Secondo le autorità sarebbero 6 i sicari, tutti facenti parte di bande criminali del Congo
Potrebbe esserci una svolta nelle indagini per l'omicidio dell'ambasciatore italiano Luca Attanasio nella Repubblica democratica del Congo. A quasi un anno dall’attentato in cui perse la vita insieme alla sua scorta, il carabiniere Vittorio Iacovacci, e all'autista Mustafa Milambo, la polizia del Nord Kivu ha annunciato l'arresto dei presunti assassini del diplomatico, ucciso il 22 febbraio 2021. Si tratta, secondo il comandante della polizia della provincia orientale del Paese, Aba Van Angdi, di 6 sicari facenti parte di diverse bande criminali. Le immagini che circolano raffigurano i presunti esecutori seduti per terra, le manette ai polsi, circondati da agenti armati, Sono membri dei “gruppi di criminali che hanno insanguinato Goma". "Tra loro, il gruppo che ha attaccato il convoglio dell'ambasciatore", ha detto il generale Constant Ndima Kogba.
A premere il grilletto sarebbe stato il capo della banda, dedita ai sequestri di persona, che risponde al nome di "Aspirant" e che però "è ancora in fuga", ha aggiunto Aba Van Ang. "Ma sappiamo dove si trova, e speriamo di trovarlo". Sempre secondo il comandante della polizia locale, che non ha fornito dettagli sulle circostanze degli arresti, il gruppo avrebbe voluto rapire l'ambasciatore per poi chiedere un riscatto da un milione di dollari. Ma quando "Aspirant" ha sparato all'ambasciatore in fuga, uccidendolo, i loro progetti sono andati in fumo. Gli altri arrestati fanno parte invece di due gruppi, chiamati Bahari e Balume, ritenuti responsabili di diversi omicidi e di attacchi a scopo di rapina. Al momento dell'agguato, Luca Attanasio era in missione fuori da Goma con il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite che avrebbe dovuto garantirne la sicurezza. La pista ufficiale, finora battuta, parla di un tentativo di sequestro di persona finito male. Ma è una versione che non sembra convincere. Come in pochi credono che Bahati Kibobo e Balume Bakulu, due dei giovani sicari arrestati, abbiano “confessato dopo una serie di interrogatori”. Nessuno ha visionato i verbali, non è stata presentata alcun’altra prova. Tace il presidente Felix Tshisekedi. Tace il governo. E di questa “svolta” nelle indagini sembra non fidarsi nemmeno il governatore militare della regione, Sylvain Ekenge, che ha chiesto ulteriori approfondimenti. Figurarsi i nostri connazionali: l’ambasciata a Kinshasa non ne sapeva niente, e meno ancora la Procura di Roma che da mesi si trova davanti a un muro di gomma e cerca (inutilmente) d’inviare in Congo i Ros.
I forti dubbi del padre
Diffidente e dubbioso è anche il padre dell’ambasciatore, Salvatore Attanasio. “Non è la prima volta che arrivano notizie del genere, è successo anche a marzo e poi s’è rivelato tutto una farsa”, ha detto a Il Corriere della Sera. “Io sono come San Tommaso, non credo a questa storia finché non la certificano le autorità italiane. In autunno siamo stati dagli inquirenti a Roma, ogni tanto sento i Ros che mi tengono aggiornato sulle novità. Ho parlato con un ambasciatore amico di Luca ed era d’accordo: sembra solo una messinscena per mettere a tacere tutto”.
Si tratta di “aria fritta”, dunque, secondo Attanasio. “Forse in questi mesi c’è stata qualche pressione del governo italiano e in Congo hanno pensato di fare questa mossa. Ma io voglio i mandanti, non solo gli esecutori”. “Se non è stato un incidente”, ragiona il padre di Luca, “se è stato un agguato pianificato e non una rapina, sono troppi i dubbi. Se cercavano i bianchi, nel convoglio ce n’erano tre: perché ne hanno uccisi solo due? Luca poi ha ricevuto tre proiettili in pancia, Iacovacci uno al collo mentre cercava di proteggerlo: chi scappa da un agguato però viene colpito alle spalle, non davanti”.
