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Crimine transnazionale: “Il Procuratore Pecci doveva essere ucciso in qualsiasi parte del mondo”

Comando di polizia e Procura cercano i mandanti, che potrebbero trovarsi in qualsiasi paese

“Uccidere un esponente della giustizia significa generare terrore”, queste le drammatiche parole pronunciate dal vice procuratore Marta Mancera in queste ultime ore durante la conferenza stampa a Cartagena, Colombia, accompagnata dal Procuratore generale della Nazione Francisco Barboza e dal Generale José Luis Vargas Valencia, direttore della Polizia Nazionale della Colombia. Hanno fornito all'opinione pubblica una voluminosa informazione sull’assassinio del procuratore paraguaiano Marcelo Pecci, dopo l’arresto in questi ultimi giorni di cinque persone coinvolte, quattro dei quali (nella causa in corso) hanno ammesso le imputazioni, ma non il quinto.

Nell'incontro con il giornalismo locale ed internazionale sono stati rivelati dettagli sulle procedure della polizia colombiana coordinata con le procure della Colombia e del Paraguay. I punti più salienti: i criminali stavano pianificando l'attentato dal 6 maggio; in un primo momento l'ordine di assassinare Pecci - da parte dei mandanti la cui identità si sta cercando di individuare - era stata dato a membri del Primo Comando Capitale (PCC, in Paraguay) ma l'ordine non fu eseguito perché non c'era la logistica adeguata. L'ordine rimase comunque in piedi e doveva essere eliminato in qualsiasi parte del mondo, infatti è avvenuto in Colombia; la polizia non ha la collaborazione di nessun informatore, ma ha agito congiuntamente con diverse forze di sicurezza; il successo dell'operazione è dovuto ad una tracciabilità tecnica molto efficiente grazie a telecamere di televisione nazionali e private installate in tutta Cartagena; grazie all’esaustivo lavoro degli agenti sono stati raccolti 120 prove che saranno utili per il processo giudiziale che dovranno affrontare i detenuti; un sesto individuo, identificato come Gabriel Carlos Luis Salinas, è fuggito in Venezuela e sarebbe lui ad aver guidato la moto d’acqua fino alla scena del delitto; in un determinato momento i sicari incaricati di seguire Pecci avrebbero perso le sue tracce, per poi individuarlo nuovamente grazie alle pubblicazioni del procuratore sui social; alcuni dei detenuti avrebbero deciso di negoziare la loro situazione processuale collaborando con la giustizia; e al momento si lavora – nel più assoluto riserbo - per identificare e scoprire i moventi del crimine, contando sulla collaborazione congiunta delle forze unite della Colombia, Paraguay e Stati Uniti (la DEA), nell’ambito di un'attività di investigazione senza frontiere. 

Per circa un'ora, le massime autorità della Polizia Nazionale della Colombia e della Procura di quel paese, hanno parlato del caso Pecci di fronte ad una nutrita presenza di giornalisti, rendendo noti ufficialmente dettagli delle indagini e della situazione processuale delle persone coinvolte: Cristian Camilo Monsalve, Eiverson Adrián Zabaleta, Marisol Londoño Bedoya, Wendre Still Scott (che hanno accettato le imputazioni) e Francisco Luis Correa Galeano che le ha rifiutate . 

Il Procuratore generale della Nazione Francisco Barboza ha elogiato vivamente tutte le forze di sicurezza colombiane e di altri paesi che collaborano alle indagini, analizzando meticolosamente i fatti che hanno portato alla sparizione fisica di Pecci, di 45 anni, nell'isola Barú di Cartagena in Colombia, lo scorso 10 maggio di questo anno. 

Una delle rivelazioni fatte dalla massima autorità della polizia ha riferito che i mandanti del crimine del procuratore -al momento non identificati- avevano fatto accordi con elementi del Primo Comando Capitale, ma questi, non disponendo della logistica adeguata, decisero di mantenere l'ordine di eliminarlo “in qualunque parte del mondo” contando sull’appoggio (mediante il pagamento di duemila milioni di pesos) del gruppo criminale che è stato arrestato e smantellato. Quindi è stato scelto di eseguire l’ordine di morte in territorio colombiano. A tale proposito, le autorità hanno spiegato che tutto il piano omicida è stato coordinato dal Primo Comando Capitale del Brasile, ma non hanno fornito ulteriori dettagli. 

È inoltre emerso durante la conferenza stampa che Francisco Luis Correa Galeano (che ha rigettato le imputazioni), avrebbe gestito l’intera operazione, mentre gli altri detenuti hanno accettato le imputazioni a loro carico, mostrandosi disponibili a collaborare con la Giustizia.

Per quanto riguarda il sesto individuo latitante, Gabriel Carlos Luis Salinas, hanno riferito che sarebbe stato lui a portare il sicario che ha ucciso Pecci, a bordo di una moto d’acqua da Playa Blanca fino all’Hotel Decameron, nell' Isola Barú. 

