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È la terza vittima della mafia messicana nel mondo del giornalismo nel mese di gennaio

Una notizia lacerante in queste ultime ore che sta facendo il giro del mondo. Una notizia oramai quotidiana in Messico. Ancora una giornalista assassinata a colpi di arma da fuoco. La collega si chiamava Lourdes Maldonado, e la sua vita si è spenta a Tijuana. E quel che è peggio e che ci commuove dentro è che lei - ha riferito il giornalismo locale aveva espresso pubblicamente le sue paure sul rischio che correva durante una conferenza stampa nel 2019 dove aveva detto proprio al presidente López Obrador che temeva per la sua vita. E, due anni dopo, le sue paure si sono concretizzate in modo drammatico. Non si è potuto fare niente per lei. Niente.

Adesso possiamo solo ricordarla, piangerla ed ammettere che lo Stato messicano, il governo, piuttosto, è definitivamente un governo inefficiente e restio quando deve proteggere il giornalismo libero dal furore mafioso. Una realtà che fa male all’anima e all'intelligenza umana. Il tutto è ancora più sconvolgente e scioccante se consideriamo che i meccanismi dell'apparato statale, per quanto riguarda questo argomento, sono stati letteralmente fagocitati dalla criminalità radicata nelle istituzioni del governo di turno. Inoltre l'ipocrisia che traspare da questi ambiti governativi, li rende complici delle mafie che seminano cadaveri di giornalisti nelle strade e nelle piazze di non pochi Stati del Messico. Inquietante. Molto inquietante.

In quanto al caso della collega Lourdes Maldonado possiamo dire che l'attentato è stato commesso domenica scorsa nella città di Tijuana, nello stato di confine della Bassa California. Il suo corpo è stato trovato all'interno della sua auto, con uno sparo nella tempia.

Avendo ricevuto minacce, nel 2019, la giornalista entrò in un sistema di protezione offerto dalla Segreteria di Governo, ma quel regime prevedeva solo una guardia di scorta permanente, si legge nelle agenzie che danno notizia della sua morte.

È stato riferito anche che, al momento di redigere queste notizie, le autorità di polizia e della Procura - che stanno indagando sul caso - non hanno altre informazioni al riguardo e che in definitiva non ci sono neanche dei veri sospettati. Vale a dire, come si dice in cronaca poliziesca, si parte da zero. Resterà tutto così, come d’abitudine quando si tratta di omicidi di giornalisti? Nostro malgrado, tutto fa pensare che sia così.

Ciononostante, nelle ultime ore di ieri, dal Palazzo Nazionale, López Obrador stesso ha detto che garantiva da parte sua l'investigazione sull'assassinio di Lourdes Maldonado: "Fa molto male quello che è successo a Tijuana, porteremo avanti le indagini del caso”.

In riferimento a quanto espresso dalla collega nel 2019, il presidente López Obrador è stato categorico: ha affermato che non si può "automaticamente" associare una richiesta di tipo lavorativo ad un crimine. 

Bisogna vedere il movente - ha detto ancora il presidente messicano - Se c'è un legame con la denuncia di tipo lavorativo e capire chi sono i responsabili. Analizzarlo con molta responsabilità, benché sia molto chiaro, chi sono stati i mandanti e gli autori materiali".  

Nelle informazioni provenienti dal Messico si legge che la giornalista aveva fatto presente al presidente riguardo una situazione conflittuale con un ex governatore della Bassa California. 

I giornalisti messicani hanno fatto riferimento nei loro articoli alle parole che Lourdes Maldonado aveva rivolto a López Obrador in quell'occasione. Parole che oggi trascriviamo perché, in realtà - consideriamo - che è da lì che si dovrebbe cominciare forse a tessere la trama investigativa, se si vuole arrivare a buon fine, ovviamente. 

"Vengo anche qui - aveva detto Maldonado al presidente - per chiedergli appoggio, aiuto e giustizia nel mio lavoro, perché temo per la mia vita, in quanto si tratta di una causa che ho da sei anni con lui (…). lo faccio perché si tratta del suo senatore, del suo coordinatore di delegazioni e suo candidato, prossimo candidato al governo della Bassa California, Jaime Bonilla, per questo motivo sto qui chiedendo il suo sostegno". 

Si legge nella stampa messicana che la giornalista aveva recentemente vinto un conflitto sindacale con Bonilla per il quale aveva lavorato in un progetto in ambito giornalistico in altri tempi. 

Per concludere ricordiamo che il crimine di Lourdes Maldonado è il terzo nel mese di gennaio. Le altre due vittime sono Margarito Martínez Esquivel e José Luis Gamboa Arenas, assassinati il 17 gennaio a Tijuana e il 10 gennaio nel porto di Veracruz, rispettivamente. Abbiamo già dato notizia sui due casi in queste pagine. 

Per avere un'idea dei rischi del lavoro giornalistico in Messico - gli stessi rischi che vivono i colleghi in Afghanistan - il giornalista di Reporter Senza Frontiere di dicembre 2021 ha illustrato drammaticamente che, solo in Messico, negli ultimi cinque anni, sono stati assassinati 47 reporter di differenti mezzi di comunicazione o indipendenti. 

Appresa questa dolorosa e incredibile cifra sorge una sola domanda: di questi 47 attentati mortali quanti sono stati risolti dalle autorità? Quanti sono rimasti impuniti? 

Ogni volta che devo dare notizia dell'assassinio di un giornalista, la parola impunità, mi risuona tendenziosamente. Perché sembra essere sempre l'impunità l'ingrediente inequivocabile attorno a questi fatti. 

Proprio oggi che si compiono 25 anni dal crimine di José Luis Cabezas, ad opera della mafia argentina, mi tocca scrivere su un altro crimine, questa volta in Messico, commesso meno di 48 ore fa. 

Solo dolore e tristezza nell'anima. Ma anche rabbia, perché ancora una volta la parola impunità alleggia su di me come un fantasma, inconfondibile.
Ma fino a quando?

Foto di copertina: YouTube, Governo messicano

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