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"Contro la storia ufficiale noi siamo la memoria e la resistenza"

Impattante l’intervento del movimento Our Voice dinanzi l'Ospedale Militare

Quella notte qualcosa cambiò. Un progetto che dopo un secolo e mezzo di tentativi e frustrazioni si trasformò quel 27 giugno del 1973 nella installazione di un nuovo culto: il culto della impunità. Da quel momento tutto sarebbe stato concesso, bastava che fosse in nome dello Stato e che rispondesse a ordini precisi. Ma ci sono sempre stati i ribelli che non hanno accettato l'imposizione della ingiustizia e che hanno sempre fatto muro contro l'incostituzionalità viziata, contaminata, sgretolata dal detto: il fine giustifica i mezzi.
E così ha funzionato fino ad adesso. Ma le strade sono divenute eco della ribellione e delle resistenze che, in quegli anni, hanno intimorito gli imprenditori al punto che questi dovettero allearsi con le Forze Armate per togliere di mezzo un popolo vivace e combattente. E quella paranoia, che stava nascendo tra i conservatori, i proprietari terrieri, gli uomini potenti delle istituzioni e la massoneria deviata, finí col partorire l'impunità.
Quella stessa notte, in seguito allo scioglimento delle Camere e l'annuncio del golpe militare da parte del presidente Bordaberry, il popolo realizzò una resistenza congiunta, unita, forte che si materializzó, di lì a poco, in uno sciopero generale che durò 15 giorni. Da quel momento sorella impunità è stata più potente di sorella resistenza. Forse perché caratterizzata da una differenza fondamentale: la forza con cui ognuna si alimenta e si mantiene.
Oggi la resistenza è uscita per le strade a gridare che continua ad essere presente. A manifestare che non dimentica, perché dimenticare alimenta l'impunità mentre le grida danno forza alla resistenza.


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Quella resistenza si è manifestata attraverso centinaia di persone che si sono riunite, intorno alle 18, nel Memorial de los Estudiantes, di fronte al liceo Dàmaso. La convocazione è stata indetta da decine di collettivi ,sindacati e movimenti sociali, tra i quali figurava la nostra rivista Antimafia Dos Mil ed il Movimento Culturale Internazionale OUR Voice che, con la sua denuncia attraverso una rappresentazione molto forte per il suo contenuto e per il luogo in cui è stata realizzata, ha emozionato fino alle lacrime.
All'inizio della manifestazione hanno parlato membri dei sindacati studenteschi, del Coordinamento 27 de Junio, amici e persone vicine a studenti noti, come Ibero Gutiérrez, assassinato in quei giorni, e Silvia Bellizzi, sorella di Andrés, desaparecido durante la dittatura. La marcia ha cominciato il suo percorso  dall’ospedale SMI (Servizio Medico Integrale), dove anni prima era in funzione Impasa, proprio nel luogo dove in quei giorni torbidi fu deciso lo sciopero generale dalla CNT. Sin dal principio e durante tutta la marcia, nei vari punti, vi era musica e le messe in scena del Collettivo di ‘Acción Callejera Antirrepresiva’ che, con la sua arte, ha animato con energia la manifestazione.
L'avanzare del corteo, pieno di cartelli, canti ed energia, si è fermato in un punto importantissimo dove si è assistito a qualcosa di molto impattante: il momento del parto dinanzi l'Ospedale Militare.


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Il movimento Our Voice ha realizzato una rappresentazione sorprendente, proprio davanti alle porte di questo edificio che, durante la dittatura, ospitò molti uomini e donne torturati e feriti gravemente, consumati fisicamente dalle vessazioni e dalle violenze inflitte loro dai militari durante gli interrogatori. Uomini e donne disintegrati fuori e dentro.
Un intervento che ha meritato massimo rispetto da parte dei manifestanti che si sono seduti tutt'intorno e con attenzione   hanno filmato ogni momento con le loro telecamere.
Forse la cosa più sconvolgente dell'intervento è stato che questo gruppo di giovani, ad un certo punto, hanno portato una barella. Si, una barella, con sopra una donna in procinto di partorire. Una partoriente che, attaccata da un mostro nero uscito da sotto il letto, perde il suo bambino perché l'essere macabro, con lunghi artigli, manto nero e cappello militare, glielo porta via.
Quante donne hanno dovuto subire questa disgrazia incommensurabile, all’interno dell'Ospedale Militare. Conosciamo solo il caso di Macarena Gelman, ma siamo convinti che ce ne sono stati tanti altri. Immagini così forti da vedere che hanno risvegliato la consapevolezza facendo capire che quanto stavano vedendo, seppure con un certo simbolismo, faceva loro rivivere quello che realmente è accaduto. Ma anche la resistenza, perché la donna che aveva partorito si alzava ed era sostenuta da altre donne che uscivano da sotto il letto. Quelle donne rappresentavano la resistenza che incarnavano tutti quegli uomini e donne sequestrati durante il loro passaggio in quelle stanze di ricovero, soprattutto la tenebrosa camera 8 dove in molti hanno perso la vita. Proprio per questo la rappresentazione si chiama “Sala 8” in ricordo ed in omaggio del vissuto e dell’esistenza di quelle persone che si trovarono lì, alcune per esalare l'ultimo respiro, altre per resistere nonostante tutto.


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Il pianto, le grida di approvazione, gli applausi sono stati il segnale che il messaggio era arrivato a tutte le persone presenti, che osservavano, che presenziavano e che si sono lasciate commuovere, emozionare e che porteranno con sé una immagine che rimarrà impressa nei loro occhi senza alcun dubbio.
Le parole pronunciate dagli organizzatori della marcia hanno accompagnato il commovente scenario:
“Cosa si suppone che debba esservi dietro le porte di un ospedale? Speriamo che ci siano medici ed infermieri al servizio di chi  vi entra, per alleviare il dolore, risolvere le infermità, migliorare le condizioni di vita?  Supponiamo che dietro queste porte salvino le vite?”
“No. L'Ospedale Militare era al servizio della morte e della tortura”.
“Era un sinistro ingranaggio al servizio del dolore. Un luogo disgustoso dove i medici hanno messo le loro conoscenze al servizio dei torturatori, dove ti rianimavano solo perché dovevi continuare ad essere interrogato”.
“Veniamo a confrontarci con la storia, con il fuoco. Per bruciare le menzogne. A dar vita alla verità. A fare in ogni modo giustizia per tutti gli uomini e le donne che stavano morendo e furono traditi”.


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Il corteo è arrivato fino al Ministero della Difesa, sulla strada ‘8 de Octubre’, poco prima del tunnel che la unisce con la strada principale montevideana ‘18 de Julio’. Dall'altro lato della carreggiata il liceo n. 8 dove fu assassinato lo studente Santiago Rodríguez Muela durante un'assemblea studentesca l'11 agosto del 1972. In mezzo a questi due luoghi sono passati i manifestanti, e ricordando con le parole il compagno caduto e tanti altri, accusando i responsabili esecutori del massacro e della impunità -quelli conosciuti perché gli altri si nascondono nella omertà- si è conclusa una giornata in cui la memoria ha dimostrato di essere così viva e presente in ogni lotta, ogni anno, in ciascuna persona che resiste.

Foto © Romina Torres/Antimafia Dos Mil - Our Voice

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