Le autorità hanno asserito che lui ha partecipato in ogni fase della pianificazione del crimine, che ha richiesto circa 22 giorni. “Sono stati controllati circa 20 luoghi, oltre 130 elementi probatori, analizzati, circa 120 ore di video, informazione tecnica di 40 antenne, intercettazione di 67 linee telefoniche, circa 27 interviste e analizzati circa 10 reti sociali”, sottolineando che è stato precisamente attraverso le reti sociali che i criminali hanno rintracciato Pecci di cui avevano perso le tracce durante la fase di inseguimento, e che “ogni pubblicazione non responsabile sui social può diventare un’arma letale”.

È stato inoltre riferito che il giudice Penale di Cartagena ha imputato i detenuti “del reato di omicidio aggravato in concorso con porto d’armi illegale, aggravato in qualità di coautori ed a titolo di dolo”.

Nella conferenza stampa si è fatto accenno alla minaccia di morte che avrebbe proferito uno degli accusati contro il giudice ed il pubblico ministero, e su questo punto il magistrato avrebbe disposto che le persone sarebbero recluse in una prigione di massima sicurezza di Bogotà, con misure di sicurezza ristrette a seguito delle menzionate minacce. 

Il piano omicida sarebbe iniziato il 6 maggio (quattro giorni prima del fatidico giorno 10), e tutti i componenti del gruppo criminale si sono dati appuntamento in un punto determinato di Medellin, della Piazza del Mercado, per organizzarsi, per poi recarsi a Cartagena seguendo dei percorsi diversi. Sono state rilevate circa 32 comunicazioni. Inoltre nella conferenza, è stato riferito che le prove grafiche documentate che hanno permesso di conoscere i movimenti delle persone coinvolte (che saranno acquisite come prove), sono numerose “perché a Cartagena ci sono telecamere dappertutto, al punto che commettere un delitto in quel posto della Colombia è un suicidio giuridico”. 

I sicari avrebbero usato circa 16 veicoli di differenti marche e modelli, che adesso sono allo studio degli inquirenti, e sono state raccolte numerose testimonianze che ratificano i dati già in possesso delle autorità e che riguardano i loro movimenti.  

Le autorità che hanno preso la parola hanno sottolineato l’importante lavoro svolto dalla polizia, a livello scientifico, tecnico e di indagine.  Tutta l’informazione raccolta è ora  a disposizione della giustizia. 

Un altro aspetto affrontato ma non troppo approfondito riguarda i mandanti. L’omicidio si inserisce nel tema del narcotraffico mondiale e del terrorismo mondiale, ammettendo che le menti dietro il fatto di sangue hanno una capacità di azione molto alta a livello internazionale, per questo si presume (e si sta lavorando su questa linea) che i mandanti si trovino in un altro paese, non necessariamente in Colombia o Paraguay. 

Con il passare delle ore, le novità sull’assassinio di Pecci continuano a causare impatto a differenti livelli; in Paraguay, principalmente nel giornalismo - e noi anche – ci chiediamo come mai non siano stati attivati protocolli di sicurezza e protezione di Pecci, nel suo paese dove aveva la sua base per le indagini che portava avanti. 

Da non dimenticare che Pecci aveva come braccio destro nel suo lavoro quotidiano il procuratore generale Sandra Quiñonez, e solo lei avrebbe potuto provvedere a proteggere gelosamente questo aspetto nella vita del suo collega, ma questo non è avvenuto. Non sono stati applicati i protocolli di dovere e Pecci, dopo le sue nozze il 30 aprile, sarebbe andato in luna di miele senza alcuna sicurezza. E c'è dell’altro, è un fatto che chi lo ha condannato a morte era in possesso di informazione confidenziale sulla sua vita, ed i suoi movimenti. Ma i protocolli non sono stati messi in condizione di funzionare o sono stati messi da parte e quindi volutamente ignorati?

Cosa è successo? Come è potuto avvenire? Quali sono state le omissioni che hanno fatto sì che Pecci uscisse dal suo paese vulnerabile in ogni senso? 

Non c'è dubbio che i mandanti volevano vedere morto Pecci inequivocabilmente ed ad ogni costo. E ci sono riusciti. Con tanto accanimento. Con tanta perfidia. Ma perché? Le investigazioni che aveva tra le mani il pubblico ministero custodiscono in realtà quel segreto che non sarà segreto, se un giorno - auguriamoci presto - si arrivi alla verità dei fatti. Quella verità che brucia le mani di qualcuno, o che può bruciare le mani di molti (all’interno del potere). Marcelo Pecci, era sulla soglia di un portico di pericolosità transnazionale ed è stato lasciato solo nel suo paese. Insistiamo ancora, perché? Da chi?    

Già solo prendendo in considerazione la profondità - ed i contenuti - della conferenza stampa tenuta dalle massime autorità della polizia e giudiziari della Colombia, si presume senza alcun dubbio che dietro questo crimine transnazionale, legato inequivocabilmente al narcotraffico mondiale, ci sono persone (e persino istituzioni), di potere, presenti nel mondo e nell’impunità.

Il terrore (mafioso e transnazionale) non è iniziato il giorno 10 maggio a Cartagena, è già tra noi, da parecchio tempo. L’assassinio di Pecci lo ha reso ampiamente evidente. Ancora una volta.

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