Per gli Attanasio, la chiave è il silenzio del Pam, il Programma alimentare mondiale che aveva organizzato il convoglio: “Chi era coinvolto a qualche titolo nella vicenda, congolese o italiano, è stato mandato via dal Congo. Sparpagliato in altri Paesi. Anche Rocco Leone, il funzionario sopravvissuto alla sparatoria: dopo l’agguato, non s’è mai fatto vivo con noi. Ed è sparito, penso sia in Italia. Non sappiamo più nulla. Non si sono mai fatti vivi nemmeno con la moglie di Luca. E allora dico che il Pam dovrebbe spiegare tante cose: doveva provvedere alla sicurezza, perché non lo fece? Doveva comunicare ai caschi blu la presenza dell’ambasciatore, e non l’ha fatto”. Questo perché, a detta di Attanasio, “se l’avesse fatto, non ci sarebbe stato il tempo materiale d’organizzare una scorta e i caschi blu non avrebbero dato l’ok al viaggio. Un missionario saveriano, padre Rinaldi, m’ha raccontato che Luca era molto attento alla sicurezza, quando andava nel Nord Kivu. Conosceva i rischi, e infatti prima d’ogni trasferta c’era una scorta armata. La sera prima del viaggio, a cena, Luca era molto preoccupato e chiedeva continuamente delle misure di sicurezza: quelli del Pam gli rispondevano di star tranquillo, la strada era sicura. Invece non c’era nessuno, a scortarli. Perché? Lo stesso Rocco Leone non poteva non conoscere i protocolli di sicurezza: perché non ha annullato il viaggio? O era un totale incompetente, e allora non doveva stare lì, oppure dovrebbe spiegare”.
Il Pam sta a Roma, i pm vorrebbero sentire la loro versione, afferma Attanasio, “ma i funzionari si sono appellati all’immunità e avvalsi della facoltà di non rispondere. Non collaborano in nulla. Non spiegano nulla. E’ una vergogna. Anche Di Maio è indignato e David Sassoli, prima di Natale, si stava interessando della cosa: va bene indagare il funzionario congolese del Pam, ma qui devono uscire le responsabilità pure dei vertici”.
L’ingegner Salvatore è stanco, ma sa che “la verità alla fine emergerà, questo è diverso dal caso Regeni: là c’era un ragazzo lasciato solo, qui c’era un ambasciatore che in quel momento rappresentava l’Italia. E l’Italia non può far finta di nulla”. Vorrebbe solo “un po’ di schiena dritta: chi ammazza un ambasciatore in missione ufficiale, è come se ammazzasse il Presidente della Repubblica. Colpisce il nostro Stato. E non si può andare cauti solo perché c’è di mezzo l’Onu. L’avessero fatto a un diplomatico francese, americano o israeliano, stia sicuro, in Congo non sarebbe rimasto in piedi neanche un albero”. Tra poco, il 22 febbraio, sarà un anno esatto dall’omicidio dell’ambasciatore. “La sua memoria è da tenere viva”, afferma il padre. Luca “ha mostrato al mondo la vera italianità, ha detto Mattarella, ed è vero: coniugava diplomazia e umanità, stava coi re e con gli ultimi, fin da ragazzino passava il tempo a impegnarsi nell’oratorio, ad aiutare gli anziani. Quando andavamo a trovarlo in Africa, c’erano i bambini di strada che l’aspettavano, lo amavano, lo chiamavano: ‘Monsieur l’Ambassadeur!’… Quel che dovrebbe essere un vero diplomatico. Tutto questo un po’ ci consola. Ma è durissima. Specie per mia nuora e le tre bambine, a Roma. E’ difficile spiegare la morte ai bambini. La più grande ha 5 anni, qualcosa ha capito. Ogni tanto si siede a tavola e chiede: a che ora arriva, papà?”, ha concluso.
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