 2016, dopo che la sua compagna lo denunciò per violenza domestica. Anche Flavio aveva cittadinanza brasiliana, per cui anche la sua estradizione fu negata. Tuttavia, grazie ad accordi di collaborazione di polizia e giudiziale tra Brasile e Paraguay, fu processato da un tribunale brasiliano, con giuria popolare, per i crimini commessi in territorio paraguaiano. È fu infine condannato negli ultimi giorni dell'anno scorso a 36 anni di prigione per il duplice crimine di Pablo ed Antonia.
Per concludere, fu anche condannato Arnaldo Javier Cabrera López, autista di Neneco, accusato di essere stato a conoscenza della preparazione ed organizzazione del crimine e di non avere avvisato le autorità. La pena è stata di cinque anni di prigione. Questo significa che attualmente è libero, dove? Pochi lo sanno.
Oltre le abissali differenze tra Toto Riina ed i sicari di Pablo, c'è qualcosa che lega. Come fosse una certa “imitazione” della mafia, ci disse in suo momento Juan Pablo Escobar su suo padre - il capo narco più famoso della storia, Pablo Escobar - che ammirava ed imitava la logica di Cosa Nostra.
Organizzazioni criminali portatrici di logiche da massoneria deviata, al servizio di un unico sistema criminale. Affrontare in modo giudiziario e politico le cause di una malattia, e non gli effetti, è un concetto che devono aver presente nei funzionari del bene che rappresentano lo Stato e che pretendono di rappresentare il paese.

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