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Le prime 28 unità saranno consegnate nel 2023

Dopo i recenti sviluppi nel campo delle armi ipersoniche da parte di Cina e Russia, gli Stati Uniti sono decisi più che mai a sviluppare e rendere operativa una efficace rete di difesa per contrastare le minacce missilistiche più avanzate.
A seguito dell’impiego operativo di missili ipersonici da parte di Mosca nella guerra in Ucraina ed i test missilistici cinesi degli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno dichiarato di voler lanciare satelliti in orbita per incrementare la propria capacità di contrasto a questo tipo di arma. I satelliti saranno consegnati dalle aziende produttrici in varie serie: la prima conterà 28 unità, che saranno lanciate nello spazio entro marzo del 2023 e secondo alcuni funzionari della agenzia per lo sviluppo spaziale riferiscono conterà 54 nuove piattaforme satellitari. Nel merito l’agenzia aveva già assegnato qualche anno fa, contratti per la produzione di 4 satelliti alla L3harris e SpaceX.
La necessità di questi nuovi satelliti è data dalla natura di un missile ipersonico, che, a differenza di un balistico, è capace di deviare la propria traiettoria ed eseguire manovre molto più articolate, rendendo l’intercettazione molto più complicata.
I satelliti statunitensi avranno il compito di rilevare i cambi di calore nell’atmosfera terrestre a varie altitudini, con lo scopo di monitorare tutto il globo e, nell’evenienza di un lancio, poter seguire il missile il prima possibile, calcolando costantemente la traiettoria di impatto prevista.
Non è chiaro quante aziende siano state contattate per la gara d’appalto delle prossime serie, una cosa certa è che nei prossimi anni vedremo molti più lanci e test di sistemi satellitari di monitoraggio antimissile.
Il ruolo dei nuovi satelliti nell’ambito dell’intercettazione dei missili balistici ed ipersonici è molto importante, ma al tempo stesso, avere tutte le informazioni su un lancio non è sufficiente: c’è bisogno di un vettore che ingaggi e neutralizzi la minaccia concretamente; al momento gli Stati Uniti non dispongono ufficialmente di mezzi adeguati per distruggere un missile ICBM nella sua prima fase (boost), e posseggono solo 3 sistemi principali per intercettare missili nella fase 2 (midcourse) che richiedono una certa vicinanza al missile ed hanno comunque limitazioni. Nella fase terminale gli Stati Uniti possono intercettare solo missili a raggio corto, medio ed intermedio e non missili intercontinentali per via della velocità elevata delle testate che rientrano in atmosfera (velocità superiori a mach 24). L’unico sistema rimasto per intercettare ICBM in fase terminale consiste nell’utilizzo di un missile intercettatore dotato di una testata nucleari di bassa potenza esploso in atmosfera nella vicinanza del bersaglio. Risulta quindi estremamente difficile intercettare missili ipersonici, che nonostante una minore velocità riescono ad eseguire manovre evasive che richiedono dei sistemi che almeno ufficialmente non sono ancora in uso ufficialmente nelle forze armate statunitensi.

Foto: it.depositphotos.com

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